UNA POESIA IN MEZZO ALLA BUFERA (della guerra)

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Com’è straniante e misterioso

che ogni notte, di continuo

la fontana sommessa seguiti a scorrere

vegliata dalla fresca ombra dell’acero,

 

e sempre di nuovo, come un profumo,

il chiaro di luna si pose sul timpano

mentre nella fresca penombra è in fuga

la schiera leggera delle nuvole!

 

Tutto è fermo e ha durata,

ma noi riposiamo una notte soltanto

e se proseguiamo il cammino nel paese

nessuno penserà a noi dopo.

 

E poi, forse tra qualche anno

la fontana ci viene in sogno

– e porta e timpano – com’era,

com’è e sarà ancora a lungo.

 

Come barlume domestico splende,

eppure fu solo per una sosta breve

tetto straniero per lo straniero ospite

che non ricorda più città né nome.

 

Com’è straniante e misterioso

che ogni notte, di continuo

la fontana sommessa seguiti a scorrere

vegliata dalla fresca ombra dell’acero!

(Hermann Hesse, Ostello del vagabondo)

 

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CRONACA NERA: IL PROCESSO DELLA DOMENICA (la confessione) (4)

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Scriva signor Giudice, che in tutti ci ho colpa io e gli ho ammazzati io.

Gli ho uccisi per vendetta, perché il Boneca, padre di Burchi Fortunato

un giorno mi tinse il viso col pennello della tinta di Minio e stetti col

viso tinto tre giorni, perché era tinta a olio, e fu proprio il bambino

Fortunato Burchi che mi tinse e non il di lui padre; e la vigilia della

Candelora la sera alle venti quattro venne nella mia bottega, ed’io

avevo fatto una buca nel sotto-scala apposta per mettercelo appena

mi capitava in bottega, mi capitò, lo portai là nella buca, lo gettai giù,

e lo coprii di terra, e sopra ci misi le legne.

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Arturo Degli Innocenti venne nella mia bottega il giorno della vigilia

di S. Giuseppe, mi fece la birichinata di versarmi tre libbre di Tinta,

gli detti una palata, lo ammazzai e lo seppellii lì in bottega nello

sterrato, e a fare la buca facevo presto, perché la terra era morbida.

Il Martelli Angelo mi cacò nel carbone, lo uccisi, e lo seppellii nella

buca voltato in su con la faccia, e nella bocca gli pigiai la terra, e

coprii tutto il suo corpo di terra, e sopra la terra ci spargevo la

segatura.

Domenica mattina Ventuno di questo mese, venne nella mia bottega

il Paladini, ma veramente quando venne erano le quattro pomeridiane,

avevo preparato la fossa, lo feci entrare nella fossa, e lo coprii di

terra, ma prima l’avevo strozzato con una funicella e la funicella la

bruciai. Questo ragazzo mi aveva dato una spinta una volta, e poi

mi diceva sempre Pelato.

Il Turchi mi tirava sempre le sassate, mi diceva sempre pelato, e

preparai la fossa, ce lo feci entrare, gli vuotai addosso un corbello

di terra per seppellirlo, ma lui alzò la testa, cominciò a gridare, corse

Gente, ed io scappai in un canto della bottega, poi in Casa, e così il

Turchi fu salvato.

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Io non ho mai detto nulla a nissuno di aver seppellito in bottega questi

ragazzi, e di averli uccisi, ma jeri sono stato scoperto, e ora era inutile che

seguitassi a negare, e ho confessato la verità perché io solo sono colpevole

e tutti quelli della mia famiglia sono innocenti, e non ne sapevano nulla,

nulla, e gli ho uccisi tutti da me senza l’aiuto di alcuno.

Nel paese dell’Incisa tutti i ragazzi mi canzonavano, mi prendevano a

burla, mi dileggiavano, mi dicevano pelato, ventundito, perché in un

piede ho sei diti, mi dicevano guercio, e nano, e mi facevano il capo grosso,

e quando venivano in bottega mi facevano sempre qualche birichinata,

e ora che ne avevo ammazzati quattro stavo sempre meglio, e mi lasciavano

in pace.

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Si persuada che due gli ho buttati giù nella buca, gli ho strozzati, e gli ho

ricoperti con la terra, e gli altri due, gli ho uccisi gettandogli nella buca e

facendogli cadere addosso una ruota di barroccio, poi gli ho coperti di terra.

Il Paladini e il Martelli gli ho strozzati, e il Burchi, e il Degli Innocenti gli ho

fatto cadere la ruota giù nella buca, e poi gli ho ricoperti di terra; e quello

di ieri era forte e mi scappò dalla buca.

Per il Turchi la buca l’avevo preparata il sabato sera.

(P. Guarnieri, L’ammazzabambini)

 

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CRONACA NERA: IL PROCESSO DELLA DOMENICA (l’assassino è scoperto) (3)

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Dentro la casa, asserragliata, il pretore con quattro carabinieri e il Grandi.

Fuori, là davanti, una folla inferocita reclamava l’assassino.

Perché ormai era evidente, a far sparire i quattro bambini di cui fino allora

non s’era trovata traccia era stato lui.

Ammazzati li aveva, e seppelliti nella bottega, dove ne avevano trovati i

resti.

Alle quattro del pomeriggio, mentre ancora aspettava i rinforzi militari

del circondario, il Chelini redasse un dettagliato rapporto al procuratore

del re, dove, riepilogati i fatti dei giorni passati, descriveva gli avvenimenti

di quella domenica:

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Verso le ore 11, 3/4 antimeridiane, da uno stabile a pian terreno nella strada di

mezzo di questo paese dell’Incisa n. 43 sortivano grida strazianti di un piccolo

fanciullo. Accorsa la gente per entrare in detto ambiente fu trovato chiuso al

di dentro da ogni parte.

Atterrato ben presto una porticella per cui vi si accede, entrati alcuni paesani

d’Incisa in quella stnza si presentò loro uno strano spettacolo. Il nominato

Grandi Callisto del fu Giuseppe, di anni 24, di professione carradore e

domiciliato all’Incisa, aveva sotto di sé il fanciullo Turchi Amerigo di

Sebastiano che tentava di strangolare.

Levatogli di sotto questa sua vittima ed esaminata la stanza si trovò una

piccola fossa probabilmente destinata ad accogliere il cadavere di quel giovincello.

Presso detta fossa apparvero ben presto sotterrati a fior di terra, i resti di

uno o più fanciulli di recente inumati.

A questa vista si commosse ben presto la popolazione e fu miracolo se il

Callisto Grandi fu sottratto dall’ira della moltitudine, che voleva far giustizia

immediata. Per interposizione del Segretario, del facente funzione di Sindaco,

dell’Esattore Comunale e di altre persone influenti del paese, il Grandi fu

ricoverato in una casa dello stesso.

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Il sottoscritto dietro avviso ricevuto si recava immediatamente sul luogo della

scorta dei RR. Carabinieri, allorché divulgatosi il caso, la moltitudine cresceva

e cresceva pure l’indignazione per il grave caso accresciuta dalla vista del

giovinetto Turchi Amerigo lacerato e contuso e dalle grida dei genitori che

avevano perduto i loro figli e che reclamavano vendetta.

Per sedare la moltitudine abbiamo dovuto lottare a corpo a corpo ad attualmente

sebbene calmata un poco la popolazione pur nonostante non è prudenza sortire

dalla casa dove siamo assediati col Grandi imputato e coi Reali Carabinieri di

Figline in numero di quattro.

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Si è già domandato rinforzi di Carabinieri alle stazioni di Rignano e del

Pontassieve e coll’aiuto di questi si spera di potere, nella serata, condurre il

Grandi, senza inconvenienti, alle Carceri di Figline; e quindi saranno assunti

tutti gli atti pel materiale che per lo speciale del delitto di cui già abbondano i

mezzi e sarà rimesso il processo al più presto possibile.

(P. Guarnieri, L’ammazzabambini)

 

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IL VIAGGIO COMINCIA (7)

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Il vero vaggio cominciava adesso.

Finora s’era trattato più di fatiche che di difficoltà; ma le difficoltà,

adesso, sarebbero sorte letteralmente sotto i nostri passi.

Non avevo ancora gettato un solo sguardo nel pozzo insondabile nel

quale stavamo per calarci; il momento era venuto.

M’avvicinai alla voragine centrale.

Misurava una cinquantina di piedi di diametro.

Mi chinai su un bordo di roccia a strapiombo, e guardai in basso.

I capelli mi si drizzarono.

Il senso del vuoto si impadronì di me.

Sentii il mio centro di gravità spostarsi e la vertigine salirmi al cervello

come un’ebrezza. Niente di più tremendo che questa attrazione dell’

abisso.

Stavo per lasciarmi cadere.

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Una mano mi trattenne: quella di Hans.

Decisamente non avevo preso sufficienti lezioni d’abisso, alla Frelser

Kirk di Copenaghen.

L’occhiata che avevo gettato nella voragine, per quanto rapida, m’era

bastata per rendermi conto della sua conformazione.

Le pareti erano quasi a picco, ma presentavano numerose sporgenze e

ripiani, che avrebbero permesso la discesa con delle corde. Solo che

dissi, come potevamo sapere se la lunghezza delle nostre corde sarebbe

bastata, senza conoscere la profondità di quel pozzo?

Se avevo sperato che questa obiezione avesse qualche peso, il professore

mi disilluse subito. Sarebbe bastato, mi spiegò, impiegare il sistema

della corda doppia, facendo passare la corda intorno a una sporgenza

adatta, scendendo afferrati alle due metà, e ritirando la corda stessa

una volta arrivati sul ripiano sottestante. Dopo di che si poteva ripetere

l’operazione all’infinito….

Ora, continuò, accupiamoci dei bagagli: li divideremo in tre carichi, e

ciascuno ne porterà uno sulle spalle. Parlo soltanto degli oggetti fragili,

naturalmente. L’audace professore, non meno naturalmente, escludeva

noi stessi da quest’ultima categoria.

Hans, riprese, porterà gli attrezzi e una parte delle provviste; tu, Axel,

un’altra parte delle provviste e le armi, io gli strumenti.

Ma le coperte, i cordami e tutto il resto?

Chiesi.

Chi si incaricherà di portarli giù?

Scenderanno da soli, come vedrai subito.

(J. Verne, Viaggio al centro della Terra)

 

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STABILIRE UN LEGAME…: DAGLI SCIAMANI A WEGENER (5)

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Per l’ipotesi da noi fatta che l’Atlantico rappresenti una spaccatura, i

cui bordi si trovavano un tempo riuniti, è necessario un severo controllo,

quale è dato da un confronto della struttura geologica delle due parti.

Ci si può infatti attendere di trovare in ognuna di esse alcune pieghe

ed altre formazioni anteriori alla rottura, cioè che le loro estremità

siano disposte dalle due parti dell’oceano in modo da apparire nella

ricostruzione l’una come un prolungamento immediato dell’altra.

Dato che questa ricostruzione segue le linee obbligate dei bordi dei

continenti e non permette un adattamento alle ipotesi, abbiamo qui

un criterio del tutto indipendente e molto importante per giudicare

l’esattezza della teoria della deriva dei continenti.

paleogeographic.jpg

La spaccatura atlantica presenta la maggiore ampiezza nel sud, ove

si produsse da principio e ove ammonta a 6220 Km. Tra il Capo

San Rocco e il Camerun vi sono solo 4880 Km, tra la Nuova Zelanda

e l’Inghilterra 2410, tra Scoresbysund e Hammerfest 1300, e tra la

Groenlandia nord-orientale e lo Spitzberg 300 Km circa.

Sembra che la frattura si sia verificata in tempi molto recenti.

Cominciamo dal sud.

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Molto al sud nell’Africa in direzione da est ad ovest si trova un

gruppo di catene a pieghe, che risalgano al Permiano (monti

Zwarten).

Nella ricostruzione, il prolungamento di questa catena verso ovest

va a colpire la parte a sud di Buenos Aires, che non presenta sulla

carta alcun rilievo. Ora è molto interessante il fatto che Keidel nelle

Sierre che si trovano in questa località, specialmente in quelle del

sud fortemente corrugate, ha riconosciuto che per la loro struttura,

per la successione delle rocce e per i fossili che contengono, non solo

sono del tutto simili alle pre-Cordigliere delle province San Juan e

Mendoza, che terminano alle Ande, ma soprattutto ai monti del

Capo.

Nelle Sierre della provincia di Buenos Aires, specialmente nel tratto

sud, noi troviamo un succedersi di strati molto simile a quello delle

montagne del Capo. Una grande concordanza sembra esserci per lo

meno in tre strati: nello strato inferiore di arenarie, formatosi per

fenomeni di trasgressione nell’eo-Devoniano, negli scisti ricchi di

fossili, che rappresentano il massimo di questa trasgressione, e in

una forma caratteristica più recente, i conglomerati glaciali del

Paleozoico superiore….Sia i sedimenti della trasgressione devonica

che il conglomerato glaciale sono fortemente ripiegati come le catene

del Capo; e in ambedue i casi la direzione del movimento è volta

verso nord.

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Ciò sta a dimostrare che qui si tratta di un antico piegamento di

grande estensione, che attraversa la punta dell’Africa, passa per l’

America meridionale a sud di Buenos Aires e quindi, piegando verso

nord, va a raggiungere le Ande. Oggi i resti di questo piegamento

sono separati da un oceano della larghezza di oltre 6000 Km.

Nella nostra ricostruzione, che non si presta ad alcun adattamento,

le singole parti coincidono esattamente: le distanze del Capo San

Rocco o dal Camerun sono uguali.

Questa prova dell’esattezza della nostra ricostruzione è molto

significativa e qui torna il paragone delle due metà di una carta da

visita lacerata in segno di riconoscimento. E la concordanza è pregiudicata

assai poco dal fatto che la catena del sud-Africa, raggiungendo la costa,

si dirama verso nord nella catena dei monti Cedar, in quanto questo

ramo, che poi si perde presto, ha i caratteri di una deviazione locale, che

può essere dovuta a una qualche discontinuità prodottasi nel punto di

una frattura successiva.

a2.jpg

Diramazioni analoghe si osservano in misura ancora superiore in Europa

nelle catene del Carbonifero e nel Terziario, e non per questo si trova

qui un impedimento nel ragruppare queste pieghe in un sistema unico

e nell’attribuirle ad un’unica causa. Anche se il piegamento africano si è

protratto fino ai tempi più recenti, come hanno dimostrato studi ulteriori,

non è il caso di parlare di epoche diverse.

Ma questo prolungamento dei monti del Capo nelle Sierre di Buenos Aires

non è la sola conferma che ricevano le nostre idee; molte altre prove si

ritrovano lungo le coste dell’Atlantico. Anche ad un esame superficiale il

grandioso tavolato di gneiss dell’Africa mostra grande somiglianza con

quello del Brasile. E che questa somiglianza non si limiti solo ai caratteri

generali è dimostrato sia dalla presenza delle rocce eruttive e dei sedimenti,

sia dalle antiche direzione delle pieghe.

(Alfred Wegener, La formazione dei Continenti e degli Oceani)

 

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STABILIRE UN LEGAME…: DAGLI SCIAMANI A WEGENER (3)

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Consulta anche:

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sciamani8.jpg

 

 

Accade raramente, dato lo stato ancora imperfetto delle nostre attuali

conoscenze, che, nel riferirci al passato della terra, si giunga a risultati

opposti, sia che si consideri il problema dal lato biologico sia da quello

geofisico.

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I paleontologi concordano coi geologi e coi botanici nell’ammettere che

i continenti, oggi separati da una larga estensione di mare profondo,

fossero uniti nel passato geologico da tratti di territorio che resero possibile

uno scambio ininterrotto e reciproco della fauna e della flora.

I paleontologi traggono questa conclusione dalla presenza di numerose

specie identiche, che nel passato della terra vissero sugli uni e sugli altri

continenti e per le quali sembra inverosimile ammettere un’apparizione

contemporanea. E che la percentuale di casi identici sia limitata, si spiega

facilmente con il fatto che solo una parte degli organismi a quei tempi

si è conservata allo stato fossile ed è stata trovata fino ad ora.

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Ed anche se l’intero mondo organico fosse stato un tempo identico su tali

continenti, la limitatezza delle nostre conoscenze non potrebbe avvalorare

tale ipotesi; e d’altra parte, anche ammessa una completa possibilità di scambio,

può darsi che il mondo organico non sia stato completamente identico,

così come oggi l’Europa e l’Asia hanno una flora e una fauna loro particolari.

Allo stesso risultato giunge anche lo studio comparato dell’attuale regno

animale e vegetale.

Le specie attualmente viventi sui due continenti sono sì diverse, ma i generi

e le famiglie sono ancora gli stessi, ciò che oggi è il genere o la famiglia fu

in altri tempi la specie.

Allo stesso modo le affinità esistenti tra la fauna e la flora d’oggi portano

a concludere che anche la fauna e la flora del passato geologico fossero

identiche e che perciò debbano aver avuto luogo degli scambi. Solo dopo

che venne a mancare questo collegamento si sarebbe determinata una

separazione nelle varie specie oggi viventi.

Non si ripeterà mai a sufficienza che se non si ammettono queste unioni

tra i continenti, tutto lo sviluppo della vita sulla terra e l’affinità degli

attuali organismi, pur viventi in continenti lontani, sono desinati a restare

per noi un enigma insolubile.

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(….) Nelle pagine precedenti ci siamo fermati con intenzione un po’ a lungo

sulle obbiezioni mosse alla teoria della contrazione, perché in una parte

dello svolgimento seguito da queste idee ha radici un’altra teoria oggi

diffusa, soprattutto tra i geologi americani, indicata come teoria della

permanenza. Willis così si è espresso: ‘I grandi bacini oceanici sono delle

formazioni permanenti della superficie della terra e, all’infuori di piccole

variazioni nei loro contorni, si sono trovati sin dalla prima raccolta delle

acque nello stesso luogo ove si trovano ora’.

In realtà, già in precedenza, a proposito della provenienza dei sedimenti

marini dai mari superficiali, eravamo giunti alla conclusione che nella

storia della terra le masse continentali come tali debbono essere state

permanenti. La impossibilità che deriva dalla teoria dell’isostasia di

considerare gli attuali fondi oceanici come dei continenti intermedi

sprofondati, si completa con l’idea di una permanenza generale dei fondi

dei mari e delle aree continentali. E poiché anche qui si è mossi all’

ipotesi che la posizione relativa delle aree continentali non abbia subito

alcun cambiamento, il modo in cui Willis ha espresso la sua teoria della

permanenza appare come la conseguenza logica delle nostre osservazioni

geofisiche, che portano a non tener conto di antichi collegamenti continentali.

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E assistiamo così a questo fatto singolare e cioè che, sull’aspetto preistorico

della nostra terra, dominano due teorie completamente opposte:

In Europa la teoria dei ponti, in America la teoria della permanenza dei

fondi oceanici e delle aree continentali.

Ma quale è la verità?

In un dato tempo la terra non può avere avuto che un dato aspetto.

Vi furono un tempo dei ponti di territorio oppure i continenti erano separati

come oggi da estesi fondi oceanici?

E’ impossibile non accettare l’ipotesi degli antichi collegamenti continentali se

non si vuole rinunciare a comprendere lo sviluppo della vita sulla terra.

Ma è ugualmente impossibile respingere le ragioni con le quali i sostenitori

della dottrina della permanenza si rifiutano di ammettere l’esistenza dei

continenti intermedi.

Non resta allora che una possibilità:

e cioè che nelle premesse date come intuitive si nasconda qualche errore.

A questo punto si inserisce la teoria della deriva dei continenti.

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L’ipotesi, di per sé intuitiva, che sta alla base sia degli antichi collegamenti

continentali, sia della dottrina della permanenza e cioè che la posizione relativa

delle aree continentali le une rispetto alle altre non sia mai mutata, deve essere

falsa.

I continenti debbono aver subito uno spostamento.

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L’America meridionale deve essere stata vicino all’Africa e aver formato con

questo un unico continente, che nel Cretaceo si scisse poi in due parti, le quali,

come un masso di ghiaccio che si spacchi, nel corso di milioni di anni si

allontanarono sempre più l’una dall’altra.

I contorni di queste due masse sono ancora oggi di una concordanza sorprendente.

Non solo la grande spaccatura ad angolo retto, che si nota sulla costa brasiliana

presso il capo San Rocco, trova il suo corrispettivo nella spaccatura della costa

africana presso il Camerun, ma anche al sud di questi due tratti ad ogni protuberanza

della costa americana corrisponde una baia di uguale forma sulla costa africana;

e viceversa ad ogni insenatura sulla costa brasiliana corrisponde una sporgenza

sulla costa africana.

Una misurazione col compasso dimostra poi che le due terre sono della stessa

dimensione.

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Anche l’America del Nord un tempo era situata vicino all’Europa e formava

con questa, per lo meno nella parte superiore, un unico territorio, che solo nel

tardo Terziario, e al nord solo nel Quaternario, si scisse in corrispondenza della

Groenlandia, dando origine a terre separate.

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L’Antartide, l’Australia e l’India peninsulare erano situate, sino all’inizio del

Giurassico, presso il sud-Africa e formavano con questa e col sud-America

un’unica area continentale, anche se in parte coperta dal mare superficiale la

quale, nel corso del Giurassico, Cretaceo e Terziario, si scisse in più territori,

che andarono fluitando in ogni direzione.

(Alfred Wegener, La formazione dei continenti e degli oceani)

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L’UOMO E LA NATURA (inferno spento) (20)

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Eretici viandanti..e non solo in:

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Seguendo immutabilmente l’esempio dei primi coloni norvegesi

l’uomo ha cercato anzitutto nello squallore e nella tempesta, per

gettare le fondamenta del suo baer, una sorgente d’acqua: il

reykyr.

Essa rappresenta non soltanto l’antico mito dell’Islanda vulcanica,

ma offre l’elemento più necessario alla vita umana in queste zone

gelate.

Il reykyr offre a temperatura quasi bollente l’acqua per cucinare

le vivande, per lavare i panni e per approntare un bagno necessario

alla salute del corpo. In un paese ove gli alberi e comunque la legna

da ardare mancano assolutamente il fatto ha la sua importanza e

sembra rivestire il carattere della Provvidenza.

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Il reykyr diffonde inoltre per un discreto raggio tutt’intorno, le condizioni

necessarie alla germinazione della poca erba e dei licheni che Primavera

ed Estate riescono a fornire a questa terra desolata, nei suoi cavi

recessi.

E’ quanto basta per fornire il pasto alle poche mucche e ai montoni

che convivono nel baer.

Poi, nel baer c’è la donna.

La donna che qui, soprattutto, è vera madre e massaia, vera compagna

dell’uomo e vero aiuto delle sue opere, e quindi procreatrice feconda.

Se non ci fossero bambini infatti, quale sorriso potrebbe mai allietare

la piccola fattoria, squassata dalle tempeste invernali?

Così in queste eterne notti dell’inverno polare la famiglia degli eremiti

adunata intorno all’antica lampada d’ottone, vive conversa medita legge…

ama.

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Il terzo compagno dell’uomo è il poney.

Stiamo per arrivare.

Vedete quel basso fabbricato a un piano?

E’ il baer detto la Casa delle Rocce!

A questo nome, come all’eco di una denominazione familiare il

garzone che si accompagna si mette a fischiettare allegramente.

Qui, tutte le case dell’interno – continua il mio compagno – assumono

nomi poetici che derivano da una particolarità della zona in cui

il baer sorge.

C’è quindi la Casa delle Rocce, la Casa della Montagna, la Casa del

rivo, la Casa dei Salmoni e altre.

Niente numerazione, come in altri paesi…niente speculazioni…

Siamo così giunti davanti alla Casa delle Rocce.

Lasciamo i nostri cavallucci a pascolare a debita distanza…

Accanto al baer fuma la fontana calda, lo strano pozzo di questa

casa colonica: il reykyr. Il foro naturale è stato sistemato in muratura

con una vera circolare di pietra, intorno alla quale i panni sono

ancora stesi ad asciugare al gelido e asciuttissimo vento del Nord.

Il nostro ospite intanto, ci invita a sedere intorno al fuoco.

In attesa della cena, egli spiega in che cosa consistono i prodotti del

baer:

Produciamo soprattutto burro e prosciutto di montone, molto

apprezzato in tutti i paesi scandinavi e anche in America.

Il nostro burro, come saprete già, è salato. Questa produzione non

serve soltanto ai nostri bisogni; ce n’è anche una buona parte da

contrattare e da esportare.

E’ un’attività  regolata da un sistema di cooperative che funzionano da

lontanissimo tempo. Tale sistema cooperativistico è anche l’unico

legame che unisce fattoria a fattoria, uomini a uomini, anche se talvolta

vivono separati da miglia e miglia di terreno quasi impraticabile.

Il pasto è copioso ma semplice: i piatti non sono numerosi ma caratteristici.

Fuori in vento artico ulula: le pareti sono così sonore che si ode nella

stalla contigua il ritmico rumore che fanno i denti dei poneys frangendo

la biada, e di quando in quando, l’urto sordo dei loro zoccoli.

…Essi pregano prima di andare a letto – mi bisbiglia il mio amico islandese -.

Pregano per i poveri morti.

In queste notti di bufera ogni buon Islandese crede che gli spiriti dei

trapassati errino di gola in gola, fra i basalti e i campi di lava.

Non bisogna contraddire questa loro credenza: offendereste i loro

più cari sentimenti….

(Curio Mortari, Islanda inferno spento)

 

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UNA FUGA PRECIPITOSA (eremiti nella taiga) (14)

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Un cimitero…fra i tanti in:

penniwit-l-artista-e-bloyd-l-eretico.html

Eretici della cultura e altre pagine di storia in:

gli-ingegneri-delle-anime-e-gli-eretici-della-verita.html

Altri dialoghi in:

dialoghiconpietroautier.myblog.it

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L’anno dopo, a febbraio…, verso il 9 se ricordo bene, la riserva inviò

un distaccamento speciale sull’Erinat, e ne assegnò la guida sempre

allo stesso Danil Molokov, felicemente tornato dalla guerra.

Il diciottenne Tigrij Dul’kejt faceva parte del distaccamento.

Ci incamminammo col pensiero di convincere i Lykov ad abbandonare

l’eremo, per non rovinare i figli.

Colto dalle tempeste in punti inaccessibili delle montagne per ben due

volte il distaccamento si trovò sull’orlo della catastrofe, eppure riuscirono

a raggiungere l’izba.

Era vuota.

Dall’aspetto era chiaro che i Lykov se ne erano andati subito dopo aver

accompagnato il distaccamento. Avevano portato le loro carabattole.

In una fossa era però rimasta parte delle patate e delle rape.

– Eravamo convinti che sarebbero tornati per le patate.

Scrissi su un grosso foglio, a stampatello, che eravamo venuti e feci il

nome di Molokov. Scrissi quale fosse lo scopo del distaccamento.

Esortavamo i genitori ad avere compassione dei figli, a tornare.

Dicemmo che non avremmo fatto loro nulla di male.

Capivamo che non potevano essere andati lontani.

Ma trovare nella taiga gente che voglia nascondersi è una faccenda

difficile, non esente da pericoli. Allargai le braccia: che vivano pure

come gli pare.

Il resto è noto.

I Lykov, agitati dalla comparsa degli uomini, se ne andarono subito

dopo avere raccolto le patate.

Si spostarono più in basso lungo il corso dell’Abakan, ma non si stabilirono

vicino al fiume, si insediarono bensì un po’ più in alto sul fianco del monte,

e scelsero un punto vicino a un ruscello.

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Là iniziò la loro singolar tenzone con la natura al fine di sopravvivere,

durata trent’anni in segreto.

Tutti questi anni Agaf’ja li definisce di fame. L’orto esposto al Nord li

nutriva male.

– Mangiavamo foglie di sorbo, radici commestibili, erbe, funghi, steli di

patate, corteccia.

Avevamo sempre fame.

Ogni anno deliberavamo se mangiare oppure lasciare per la seminagione.

Nel 1958 degli escursionisti che scendevano lungo il corso dell’Abakan

videro inaspettatamente un uomo barbuto con la canna da pesca.

– Un uomo ben piantato. E accanto, sul mucchietto di rami di abete,

c’era una vecchietta magra, tutta curva, una reliquia vivente.

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Dal capo ell’escursione i gitanti appresero che da qualche parte lì vicino

doveva esserci l’eremo dei Lykov, e indovinarono di dovere avere davanti

proprio Akulina e Karp, gli ‘eremiti’.

Alle domande sui loro figli essi risposero:

Alcuni sono con noi, altri se ne sono andati.

Non riuscirono a fare una grande conversazione.

Gli abitanti della taiga erano palesemente preoccupati di essere stati sorpresi.

Al tempo dell’incontro con i geologi la famiglia era già talmente sfinita dalla

lotta per la sopravvivenza che non aveva più voglia di seppellirsi lontano dagli

uomini, e accettò mite i dettami del destino.

(Vasilij Peskov, Eremiti nella taiga)

(Le tre foto sono opera del curatore del blog, eremita …nella taiga….)

 

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WASHINGTON McNeely

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Ricco, onorato dai miei concittadini,

padre di molti figli, nati da madre nobile,

tutti allevati là

nella grande villa, dove la città finisce.

Guardate quel cedro sul prato!

Tutti i miei figli frequentarono Ann Arbor,

tutte le figlie Rockford,

e la mia vita trascorreva, e accumulavo altre ricchezze e altri onori

– riposando sotto il cedro la sera.

Gli anni passarono.

Mandai le ragazze in Europa;

diedi loro una dote quando si sposarono,

e capitali ai ragazzi per lanciarli negli affari.

Erano figlioli forti, promettenti come mele

quando ancora non mostrarono il baco.

Ma John fuggì il paese, rovinato.

Jenny morì di un parto

– io sedevo sotto il cedro.

Harry si uccise dopo una notte di bagordi.

Susan divorziò

– io sedevo sotto il cedro.

Paul si ammalò per il troppo studiare,

Mary divenne reclusa in casa per l’amore di un uomo

– io sedevo sotto il cedro.

Se ne andavano, o la vita li azzoppava o li inghiottiva

– io sedevo sotto il cedro.

La mia compagna, la loro mamma, mi fu tolta

– io sedevo sotto il cedro.

Fino a che i novant’anni scoccarono.

O Terra materna che culli e assopisci la foglia caduta!

(Masters, Antologia di Spoon River, Einaudi)

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Mi prese la forza minuto per minuto

mi prese la vita ora per ora,

mi risucchiò come una luna febbricitante

che fruga il mondo nel suo giro.

I giorni passarono come ombre,

i minuti rotarono come stelle.

Mi prese dal cuore la pietà,

e la trasformò in sorrisi.

Era un pugno di creta di scultore,

e i miei segreti pensieri erano dita :

volavano dietro la sua fronte pensosa

e la segnavano di una pena profonda.

Le sigillarono le labbra, le afflosciarono le guance,

e le gonfiarono gli occhi di dolore.

La mia anima era entrata nella creta,

lottando come una schiera di diavoli.

Non era mia, non era la sua ;

lei la teneva, ma queste lotte

le modellarono un volto che detestava,

un volto che io temevo di vedere.

Battei alle finestre, scossi i paletti.

Mi nascosi in un angolo…

e allora morì e mi perseguitò col suo spettro,

e mi diede la caccia finché non fui morto.

(Masters, Antologia dello Spoon River, Einaudi)

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