I DELATORI

 

Franciscus Gratianus concarceratus Venetijs.

Parea che si contraponesse a tutte le cose Catholiche secondo che si

ragionava, ma però lui le asseriva constantemente e facea professione

di dire contra ogni fede; et indurre una setta nuova, e diceva che in

Germania si chiamavano Giordanisti, e disse che una volta giocando

tutti sopra un libro de le sorti in Germania, o in Inghilterra ad ogn’uno

toccò de i versi dell’Ariosto, e che a lui era toccato questo verso, D’ogni

legge nemmico e d’ogni fede, e di questo lui si gloriava dicendo che

gl’era toccato il verso conforme alla sua natura.

Ha detto, poi, che la fede de Catholici è piena di biasteme, e una volta

cantando Matteo Zago il salmo Iudica Domine nocentes me etc. cominciò

a dire che questa era una grande biastema, e riprenderlo come ancora

parlava  in altre occasioni affermando che la fede nostra non era grata

a Dio, e si vantava che da putto cominciò a essere nemico del la fede

Catholica, e che non poteva vedere l’immagine dei santi

(de li loro falsi santi!).

(Processo a Giordano Bruno, documenti veneti)

 

 

ikjmnjhgbv.jpg

 

 

UN SOGNO

Precedente capitolo:

lupo.html

Prosegue in:

l-uomo-con-la-lupara.html

 

un sogno

 

 

Ho sognato che è notte e sono nel mio letto (i piedi del letto erano dalla parte

della finestra; davanti alla finestra c’era un filare di vecchi noci. So di aver

fatto questo sogno una notte d’inverno.)

Improvvisamente la finestra si apre da sola e con grande spavento vedo che

sul grosso noce davanti alla finestra sono seduti alcuni lupi bianchi.

Erano sei o sette esemplari.

I lupi erano completamente bianchi e sembravano piuttosto volpi o cani da

pastore, perché avevano la coda grossa come le volpi e le orecchie ritte come

fanno i cani quando prestano attenzione a qualcosa. 

Preso dall’angoscia, evidentemente, di esser divorato dai lupi, urlai e mi

svegliai.

La bambinaia si precipitò al mio letto per vedere cosa mi fosse successo.

Mi ci volle un bel po’ prima di convincermi che era stato solo un sogno,

da quanto vivida e reale mi era parsa l’immagine della finestra che si apre

e dei lupi seduti sull’albero. 

Alla fine mi calmai, mi sentii come liberato da un pericolo e mi riaddormentai.

un sogno

‘Nel sogno l’unica azione era l’aprirsi della finestra, perché i lupi

sedevano del tutto tranquilli, senza muoversi affatto, sui rami dell’

albero, a destra e a sinistra del tronco, e mi guardavano.

Sembrava che avessero diretto su di me tutta l’attenzione.

Credo che questo sia stato il mio primo sogno di angoscia.

A quel tempo avevo tre o quattro anni al massimo cinque.

Da allora, fino agli undici o ai dodici anni, mi è sempre rimasta la

paura di vedere qualcosa di orribile in sogno’. 

un sogno

A conferma della sua descrizione esegue anche un disegno dell’

albero coi lupi. 

L’analisi del sogno porta alla luce il seguente materiale.

Ha sempre ricollegato questo sogno al ricordo della terribile paura

provata, in quegli anni dell’infanzia, per l’immagine di un lupo

in un libro di fiabe. 

un sogno

La sorella, più grande e superiore, aveva l’abitudine di punzecchiarlo

mettendogli davanti, con un pretesto qualsiasi, proprio quella

figura, alla cui vista lui si metteva a gridare spaventato. Nella

figura il lupo era eretto, sul punto di avanzare, con le zampe anteriori

protese e le orecchie ritte. Pensa che si trattasse di un’illustrazione della

favola di ‘Cappuccetto rosso’.

Perché i lupi sono bianchi? 

un sogno

La cosa gli fa pensare alle pecore, tenute in grossi greggi nei dintorni

della fattoria. Il padre qualche volta lo portava con sé a vederle e lui

ne era sempre molto fiero e felice. 

In seguito – in base a indagini potrebbe essere stato poco tempo prima

di questo sogno – fra queste pecore scoppiò un’epidemia. Il padre

fece venire un allievo di Pasteur, che vaccinò le bestie, ma dopo

la vaccinazione morirono più numerose di prima.

Com’è che i lupi sono arrivati sull’albero?

un sogno

A questo proposito gli viene in mente una storia che aveva sentito

raccontare dal nonno. Non riesce a ricordare se prima o dopo il 

sogno, ma il contenuto fa decisamente propendere per la prima

ipotesi. 

La storia è questa: un sarto siede al lavoro nella sua stanza quando

la finestra si apre e salta dentro un lupo. Il sarto fa per picchiarlo

con la stecca del metro – no, si corregge – lo acchiappa per la coda

e gliela strappa, così il lupo spaventato scappa via. 

Qualche tempo dopo il sarto va nel bosco; improvvisamente vede

avvicinarsi un branco di lupi e si mette in salvo su un albero. 

Sulle prime i lupi non sanno cosa fare, ma quello mutilato, che 

si trova fra di loro e vuole vendicarsi del sarto, fa la proposta di 

salire l’uno sull’altro finché l’ultimo non abbia raggiunto il sarto.

Lui stesso – è un vecchio vigoroso – farà da base alla piramide.

I lupi così fanno, ma il sarto, che ha riconosciuto il visitatore

punito, grida d’un tratto come allora: ‘Afferrate quello grigio per

la coda’. 

un sogno

Atterrito dal ricordo, il lupo senza coda scappa e gli altri ruzzolano

tutti.

In questa storia fa già la sua comparsa l’albero sul quale, nel sogno,

i lupi stanno seduti. Ma contiene anche un’inequivocabile allusione

al complesso di castrazione. Il vecchio lupo è stato privato della

coda dal sarto. Nel sogno, le code di volpe dei lupi sono

probabilmente compensazioni di questa mancanza.

Perché i lupi sono sei o sette?

La domanda sembrava senza risposta, finché non misi in dubbio

che la figura che lo impauriva potesse riferirsi alla storia di ‘Cappuccetto

rosso’. 

La fiaba si presta soltanto a due illustrazioni: quella dell’incontro

di ‘Cappuccetto rosso’ con il lupo nel bosco e quella della scena in

cui il lupo è a letto con la cuffia della nonna. Perciò dietro al ricordo

della figura doveva nascondersi un’altra fiaba. Scoprì ben presto che

poteva trattarsi solo della storia de ‘Il lupo e i sette capretti’.

Dovrò ancora occuparmi di questo sogno in un’altra sede, per un 

motivo particolare, e ne darò allora un interpretazione e una valutazione

più esaurienti.

(S. Freud, L’uomo dei lupi)

 

 

un sogno

       

BESTIE

Prosegue in:

il-ragazzo.html

 

 

Che vergogna, che miseria aver detto che le bestie sono macchine prive

di conoscenza e sentimento, che fanno sempre tutto ciò che fanno nella

stessa maniera, che non imparano niente, non si perfezionano, ecc, ecc!

Come?

Quell’uccello che fa il suo nido a semicerchio quando lo attacca a un muro,

che lo fa a quarto di cerchio se lo mette in un angolo, e a cerchio intero

intorno a un ramo, quell’uccello compie tutti i suoi atti sempre allo stesso

modo?

Quel cane da caccia che tu hai allevato per tre mesi non ne sa forse di più

dopo quel tempo, di quanto ne sapesse prima delle tue lezioni?

Quel canarino a cui tu insegni un’aria la ripete forse immediatamente?

Non è forse vero che ci mette un certo tempo per impararla; e non hai

osservato che talvolta egli sbaglia e si corregge?

Forse è perché io ti parlo, che tu giudichi ch’io abbia un sentimento, la

memoria, delle idee?

Ebbene!

Non ti parlerò: tu mi vedrai rincasare con aria afflitta, cercare una carta con

inquietudine, aprire l’armadio dove mi ricordo d’averla rinchiusa, trovarla,

leggerla con gioia. E tu ne deduci che io ho provato il sentimento della

afflizione e quello del piacere, che ho memoria e conoscenza.

Giudica dunque allo stesso modo questo cane, che non trova più il suo

padrone, che lo ha cercato per tutte le vie con grida dolorose, che rincasa

inquieto e agitato, sale, scende, va di stanza in stanza, trova infine il suo

padrone che egli ama, e gli testimonia la propria gioia con la dolcezza del

suo mugolìo, coi salti e le carezze.

I barbari uomini prendono questo cane che suol vincerli così facilmente nell’amicizia:

lo inchiodano su una tavola, e lo sezionano vivo per mostrarti le vene mesariche.

Tu scopri in lui gli stessi organi di sentimento che sono in te.

RISPONDIMI, o meccanicista, la natura ha dunque combinato in lui tutte

le molle del sentimento affinché egli non senta?

Il cane ha dei nervi per essere impassibile?

Non fare più di queste balorde supposizioni.

Ma i maestri di scuola mi chiedono che cos’è allora l’anima delle bestie.

Io non capisco questa domanda.

Un albero ha la facoltà di ricevere nelle sue fibre la linfa che vi circola,

di spiegare in fogliame le proprie gemme: volete domandarmi che cos’è

l’anima di quell’albero?

Egli ha queste facoltà.

E l’animale ha ricevuto le facoltà del sentimento, della memoria, e

di un certo numero di idee.

Chi gliele ha date?

Colui che ha fatto crescere l’erba dei campi e gravitare la terra intorno

al sole.

Le anime degli animali sono forme sostanziali, ha detto Aristotele; e dopo

di lui, la Scuola araba; e dopo quella, la Scuola Angelica, e dopo la

Scuola Angelica, la Sorbona; e dopo la Sorbona, mai più nessuno.

Le anime delle bestie sono materiali, gridano altri filosofi.

E anche questi non hanno avuto più fortuna degli altri.

Si è domandato loro che cos’è un’anima materiale: essi han dovuto

ammettere che sarebbe una materia dotata di sensazione.

Ma chi le ha conferito questa sensazione?

Un’altra anima materiale; che sarebbe a sua volta materia che dà la

sensazione ad un’altra materia: non sono mai usciti da questo circolo.

Ascoltate qualcun’altra di queste bestie che ragionano da bestie: la loro

anima è un essere spirituale, ma che muore col corpo.

E che prova ne avete?

Che idea vi fate di questo essere spirituale che, in effetto, è dotato di

sentimento, di memoria, di una certa quantità di idee e di combinazioni,

ma che non potrà mai arrivare a sapere ciò che sa un bambino di sei anni?

Ma le bestie più grosse son stati quelli che hanno sostenuto che l’anima

animale non è né corpo né spirito.

Questo sì è un bel sistema!

Noi non possiamo intendere come spirito se non qualche cosa di ignoto

che non è corpo: così il sistema di questi signori si riduce a questo,

che l’anima delle bestie non è corpo, e neppure qualcosa che non sia un corpo.

Quale può essere la causa di tanti errori così contrastanti?

L’abitudine che hanno sempre avuto gli uomini, di mettersi a esaminare

che mai sia una certa cosa, prima di appurare se quella cosa esiste.

La linguetta, la valvola di un soffietto, si suol chiamare l’anima del soffietto.

E cosa è quest’anima?

Quando io adopero questa espressione, la applico a una cosa ben definita:

una membrana che fa da valvola quando io faccio funzionare il soffietto;

e in tal caso l’anima non è distinta dalla cosa.

Ma chi fa funzionare il soffietto degli animali: chi li fa respirare?

Ve l’ho già detto: colui che fa muovere anche gli astri.

Il filosofo che dichiarò: Deus est anima brutorum, aveva ragione;….ma

doveva andare più in là.

(Voltaire, Dizionario filosofico)

 

 

 

bestie.png

 






PEARY E’ PRONTO PER LA PARTENZA! (…intermezzo artico)

Prosegue in:

intermezzo-artico.html

 

peary e' pronto per la partenza!

 

 

Per ordine (perentorio)… del presidente Roosevelt, Peary ottenne una

nuova licenza retribuita di tre anni, a partire dall’aprile del 1907.

Le direttive da parte del dipartimento della marina erano esplicite:

sarebbe ‘partito alla conquista del Polo Nord’.

(Nel frattempo qualsiasi iniziativa rivolta a stravaganti esplorazioni

nella terra tibetana dovevano essere improrogabilmente rimandate…) 

peary e' pronto per la partenza!

In una lettera al capo dello Stato, in cui lo ringranziava del costante

supporto, Peary, certo che la prossima spedizione sarebbe stata ‘il

suo ultimo tentativo’, scrisse:

“Sento che questa volta ce la farò; e sono convinto di essere stato

destinato a quest’impresa da Dio Onnipotente’.

Oltre all’appoggio del presidente ricevette anche un aiuto meno

costruttivo:”una piccola valanga di lettere bizzarre, da parte di

gente che mi proponeva innumerevoli invenzioni e schemi” che

mi avrebbero “senza dubbio permesso di arrivare al Polo Nord”. 

peary e' pronto per la partenza!

Un tizio voleva vendergli una segheria portatile da installare sul

Mar Glaciale Artico, con cui tagliare la legna necessaria per costruire

un tunnell sul ghiaccio, lungo fino al Polo.

Un’altra proposta prevedeva la costruzione di una ‘cucina centralizzata’,

da cui si diramavano dei tubi flessibili che avrebbero trasportato zuppa

calda agli uomini, rinvigorendoli durante la marcia in quei territori

gelidi.

Ma ‘la vera perla’ era il suggerimento di un inventore di trasformare

l’esploratore in una palla di cannone umana. Senza aggiungere dettagli,

per timore che l’invenzione gli venisse soffiata, disse che sarebbe

riuscito a puntare il cannone nella giusta direzione, per sparare 

Peary al Polo Nord. Non specificava nulla, tuttavia, a proposito dell’

atterraggio, o delle modalità del ritorno. 

peary e' pronto per la partenza!

Altre proposte riguardavano ‘automobili capaci di viaggiare su qualsiasi

tipo di ghiaccio’, ‘macchine volanti’ e persino ‘un sottomarino’ (di

produzione cinese…); a proposito di quest’ultimo però, la lettera

non spiegava ‘come avrebbe fatto il mezzo a risalire in superficie,

attraverso le lastre di ghiaccio, dopo aver viaggiato in profondità

fino al Polo’.

Tali suggerimenti, che Peary considerò ‘una deviazione contemporanea

del pensiero degli inventori’, più che assurdi erano, in effetti fortemente

innovativi.

Nonostante, secondo i contratti, le riparazioni alla ‘Roosevelt’ (per circa

75.000 $ prestati da finanziatori …cinesi) sarebbero terminate entro il

1° luglio 1907, i lavori alle caldaie danneggiate si protrassero oltre il

previsto, costringendo un abbatuto Peary a posporre la partenza fino

all’estate successiva. 

Fu un colpo durissimo: l’ingegnere, che aveva compiuto cinquantun

anni, ne avrebbe avuto uno in più all’inizio della spedazione.

Si rendeva conto che, ‘con il passare deglia anni, diminuivano lo

slancio, l’elasticità, l’inesauribile energia e la vitalità della gioventù,

indispensabili per portare a termine un compito del genere….’.

Considerava il fallimento della missione precedente ‘la più grande

delusione della sua vita’. 

Uomini, cani e provvist erano giunti al limite, spiegò, aggiungendo

malinconicamente:”Davanti a me c’era una limpida distesa di ghiaccio:

mancavano soltanto duecento miglia marine al Polo Nord. Altri dieci

giorni, e ce l’avremmo fatta”. 

peary e' pronto per la partenza!

Peary si rendeva conto dell’importanza di tornare con un successo.

‘Nearest the Pole’, il libro in cui aveva parlato del record di latitudine

nord da lui raggiunto, era stato un fiasco; nel 1907 aveva venduto 

solo 2230 copie, non riuscendo a coprire nemmeno l’anticipo di

5000 $ ricevuto dalla Doubleday & Page. Evidentemente, il pubblico

che normalmente divorava le avventure artiche ne aveva abbastanza 

di imprese che non giungevano mai alla meta prefissata. 

(B. Henderson, Vero Nord)

 

 

peary e' pronto per la partenza!

   

DIALOGO CON LA MORTE

Precedente capitolo:

della-morte.html

Prosegue in:

con-la-morte.html

 

AMLETO Quel teschio, un tempo aveva una lingua, e poteva cantare.

E quel mariulo, adesso, lo scaraventa a terra, come se fosse la mandibola

di Caino, colui che commise il primo assassinio! Quella che ora quest’

asino prende a gabbo potrebbe esser la zucca d’un politicante, d’uno

che sarebbe stato capace di circonvenire anche Iddio; non è così?

ORAZIO Potrebbe esser infatti così infatti.

AMPLETO O d’un cortigiano, d’uno ben addestrato a dire:”Buon dì,

mio caro signore! Come state signore!”; e quest’altro potrebb’essere

il signor Tal dei Tali che si sprecava in lodi del cavallo di un altro

Tal dei Tali perché voleva farselo regalare. Non potrebb’essere così?

ORAZIO Sì, mio signore.

AMLETO Proprio così. Ed ora è proprietà di madama. Verme, senza

più mascella inferiore, e con la zucca percossa dalla vanga d’un 

becchino. Quest’è una bella trasformazione, se avessimo la capacità

di vederla! Ci s’è dati tanta pena per allevare e nutrir quest’ossa

soltanto perché potessero servire a giocarci alle bocce? Le mie

ossa dolgono soltanto a pensarci.

PRIMO CLOWN (cantando)

     Un piccone, una zappa e un’altra zappa

        E un sudario s’appresti

     E all’ospite una fossa nera e fonda

        Scaviam lesti.

AMLETO Eccone un altro. E’ perché non potrebb’essere il teschio

d’un avvocato? Dove sono ora le sue distinzioni e i suoi cavilli? Le

sue cause, i suoi articoli di legge, e i trucchi del mestiere? Perché

tollera ora che questo villanzone gli legni la zucca con una sudicia

pala e non gli sporge denunzia per lesioni? Mah! Quand’era vivo, 

costui poté essere un gran compratore di terre, con tutte le sue 

obbligazioni, le sue cambiali, le sue conversioni finanziarie, le

sue doppie garanzie e i suoi recuperi. E’ questa dunque la fine

delle sue finanze, e il recupero dei suoi recuperi, d’aver cioè, la

zucca fina sparsa di questa finale sporcizia? E le sue garanzie,

pur se sian doppie, gli san garantire più che non glielo consenta

la lunghezza e la larghezza d’un paio di contratti? Le pergamene

con gli atti di cessione delle sue terre entrerebbero a malapena

in questa scatola del suo cranio. E al proprietario di esse in 

persona non dovrebb’essere concesso maggior spazio? Ah… 

ORAZIO Neppure un dito di più, mio signore.

AMLETO  E una pergamena non è fatta di pelli di pecora?

ORAZIO Sì, mio signore, ed anche di vitello.

AMLETO Son pecore e vitelli che cercano sicurtà, in questo

modo. Voglio parlare a costui. Di chi è questa tomba, signore?

PRIMO CLOWN E’ mia signore.

     E all’ospite una fossa nera e fonda

       Scaviamo lesti.

AMLETO Credo bene che sia tua, perché ci stai dentro.

PRIMO CLOWN Voi ne restate fuori, signore, e perciò non è

vostra. Per parte mia, io ancor non giaccio nella fossa, eppure

è mia. 

AMLETO Eppure tu menti lì dentro, mentre ci stai e dici ch’è

tua. E’ per i morti e non per i vivi, e quindi tu menti. 

PRIMO CLOWN E’ una menzogna viva, signore; e se ne fuggirà

da me per venir da voi.

AMLETO Per quale uomo stai scavando?

PRIMO CLOWN Per nessun uomo, signore.

AMLETO E per quale donna, allora?

PRIMO CLOWN Per nessuna.

AMLETO Chi dev’esser seppelito lì dentro?

PRIMO CLOWN Qualcuno che era una donna, signore. Ma pace 

all’anima sua, adesso è morta.

AMLETO Quant’è meticoloso questo furfante! Dobbiam parlare

secondo le regole, ché altrimenti le ambiguità avran ragione di noi.

Per il Signore Iddio, Orazio, ho potuto osservare in questi ultimi tre

anni che il secolo nostro s’è fatto così raffinato che l’alluce del bifolco

s’approssima di tanto calcagno del cortigiano da grattargli i geloni.

Da quanto tempo fai il becchino?

PRIMO CLOWN Di tutti i giorni dell’anno, ho cominciato proprio

il dì che il nostro povero re Amleto sconfisse Fortebraccio. 

AMLETO E quanto tempo è passato?

PRIMO CLOWN E non lo sapete? Lo sanno anche gli stolti. Fu proprio

il giorno ch’è nato il giovane Amleto, quello che è pazzo e che è stato

mandato in Inghilterra.

AMLETO Ah perbacco! E perché è stato mandato in Inghilterra?

PRIMO CLOWN Mah, perché era pazzo, e lì potrebbe ritrovare il

senno smarrito; che se poi non lo ritrova, là non ci fanno gran caso.

AMLETO E perché?

PRIMO CLOWN Ma perché non se n’accorgeranno. Là son tutti

pazzi come lui.

AMLETO E come è diventato pazzo?

PRIMO CLOWN In modo assai strano.

AMLETO Come sarebbe a dire: ‘strano’?

(W. Shakespeare, Amleto)

 

 

dialogo con la morte

   

PARENTESI TIBETANA

 

parentesi tibetana

 Prosegue in:

l-indipendenza-1.html

 

 

(Con questo blog, mi sono sempre astenuto nel porre commenti personali,

ho lasciato questo compito, alle pagine di letteratura,… scelte.

Se ben ricordo furono i nazisti, e prima di loro molti altri, che bruciarono

biblioteche per paura della cultura, e da tutto ciò che da essa può derivare.

Ma per dovere di cronaca, e memore di quei roghi, e non certo solo per

coscienza, ma istinto coerente nei confronti della storia, lancio un nuovo

appello per la dovuta attenzione ai fatti del Tibet. 

parentesi tibetana

Il caso armeno ha rappresentato il primo esempio di genocidio di massa,

sicuramente, per più alti interessi, troppo spesso taciuto.

Fedele a quegli stessi fatti, perché è la storia che insegna, sollecito la

dovuta attenzione morale, religiosa, teologica, e soprattutto del diritto

di un popolo di esistere per sua stessa cultura, con tutte le leggi che ciò

comporta, traguardo della nostra civiltà, prima di ogni interesse 

economico. 

parentesi tibetana

Leggo oggi, nel momento in cui scrivo la presente, attraverso il sito del

il Fatto Quotidiano (152385) gli episodi di protesta, di cui pochi si

sono occupati.

Sono sensibile alla cultura Tibetana attraverso l’opera impareggiabile

di Fosco Maraini, e fedele ai miei principi, apporterò il mio modesto

contributo alla millenaria storia e civiltà Tibetana attraverso le pagine

di suoi scritti.

Questa è solo una sommaria e breve introduzione.

Segnalo di seguito un sito interessante:

woeser.middle-way.net e ringrazio Il Fatto Quotidiano, per l’interesse

prestato.)

 

 

parentesi tibetana

  

 

16 AGOSTO 1924 (In ricordo di G. Matteotti)

Precedente capitolo:

accompagnato-al-suo-gladiatore.html

Prosegue in:

psicologia-di-un-dittatore.html

 

16 agosto 1924

 

 

Le elezioni generali dell’aprile 1924 diedero una grande maggioranza

al governo; ma, nonostante minacce e violenze, nonostante revisioni e

manipolazioni, l’opposizione raccolse un numero cospicuo di voti

in alcune città-chiave e in alcune province specialmente della Lombardia.

La mattina dopo le elezioni, Mussolini, momentaneamente a Milano,

volle di nuovo ‘vedere’ l’autore del libro. 

16 agosto 1924

Questi, che aveva cessato di scrivere di politica subito dopo l’accordo

italo-jugoslavo, andò contro voglia all’intervista.

Mussolini era lì come una trota pronta per la sua intervista…

Aveva un aspetto truce e preoccupato.

– Che cosa ne pensa,

mi chiese a bruciapelo,

– Dei risultati elettorali in Lombardia?

– Penso,

risposi,

– Che sono un avvertimento. Ciò che succede in Lombardia di solito

è un presagio di ciò che avverrà in tutto il paese. I risultati elettorali

indicano, evidentemente, un aumento dello scontento.

– Che cosa farebbe al mio posto?

– Cercherei,

mi avventurai a dire,

– Di attuare il progetto cui ha accennato in un discorso al Parlamento,

molto tempo fa. Ella disse che i tre grossi partiti più seguiti, fascista,

socialista e cattolico, dovrebbero lavorare insieme per il bene della

nazione; che le fazioni devono morire se questo è il mezzo per far

vivere la nazione. Lei può farlo. Vedo che ha i mezzi….

– Troppo tardi! 

16 agosto 1924

Queste furono le ultime parole che io abbia udite dalle sue labbra.

Due mesi dopo ci fu il delitto Matteotti.

Otto mesi dopo l’Italia cadde in balìa della tirranide.

Che Mussolini debba o non debba essere ritenuto diretto responsabile

dell’assassinio del giovane deputato Matteotti, le cui violente accuse lo

avevano così profondamente turbato è un problema morale la cui

importanza storica è relativamente di poca importanza.

Nonostante tutte le prove raccolte, una mente oggettiva a cui non

piace addossare sulle spalle di un suo simile più colpa di quanto

non sia strettamente necessaria, può ancora supporre che i gregari

di Mussolini diedero un’interpretazione erronea e brutale alle sue

parole, e che mentre egli manifestava ira o proferiva minacce nel

tono sanguinario degli ubriaconi di Romagna, accompagnato alle

sue camicie nere, essi credettero di capire nelle sue frasi violente

ma imprecise, scandite con frequenza precisa e puntuale, una

condanna a morte! 

16 agosto 1924

La stessa mente oggettiva può anche credere che da principio 

i gregari non pensassero all’omicidio, forse solo intimidazioni.

Forse essi – come disse poi la versione ufficiale e come sentenziarono

i giudici (????), ossequienti come al solito (come lo può essere un

buon gladiatore con il suo imperatore) – avevano unicamente l’

intenzione di dare una buona lezione a Matteotti, uno fuori dal coro

della cricca, cricca a cui gli aguzzini e carnefici,…. obbedivano.

Poi una colluttazione imprevista nell’automobile li fece andare 

oltre alle prime intenzioni.

Ma noi sappiamo per certo la verità!

(G.A. Borgese)

 

 

16 agosto 1924

  

IL SANGUE DEL DOTT. STRANAMORE (accompagnato al suo gladiatore)

Prosegue in:

accompagnato-al-suo-gladiatore.html

 

il sangue del dott. stranamore

 

 

Un giorno noi tutti realizzeremo che il primo dovere di ogni buon

cittadino, uomo o donna, di giusta razza, è quello di lasciare la

propria stirpe dopo di sé nel mondo; e che, allo stesso tempo,

non è di alcun vantaggio consentire una simile perpetuazione di

cittadini di razza sbagliata. Il grande problema della civiltà è riuscire

a ottenere, nella popolazione, l’aumento degli elementi di valore rispetto

a quelli di poco valore o che risultano addirittura nocivi.

Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile rendere piena

coscienza dell’immensa influenza esercitata dall’ereditarietà….

Spero ardentemente che agli uomini dinonesti venga impedito del

tutto di procreare; e che ciò avvenga non appena la cattiva natura

di questa gente sia stata sufficientemente provata.

I criminali dovrebbero essere sterilizzati e ai malati di mente

dovrebbe essere vietato avere dei figli, è importante che solo la

brava gente si perpetui. 

il sangue del dott. stranamore

Questa citazione potrebbe essere uscita dalla bocca di uno degli

innumerevoli funzionari politici presenti agli incontri e alle feste

dei raduni della Germania nazista negli anni Trenta.

Ma non è così.

Queste sentenze sono state emesse dal 26° Presidente degli Stati

Uniti, Theodore Roosevelt (e da molti altri…’democraticamente’

parlando), e rappresentano la visione ‘illuminata’ di milioni di

americani rapiti dal movimento ideologico che è stato di fatto 

trascritto dai libri di storia americana (..e non solo). 

il sangue del dott. stranamore

Dalla fine del secolo fino alla Grande Depressione, l’eugenetica

venne abbracciata dalla maggior parte dell’élite degli intellettuali

americani come la panacea per le ingiustizie economiche e per

i malanni sociali che minacciavano il tessuto della vita americana.

L’eugenetica prese piede nel momento in cui i riformatori erano

sempre più scoraggiati dalla loro apparente inabilità a trattare

efficacemente le escalation di criminalità, povertà e inquietudine

sociale.

Il movimento dell’eugenetica incominciò a diffondersi nell’ultimo

decennio del secolo scorso sulla scia della prima ondata migratoria,

che portò con sé la grande espansione dei bassifondi cittadini e 

le prime rivendicazioni sindacali organizzate.

Questo fenomeno raggiunse il suo picco nella fredda atmosfera 

isolazionista che seguì la prima guerra mondiale e che produsse

in America la prima grande paura del ‘pericolo rosso’. Durante 

questo periodo, le vecchie famiglie americane che goveravano il

paese, al fine di promuovere il concetto di una politica eugenetica,

unirono le proprie forze in un’attiva alleanza con gli accademici

e i professionisti del ceto medio. 

il sangue del dott. stranamore

L’élite bianca dell’America anglosassone e protestante diventava

sempre più paranoica sulla questione della perdita del controllo

economico e politico del Paese.

Per la prima volta, l’egemonia della Wasp veniva rigorosamente

sfidata da irlandesi, ebrei, italiani e altri gruppi che rivendicavano

un pezzo del sogno americano.

Allo stesso tempo, professionisti e accademici stavano disperatamente

cercando un modo per spiegare il loro fallimento nell’area delle

riforme sociali ed economiche.

Entrambi i gruppi trovarono la risposta nell’eugenetica.

Il suo fascino era irresistibile.

(J. Rifkin, Il secolo biotech)

 

 

il sangue del dott. stranamore

 

IL PAGANO E IL CRISTIANO

Precedente capitolo:

e-l-equivoco-del-diavolo.html

Prosegue in:

il-cristiano.html

 

il pagano e il cristiano

 

 

Le nostre merci erano molte, e le nostre navi così cariche che tutti i

giorni ci incagliavamo due o tre volte sui bassifondi scogliosi: i quali

in alcuni punti misuravano quattro o cinque leghe ed erano circondati

da banchi di arena così bassi che osavamo veleggiare soltanto in

pieno giorno e sempre con lo scandaglio in mano.

Per questa ragione, decidemmo di non fare nulla prima di esserci

liberati di tutto il bottino che portavamo con noi, e Antonio de Faria

non si preoccupava d’altro se non di trovare un porto ove poterlo

vendere.  

il pagano e il cristiano

E guidandoci il nostro capitano per dare effetto a questa comune

volontà, dovemmo faticare quasi tutta quella notte con le gomene

di rimorchio per risalire il fiume perché la forza della corrente era

tale che ci ricacciava indietro.

Mentre eravamo così affacendati e con la coperta tutta ingombra di

gomene e di cavi al punto che quasi non riuscivamo a muoverci,

vedemmo spuntare dal fiume due grosse giunche, con castelli

posticci a poppa e a prua, tende di seta, e tutte pavesate con

bandiere dipinte di rosso e di nero, che davano loro un aspetto

molto bellicoso, tenendosi accostate l’una all’altra per meglio

concentrare le loro forze, ci attaccarono in modo così improvviso,

che non avemmo alcun tempo di prepararci e fummo costretti a

mollare in mare gomene e cavi così come si trovavano, per approntare

le artiglierie ch’erano ciò che in quel momento ci serviva di più. 

il pagano e il cristiano

Le due giunche ci furono addosso in un momento con alte grida,

rullar di tamburi e scampanii: la prima salva da tre con la quale

ci accolsero fu di ventisei pezzi d’artiglieria di cui nove erano falconetti

e cortane; da ciò comprendemmo subito trattarsi di gente dell’altra

costa di Malacca, ed il fatto ci turbò un poco.

Antonio de Faria che sapeva il fatto suo, vedendole giungere incatenate

comprese subito le loro intenzioni e puntò verso il largo, sia per

avere il tempo di prepararsi, sia per far loro comprendere chi eravamo.

Anche i nemici tuttavia erano esperti della loro arte, e per non farsi

sfuggire la preda dalle mani staccarono l’una dall’altra le due giunche

per poterci meglio colpire, e come furono presso di noi ci abbordarono

subito, lanciandoci addosso una spaventevole pioggia di frecce.

Antonio de Faria si ritirò sotto il cassero assieme ai 25 soldati ch’erano

nella sua giunca, e ad altri dieco o dodici schiavi e marinai tenendo

a bada i corsari per circa mezz’ora con colpi d’archibugio, fino a

quando essi ebbero consumate tutte le frecce; queste però erano 

sì abbondanti che infiorarono tutta la coperta. 

il pagano e il cristiano

Infine i più coraggiosi di loro, in numero di 40, decisero di portare

a termine ciò che avevano iniziato, e saltarono dentro la nostra giunca,

con l’intenzione d’impadronirsi della prua. 

Il nostro capitano fu così costretto a riceverli, e impegnandoci tutti

di buona lena, si accese una mischia così furibonda che, nel tempo di

dire poco più di tre credi, il nostro capo fu così ben servito che dei 40

ne uccidemmo 26, mentre gli altri si gettarono in mare. Allora i nostri,

per trar partito dalla vittoria concessaci dalla mano di Dio, si lanciarono

in venti nella loro giunca, ove non trovarono molta resistenza dato che

i più valenti erano morti, uccidendo a destra e a sinistra tutti quelli

che incontravano.

Fu poi necessario salvare la vita a quelli che s’eran gettati in mare, 

non essendevi braccia sufficienti per tante navi. Apeena fatto ciò

Antonio de Faria si affrettò a porger soccorso a Cristoforo Borralho

che era alle prese con l’altra giunca, e stava assai dubbioso della

vittoria, ché la maggior parte dei suoi uomini erano rimasti feriti.

Ma piacque al Signore che al nostro arrivo i nemici si gettassero

in mare, ove la maggior parte annegò ed entrambe le giunche 

caddero così in nostre mani. 

Improvvisamente, Cristoforo Borralho si mise a gridare dal’altra

giunca dove si trovava:

“Capitano, capitano, venite ad aiutarci, che abbiamo più carne 

al fuoco di quanta se ne possa mangiare!”

Allora Antonio de Faria saltò subito dentro la giunca con quindici

o sedici soldati e gli chiese cosa stesse succedendo.

Borralho gli rispose che aveva udito a prua il vociare di molte persone

che dovevano essersi nascoste, e Faria, avvicinandosi con tutti i

soldati che aveva con sé fece aprire il boccaporto. Si udirono allora

prorompere dal fondo altissime grida di:

“Signore Iddio misericordioso!”, 

il pagano e il cristiano

Assieme a sì spaventose urla e pianti da sembrare un fatto di magia.

Il capitano, alquanto intimorito si accostò allora alla bocca della

stiva con alcuni dei nostri, e vide un gran numero di prigionieri 

distesi sul fondo; non potendo ancora credere a ciò che i suoi occhi

avevano visto, ordinò che qualcuno scendesse a vedere di che si 

trattasse. 

Due dell’equipaggio obbedirono subito e portarono in coperta 17

cristiani, fra i quali v’erano due portoghesi, cinque bambini, due

giovinetti ed otto giovani, tutti ridotti in condizioni così pietose

che era uno strazio guardarli. 

Dopo di ciò fu chiesto a uno dei due portoghesi di chi fossero

quei bambini, come fossero caduti nelle mani di quel pirata e 

come quest’ultimo si chiamasse. 

Egli rispose che il pirata aveva due nomi, uno cristiano e l’altro

pagano: il secondo era Necodà Xicaulem, mentre quello cristiano

era Francesco de Saa….

(Fernao Mentes Pinto, Peregrinacao)

 

 

il pagano e il cristiano

 

 

I COLORI DEL DIO PIUMATO

 

Precedente capitolo:

bravi-naviganti.html

Prosegue in:

e-l-equivoco-del-diavolo.html

 

 

i colori del dio piumato

 

 

Il quetzal conserva la sua bellezza anche da morto.

Così (anche se spennato come vuole l’indole dei più) lo descriveva

tecnicamente l’ornitologo Ridgeway, che poté osservare solo esemplari

impagliati: ” Le penne delle ali sono in gran parte nascoste dalle

copritrici, lunghe, sfrangiate, di color verde-dorato, simili a penne

d’oca, le cui estremità, oltrepassano il bordo esterno delle ali, e

spiccano mirabilmente sul cremisi che si intravede fra esse.

Le estremità delle nere remiganti, lasciate scoperte dalle penne

copritrici contrastano col verde del dorso, ai cui lati si tengono

quando sono in posizione di riposo.

Le scure penne centrali della coda sono interamente nascoste

dalle lunghe copritrici superiori di essa, le quali sono di color

verde-dorato con iridiscenza azzurra o viola con sfrangiature

soffici e sciolte.

Le due copritrici mediane più lunghe superano in lunghezza

l’intero corpo dell’uccello e si estendono ben oltre della coda,

che ha lunghezza normale.

Sciolte e sottili, esse s’incrociano al di sopra della punta della coda,

e quindi, gradatamente divergendo, formano un lugo ed aggraziato

strascico curvilineo, il quale pende verticalmente quando

l’uccello sta appollaiato vivacemente in orizzontale quando esso

è in volo.

Le penne caudali esterne, di color bianco puro, contrastano col

ventre cremisi quando si guardi l’uccello frontalmente o dal basso

verso l’alto.

Completano lo splendore della livrea i riflessi azzurroviolacei del

piumaggio, che ha brillantezza metallica”.

Il quetzal non è più grande di un piccione; ma, per colore e bellezza,

esso supera ogni altro volatile. Stupefacente è la lunga coda.

In sé, essa è nera e bianca, ma di sotto si diparte a cascata una serie

di penne verdi, una più lunga dell’altra.

Queste penne lunghe oltre un metro, di color verde-dorato, sono

quelle che i sacerdoti aztechi usavano per i loro fantastici copricapi,

e che, per l’appunto, ornavano il grande copricapo di Montezuma

ricevuto da Hernàn Cortés.

Tutti noi stavamo là seduti, inconsapevoli, sulle prime del costante

gocciolio dell’acqua. Era pomeriggio, ormai, e, al dire di Chon, le

nubi stavano calando sulla montana per ‘dormire’.

Il quetzal sembrava non curarsi di noi: pesantemente appollaiato

sul ramo, appariva immobile.

Unico indizio di vita, il basso chioccolio da metronomo che ne

faceva sussultare il corpo, e il rapido battito della lunga coda

che accompagnava ogni verso.

Poi lo spettacolo finì.

Una nube più grossa delle altre ci calò lentamente davanti come

un sipario, oscurando la foresta. Fradici, ci alzammo per riprendere

il sentiero del ritorno.

Ma il sentiero adesso era un ruscello gorgogliante.

Gli uccelli cessarono di cantare per andare in cerca di qualche

riparo asciutto.

Le farfalle volarono a rifugiarsi sotto le foglie più grandi.

Gli immensi alberi diventarono ombre indistinte. Sopra lo sgocciolio,

ora lieve ora scrosciante, della pioggia si levava un unico suono:

il fracasso delle scimmie urlatrici.

(V.V. Hagen, Alla ricerca del sacro Quetzal)

 

 

quetzal.jpg