BLUES DA CUCINA: PIATTI POVERI (i fagioli di Thoreau) (17)

 

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Anche nel Medioevo era considerato cibo di poco pregio, come testimonia

fra gli altri Isidoro di Siviglia nella sua enciclopedia.

Era BANDITO DALLE TAVOLE DEI POTENTI, i quali infatti si CIBAVANO

DI CARNE e SELVAGGINA:

troppo care per quelle dei VILLICI E DEL POPOLINO.

Questi adottarono con altri legumi i fagioli, ricchi di protidi capaci di sostituire

le proteine animali, se li si accompagna con cereali, formaggi e uova.                         

Contengono infatti il 22,3% di protidi,

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un’altissima percentuale di carboidrati, le vitamine A,B,C oltre

a una serie di sali minerali.

Hanno anche la proprietà di tenere basso il livello dello zucchero e del

colesterolo nel sangue.

Non sono tuttavia facilmente digeribili, sicché si suole accompagnarli con

erbe aromatiche che abbiano la funzione di favorirne la digestione, dal

finocchio al rosmarino e al prezzemolo crudo. Li si sconsiglia invece a chi

soffre di gastrite e di colite perché irritano l’apparato digerente.

Insieme con gli altri legumi furono adottati anche nei monasteri, dove il

precetto di non mangiare carne in certi periodi dell’anno costringeva a

sostituirla con cibi che potessero supplire alle carenze proteiche.

Divennero perciò simboli di Mortificazione, di Umiltà, di Castità.

Invece al popolino ispiravano ben altri simboli.

Grazie alle loro proprietà nutritive e al gusto sapido e corposo, furono

considerati afrodisiaci; credenza testimoniata ancora nel Rinascimento

dal Mattioli e dal Durante.

Con la scoperta dell’ America   giunsero nuove                                 walden01thor_0265.jpg

specie di fagioli più carnosi e vellutati, che furono

subito sperimentati con successo negli orti

vaticani.

Il più coltivato è oggi il ‘Phaseolus vulgaris’, di

cui esistono quattordici varietà, fra cui il

‘Phaseolus lunatus’ o fagiolo di Lima, o

anche baggiana, da cui derivato il termine

‘baggianata’, sinonimo di scempiaggine.

Questo legume, considerato ‘vile’ dai Greci

e Romani, che non gli dedicarono nessun mito,

preferendo alla sua UMILTA’ ben altri piatti,

più ricchi, più carnosi, più consoni alle abitudini

CRISTIANE dell’agnello sacrificale.

 

 

 

 

 

(Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante)

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BLUES DA CUCINA: PIATTI POVERI (i fagioli di Thoreau) (16)

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Non era molto apprezzato                                   walden01thor_0110.jpg

il fagiolo nell’antichità se

Ateneo lo citava, insieme

con la fava e il fico secco,

come alimento degno degli

Spartani e Virgilio nelle

Georgiche lo definiva

‘vile’, cioè comune, poco

pregiato. Tuttavia Galeno

ne sottolineava le proprietà

nutritive, pur avvertendo che

non era facilmente digeribile.

Apicio a sua volta offriva

tre ricette per cucinare i

fagioli: la prima li voleva

lessi e conditi col sale,

poco vino puro, cumino

e olio; la seconda                                cuoca.jpg

fritti in salsa acida di vino e

insaporiti di pepe; la terza

prescriveva di lessarli;

‘poi, grani e gusci insieme,

si apprestano per salumi,

acconci in tegame con finocchio

verde, pepe, savore e un po’

di sapa; o anche semplicemente

senza salumi’. Si trattava del

fagiolo dell’occhio, piccolo e

contraddistinto dalla tipica macchia

scura, come un minuscolo occhio

disegnato sulla superficie del seme.

Chiamato dai Greci ‘phàselos’ e

tradotto nel latino ‘phaseolus’, venne

classificato nel 700 in due generi:                                               blues.da cucina.jpg

Dolichos, dal greco

‘dolchos’, ovvero

‘lungo’, per la forma

del frutto, e Vigna,

nome ispirato al

botanico pisano

Vigni.

Come tutti i

legumi, anche

il fagiolo era

considerato un

cibo associato al

ciclo perenne della

natura, al succedersi di vita e morte, e dunque impuro, tant’è vero che il Diale,

il sacerdote di Giove, non poteva cibarsene. Per questo motivo nella Roma si

estraeva un fagiolo per designare il re dei Saturnali, colui che regnava su quei

giorni carnascialeschi di caos rituale, di rovesciamento dei ruoli, di ‘con-fusione’

fra vita e morte, che segnavano la fine del vecchio anno preludendo al nuovo.

Una volta i fagioli comparivano come segnalatori anche nel gioco natalizio della

tombola, svago rituale che accompagna ancora oggi in qualche famiglia il

passaggio fra vecchio e nuovo anno. E’ un eco sbiadito dei giochi d’azzardo dei

Saturnali, in stretta connessione con la funzione rinnovatrice di Saturno,

il quale distribuiva le sorti agli uomini per il nuovo ciclo calendariale. Si diceva

che la fortuna del giocatore non fosse legata al caso, ma al volere della divinità.

Anche nel delta del Tonchino i fagioli appaiono nelle cerimonie del Capodanno,

annamita, quando si offrono sugli altari i dolci ‘bahntrung’, confezionati con riso,

carne di maiale e questi legumi.

Un eco delle credenze e degli usi che collegano il fagiolo al mondo del rinnovamento

naturale, alla ‘con-fusione’ di morti e vivi, al riaffiorare di forze infere, si ritrovava

fino a qualche decennio fa nelle campagne, quando si raccomandava ai bimbi di

non giocare o attardarsi nei campi di fagioli perché poteva apparir loro il demonio.

(Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante)

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