SENZA CALZARI E SENZA DENARI (sosta al convento) (7)

Precedente capitolo:

Senza caciotta e senza pagnotta (6)

Prosegue in:

Senza oggi e senza domani (un racconto ‘eretico’) (8) &

Senza cavalli e senza somari (9)

Dialoghi con Pietro Autier 2:

Ogni infamia sarà cancellata (e donata a calui che neppur l’ha pensata) (31/32) &

I pellegrini di Dio (33)

La sua rima (34)

Foto del blog:

il nuovo

‘Trovatore’ &

i pellegrini

di Dio

Da:

Frammenti in rima


 

una passeggiata








….Dopo talune considerazioni il mio maestro decise di non fare

più nulla. Ho già detto che aveva talvolta di questi momenti di

totale mancanza di attività, come se il ciclo incessante degli astri

si fosse arrestato, ed egli con esso e con essi.

Così fece quel mattino.

Si distese sul pagliericcio con gli occhi aperti nel vuoto e le mani

incrociate sul petto, muovendo appena le labbra come se recitas-

se una preghiera, ma in modo irregolare e senza devozione.

Pensai che pensasse, e risolsi di rispettare la sua meditazione.

Tornai nella corte e vidi che il sole si era affievolito. Da bella e

limpida che era, la mattina stava diventando umida e brumosa.

Grosse nuvole muovevano da mezzanotte e stavano invadendo la

sommità del pianoro coprendola di una caligine leggera.

Pareva nebbia, e forse saliva anche da terra, ma a quella altezza e-

ra difficile distinguere le brume che venivano dal basso da quelle

che scendevano dall’alto.

Si incominciava a distinguere la mole degli edifici più lontani.

Vidi Severino che radunava i porcai e alcuni dei loro animali, con

allegria. Mi disse che andavano lungo le falde del monte, e a valle,

a cercare i tartufi.


giuliano lazzari 2bis.jpg


Io non conoscevo ancora quel frutto prelibato del sottosuolo che

cresceva in quella penisola e sembrava tipico delle terre benedet-

tine, vuoi a Norcia – nero – vuoi in quelle terre – più bianco e pro-

fumato.

Severino mi spiegò cosa fosse, e quanto fosse gustoso, preparato

nei modi più vari. E mi disse che era difficilissimo da trovare, per-

ché si nascondeva sotto la terra, più segreto di un fungo, e gli unici

animali capaci di scovarlo seguendo il loro olfatto erano i porci.


giuliano lazzari 3.jpg


Salvo che, come lo trovavano, volevano divorarselo, e bisognava

subito allontanarli e intervenire a dissotterarlo. Seppi più avanti

che molti gentiluomini non sdegnavano darsi a quella caccia, se-

guendo i porci come fossero segugi nobilissimi, e seguiti a loro

volta dai servi con le zappe. Ricordo anzi che più avanti negli an-

ni un signore dei miei paesi sapendo che conoscevo l’Italia, mi

chiese come mai aveva visto laggiù dei signori andare a pascola-

re i maiali, e io risi comprendendo che invece andavano in cerca

di tartufi.

 

una passeggiata


Ma come io dissi a colui che questi signori ambivano a ritrovare

il ‘tar-tufo’ sotto la terra per poi mangiarselo, quello capì che io

dicessi che cercavo ‘der-Teufel’, ovvero il diavolo, e si segnò de-

votamente guardandomi sbalordito. Poi l’equivoco si sciolse e ne

ridemmo entrambi.

Tale è la magia delle umane favelle, che per umano accordo si-

gnificano spesso, con suoni uguali, cose diverse.

Incuriosito dai preparativi di Severino risolsi di seguirlo, anche

perché compresi che egli si dava a quella cerca per dimenticare le

tristi vicende che opprimevano tutti; e io pensai che aiutando lui a

dimenticare i suoi pensieri avrei forse, se non scordato, almeno te-

nuto a freno i miei.

Né nascondo, poiché ho deciso di scrivere sempre e solo la verità,

che segretamente mi seduceva l’idea che, disceso a valle, avrei for-

se potuto intravedere qualcuno di cui non dico.

Ma a me stesso e quasi ad alta voce asserii invece che, siccome per

quel giorno si attendeva l’arrivo delle due legazioni, avrei forse po-

tuto avvistarne una.

(U. Eco, Il nome della rosa)






Eventi-macro_tartufi_tartufo_nero_di_norcia.jpg

SENZA CACIOTTA E SENZA PAGNOTTA (il cibo del pellegrino) (6)

 

 

senza caciotta e senza pagnotta




Precedente capitolo:

(da Trondheim) a Roma (5)

Prosegue in:

senza calzari e senza denari (sosta al convento) (7)








Un testo agiografico del X secolo racconta di Oddone di Cluny,

in viaggio per un pellegrinaggio a Roma assieme a un giovane

compagno, il monaco Giovanni, che sarà poi il suo biografo e 

ne scriverà la ‘Vita’.

Appunto in un passo di questa leggiamno che, mentre i due

stavano attraversando le Alpi sulla via del ritorno da Roma, si

affiancò loro un vecchio contadino – pauper, lo designa il testo

– con sulle spalle un sacco di viveri per il viaggio: pane, aglio,

cipolle e porri. 

 

senza caciotta e senza pagnotta


Racconta Giovanni: ‘Il pio Oddone, appena vide quell’uomo,

lo invitò a sedere sul suo cavallo e si mise in spalla il suo feti-

dissimo sacco. Io non riuscivo a sopportare quel fetore, e mi 

allontanai dalla compagnia rallentando il passo. Ma l’abate lo

richiamò e gli disse: ‘Ahimé, ciò che quest’uomo può mangia-

re a te provoca nausea fino a non sopportarne l’odore?’.

Con tali parole fece vergognare il discepolo ‘e così facendo –

conclude Giovanni – curò il mio odorato”.

 

senza caciotta e senza pagnotta


Al di là del finale edificatorio, l’episodio restituisce con imme-

diata efficacia una situazione che dobbiamo subito mettere a 

fuoco: colui che per convenzione chiamiamo ‘pellegrino’ è un’-

astrazione, che in qualche modo è necessario riportare a una 

dimensione concreta.

Il pellegrino non è altri che l’uomo, e gli uomini non sono tut-

ti uguali – così almenno andavano le cose nel Medioevo. Non

ci sono ‘uomini’ in generale ma signori e contadini, monaci e

borghesi, ricchi e poveri, potenti e deboli. 

E non tutti mangiano allo stesso modo (come ben potete vede-

re…).


senza caciotta e senza pagnotta


Il monaco Giovanni, abituato a mangiare bene, abituato a pro-

fumi e sapori raffinati, non può sopportare il fetore di aglio e 

cipolla che promana dal sacco dell’occasionale compagno di 

viaggio. 

Dunque il ‘pellegrino’ in realtà non esiste: esiste il pellegrino

contadino, esiste il pellegrino monaco, esiste il pellegrino si-

gnore, e ciascuno di di essi mangia quello che il suo ceto (e la

sua indole, la sua cultura, la sua, a volte, dubbia natura e mo-

ralità…. come succede ancor oggi…) sociale suggerisce o impo-

ne, in un mondo in cui l’alimentazione era il primo strumento

per manifestare le differenze di classe, il prestigio, la ricchez-

za, il potere (e molti, a prescindere la carità, ieri come oggi

mangiano e gustano lo sudore dell’altri…).

 

senza caciotta e senza pagnotta


Vi sono cibi che, nella cultura medievale, possiedono uno

‘statuto sociale’ per definizione povero: gli ortaggi, le umili er-

be e radici dell’orto, il pane e la pasta, e sono percepiti come

cibi contadini, contrapposti agli alimenti di lusso – la selvaggi-

na, la frutta che contraddistinguono…, la mensa signorile…

(Prosegue…) 







 

senza caciotta e senza pagnotta

DA TRONDHEIM (a Roma) (4)

Precedente capitolo:

lo straniero (3)

Prosegue in:

(da Trondheim) a Roma (5) &

Ogni infamia sarà cancellata (e donata a chi neppura l’ha pensata) (31/32)

Foto del blog:

da Trondheim

a Roma

Da:

Frammenti in rima



 

da trondheim








Durante l’Avvento, verso la metà di dicembre del 1499,

Sua Santità Alessandro VI visitò la basilica di San Pietro,

per riconoscere, nella cappella della Veronica, il sito del-

la ‘porta aurea’ da riaprire per il giubileo.

Il pontefice dispose per una degna incorniciatura marmo-

rea, incaricò il datario di stendere la minuta della bolla

con l’indulgenza plenaria per chi, forestiero, visitasse quin-

dici volte le quattro basiliche di San Pietro, San Giovanni 

in Laterano e Santa Maria Maggiore (trenta volte per i ro-

mani), ordinò che quattro religiosi, due al giorno e due la

notte, restassero a custodire la basilica di San Pietro in mo-

do che nulla di disonesto vi avvenisse durante la prossima

ininterrotta apertura.

 

da trondheim


Si scoprì che nel punto indicato dai canonici e popolo non

vi era mai stata alcuna porta, ma per non contraddire la de-

vozione fu comunque ordinato che il muratore mastro Tom-

maso Matarazzo avesse ad assottigliare il muro, sì che il pa-

pa, all’ora dei Vespri di Natale, potesse abbatterlo premen-

do con la mano.

Molti romei si erano già messi in viaggio.  Dai più lontani

luoghi. Questa volta non dalla Groenlandia; la colonia scan-

dinava che aveva avuto il suo pastore nel vescovo di Gar-

dar era ormai estinta, per la malnutrizione, le epidemie, pro-

babilmente l’inversione al peggio della tendenza climatica.

Nei tempi buoni questi cristiani avevano pagato l’obolo in

ossa di balena, che venivano vendute a Bruges a beneficio

della Camera Apostolica.

 

da trondheim


L’arcivescovo di Trondheim, come da poco si chiamava 

(prima era stata Nidaros, poi sarà Trondheim), era il capo

della provincia ecclesisatica cattolica più remota del conti-

nente. 

Per latitudine il sito si trova solo di poco a sud della costa

islandese; le notti sono brevi d’estate, i giorni brevissimi d’-

inverno, ma il mare è sempre sgombro dai ghiacci.

La piccolissima città era su un meandro della Nidelva po-

co a monte del suo sbocco al mare nel fiordo, ma c’erano poi

oltre 100 chilometri d’acqua perché si fosse in mare aperto,

fuori dal fiordo e al largo delle isole costiere. 

 

da trondheim


L’età delle chiese di legno vichinghe, elastiche al vento e al-

la neve, costruite con tecnica di carpenteria marinaresca e in-

tagliate come prue di navi, era tramontata, ma probabilmen-

te a Trondhjem di edifici in pietra non v’era molto più dell’ar-

cigno palazzo arcivescovile e della Domkirke, l’inaspettata 

grandissima cattedrale medievale di tutta la Scandinavia.

La città di Bergen, tappa obbligata nel lungo viaggio del ro-

meo, era uno dei punti fondamentali del commercio anseati-

co; il florido ‘kontor’ aveva grossi privilegi, da molti subiti 

più che accettati; esportazioni e importazioni norvegesi era-

no ormai in mani tedesche: pesce e pellicce contro cereali, 

vino e tessuti.

 

da trondheim


Da Bergen alla città anseatica di Amburgo vi era una naviga-

zione di oltre 500 miglia marine. Si seguiva la costa norvege-

se, con gli abeti sopra le rocce fitte di uccelli marini, un bian-

core di ghiacci sui monti arrotondati sopra gli abeti. 

Tagliato l’imbocco dello Skagerrak, nel Mare del Nord si se-

guivano le quasi invisibili rive dello Jutland e le isole setten-

trionali della Frisia; era un paesaggio incerto, di bassi fondali

 

da trondheim


e di basse terre, la divisione tra i due universi mutevole o per

maree e burrasche o per dighe costruite, distrutte, rinnovate:

‘Dio ha creato il mare e la terra’ dice un proverbio della Frisia,

‘i frisoni hanno fatto la costa’.

Il momento più delicato della navigazione era probabilmen-

te l’individuazione dell’estuario dell’Elba. Su un’isolaletta di

dune sabbiose quelli di Amburgo avevano costruito, già al

principio del 300, il faro di Neuwerk, il più antico della costa

tedesca. 

(Prosegue…..)






 

da trondheim


ERETICI

 

Prosegue in:

espulsione e concentramento &

fuori dal recinto (25)

Foto del blog:

eretici 

 

 

 

eretici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Noi fra Guido di Vicenza dell’ordine dei Predicatori, dopo

aver fatto l’inquisizione generale, ecc., abbiamo trovato che

Zaccaria, figlio del fu Zanne Balbo di Sant’ Agata, distretto

di Bologna, sia per le sue confessioni fatte in giudizio più

volte in nostra presenza sia per le testimonianze di altri, ha

deviato dalla dottrina cristiana e dalla fede cattolica, seguen-

do e professando la dottrina, la credenza e la setta di Dolcino,

eretico di Novara, e del fu Gerardo Segarelli di Parma, dicen-

do ed affermando parole erronee e nefande, che sono contra-

rie alla fede cattolica ed ai BUONI COSTUMI.

Poiché Zaccaria revocò quanto sopra e promise dinanzi a noi

con giuramento e si obbligò nei beni e nella persona a profes-

sare nel futuro e osservare la fede, le credenze e la dottrina

della santa Chiesa romana ed abiurò inoltre ogni eresia e ri-

nunciò alla credenza, alla fede, alla congregazione, al modo

di vivere e alla setta di Dolcino e Gerardo e dei loro seguaci,

gli concedemmo eccezionalmente la nostra misericordia, im-

ponendogli per le colpe commesse, una penitenza, che pro-

mise di ottemperare inviolabilmente, come risulta dalla sen-

tenza da noi pronunciata contro di lui il 10 giugno del 1299.

Tuttavia, poiché egli, immemore della propria salvezza e cal-

pestato il vincolo del proprio giuramento, ritornò al proprio

vomito e ricadde nell’eresia abiurata, professando ed osser-

vando il modo di vivere, la dottrina e la setta degli eretici

Dolcino e Gerardo dei loro seguaci, i quali, tra l’altro, sono

apertamente contrari alla proposizione del Credo relativa al-

l’unità della Chiesa, che si adoperano a disunire e di cui di-

stinguono falsamente diversi modi di essere, asserendo e di-

cendo che la Chiesa di Roma ha perduto la bontà e la saggez-

za ed è rappresentata e simboleggiata dalla città di Babilonia,

di cui si parla nell’Apocalisse, la quale sarà distrutta per i pro-

pri malvagi peccati, ed interpretando falsamente alcuni passi

delle Scritture e attribuendo ad esse un significato falso e con-

trario alla verità cattolica e alla sana dottrina.

Per queste ragioni facemmo prendere e portare in giudizio al

nostro cospetto Zaccaria, lo esaminammo e trovammo, grazie

alla confessione da lui stesso fattaci, che era stato credente di

eretici e per molto tempo irretito nell’eretica pravità; che aveva

finto di convertirsi e che era spergiuro nelle sue deposizioni e

confessioni e per ciò stesso scomunicato e ricaduto nell’eresia

abiurata, come risulta dagli stessi atti processuali.

Pertanto formalizzata l’istruttoria, dopo aver citato perentoria-

mente nei termini di legge Zaccaria perché comparisse dinanzi

a noi per fare e ricevere ciò che prevede la procedura e soprat-

tutto per ricevere copia dell’istruttoria, e dopo avergli fissato

un termine per dichiarare, produrre, proporre e provare tutto

ciò che poteva essere funzionale alla sua difesa e discolpa; pre-

so atto del fatto che né Zaccaria né altri per lui ha prodotto una

qualche difesa giuridicamente accettabile; presa visione ed esa-

minati diligentemente gli atti processuali; tenutosi su di essi una 

riunione di saggi alla presenza di don Federico, vicario del vene-

rabile padre Uberto vescovo di Bologna; con il consenso ed il be-

neplacito dello stesso vicario; con piena ed autonoma decisione,

dopo aver citato Zaccaria in conformità della legge perché ascol-

tasse il verdetto, e costituitolo dinnanzi a noi; invocato il nome di

Cristo, per l’autorità di cui siamo rivestiti nel presiedere questo

tribunale, in questo documento sentenziamo e pronunciamo defi-

nitivamente che EGLI FU A LUNGO VISSE COME CREDENTE DI

ERETICI ed irretito nell’eresia e che nelle sue confessioni e depo-

sizioni fu spergiuro, recidivo e ricaduto nell’eresia abiurata e di

conseguenza scomunicato e che è incorso in tutte le pene canoni-

che e civili previste a tal riguardo; pertanto giudichiamo e con-

danniamo Zaccaria, in conformità alle sanzioni canoniche, CO-

ME ERETICO ricaduto nell’eresia abiurata e lo abbandoniamo

al braccio e alla giustizia secolare, comsegnandolo nelle mani e

in balia di Roberto della Crota, podestà di Bologna. 

A testimonianza di ciò ordiniamo a te, Alberto di Carbone, no-

stro notaio, di redigere di quanto sopra un documento ufficiale.

PERTANTO CONFISCHIAMO E DICHIARIAMO PUBBLICA-

MENTE CONFISCATI, dedotte le spese processuali sostenute

dall’Ufficio dell’Inquisizione, tutti i beni di Zaccaria, mobili ed

immobili, i diritti, i titoli, le azioni reali e personali, di qualun-

que natura essi siano e dovunque e presso chiunque si trovino,

a partire dal momento in cui egli ha commesso il crimine, e li

dichiariamo nulli.

DICHIARIAMO INOLTRE da cessare e cassiamo ogni contrat-

to e alienazione di qualsivoglia genere operati da Zaccaria o

da chiunque altro a partire dal momento in cui è stato perpe-

trato il crimine e li definiamo privi di qualsiasi valore e forza.

Riserviamo nondimeno a noi ed ai nostri successori la piena

autorità e facoltà di mutare, aggravare o allegerire quanto so-

pra, una o più volte, nei limiti concessi dalla norma e qualora

lo riterremo opportuno.

Il predetto Podestà, nelle sue funzioni di giudice e in confor-

mità a quanto previsto dagli statuti del Comune di Bologna,

dalle costituzioni papali nonché da qualsiasi altra norma giu-

ridica, condanna il predetto Zaccaria ad ESSERE CONDOTTO

NELLA PIAZZA DEL MERCATO E LI’ BRUCIATO FINO A

CHE NE MUOIA.

(Questa condanna fu letta e pubblicata da me, mastro Zambonino,

notaio del podestà, dal balcone del palazzo vecchio del Comune

durante la seduta plenaria del CONSIGLIO COMUNALE, convo-

cato secondo l’uso con la campana; e in tale seduta del consiglio, il

Podestà pronunciò la sentenza, CONDANNO’ E DIEDE ORDINE

CHE FOSSE ESEGUITA ALLA LETTERA NEL 1303, PRIMA

INDIZIONE, 17 DICEMBRE.)

(Processi contro gli eretici)





 

 

eretici

          

LAUDATE HOMINEM

Prosegue in:

il folle l’idiota & la cameriera &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

Foto del blog:

Laudate

Hominem

Da:

Frammenti in rima



 

laudate hominem








– Il potere che cercava

il nostro umore

mentre uccideva

nel nome d’un dio,

nel nome d’un dio

uccideva un uomo:

nel nome di quel dio

si assolse.

Poi chiamò dio

poi chiamò dio quell’uomo

e nel suo nome

nuovo nome

altri uomini

altri

altri uomini

uccise.

Non voglio pensarti figlio di Dio

ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.

Ancora una volta

abbracciammo

la fede

che insegna ad avere

ad avere il diritto

al perdono

sul male commesso

nel nome d’un dio

che il male non volle

il male non volle

finché

restò uomo

uomo.

Non posso pensarti figlio di Dio

ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.

Qualcuno

qualcuno

tentò di imitarlo

se non ci riuscì

fu scusato,

anche lui

perdonato

perché non si imita

imita un dio

un dio va temuto e lodato

lodato….

Laudate hominem

No, non devo pensarti figlio di Dio

ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.

(Fabrizio de André, Laudate hominem, La Buona Novella)



 
 
 
 
 
 
 

laudate hominem

FRA UBERTINO DA CASALE (circa la ‘questio’ della povertà del Cristo) (19)

Precedenti capitoli (circa la ‘questio’):

Fra Michele da Calci…

l’eresia del lettore ed i limiti della cultura (13/14)

 

fra ubertino da casale 20


‘nummus non parit nummos’ (17/18)

Prosegue in:

Fra Ubertino da Casale (20)

Foto del blog:

Fra Ubertino

da Casale

Da:

Frammenti in rima



 

fra ubertino da casale 20








Nel detto anno del signore, mille trecento ventidue,

rispose frate Ubertino da Casale, dinanzi a messere

Giovanni detto, papa ventidue, e dinanzi alli cardi-

nali e a molte altre persone aletterate, alla quistione

che s’era mossa intra li frati minori e li predicatori,

della povertà di Cristo, dicendo così:

 

fra ubertino da casale 20


Non è da rispondere semplicemente, afermativamen-

te, o vero negativamente, ma per doppia distinzione

la verità della fede è da essere eletta, e la resia è da

essere rifiutata; e primamente è da distinguere di Cri-

sto e degli appostoli suoi, che essi furono in duplice

stato, perciò che furono universali prelati della chie-

sa del nuovo testamento, et in questo modo ebbero

quanto ad autoritade di dispensazione e di distribu-

zione per dare a’ poveri e a’ ministri della chiesa, si

come delgli appostoli, nel quarto capitolo; e negare

e dire che in questo modo non n’avessero, sarebbe

cosa eretica.

E di questo non corre la prima quistione, imperò

che niuno in questo senso l’à negato, e per questa

autoritade della prelazione si dice che Cristo ebbe

li loculi.

 

fra ubertino da casale 20


Secondamente Cristo, e gli suoi appostoli, si posso-

no considerare singulari persone, fondamento del-

la religiosa perfezione, e perfetti dispregiatori del

mondo; e la gloria d’esso mondo calcanti, e li con-

sigli di Cristo di sopravanzamento di perfezione,

in sé medesimi osservanti, e danti lucidi, cioè chi-

ari esempli a tutti quelgli che volgliono essere per-

fetti.

E se s’adomanda se in in questo modo ebbero, è da

distinguere di due modi d’avere, delle quali lo pri-

mo e civile e mondano; il quale modo d’avere, le 

leggi imperiali lo definiscono ne l’istituta de verum

dominio; lege ea in bonis nostris, due sue parti dimo-

strando in queste parole ea in honis nostris.

Nostri sono detti quelgli beni nelgli quali abiamo

le eccezione e la difensione, e non avendoli, cioè

essendoci tolti, abiamo le repetizione.

E così si manifesta che colui che à alcuna cosa ci-

vilmente e mondanamente, puote la cosa sua da

colui che gliele vuol torre, e radomandarla a colui

che la tiene sotto il giudice imperiale.

Et in questo modo, dire, che Cristo e li suoi appo-

stoli ebbero le cose mondane, è cosa eretica, impe-

rò ch’è contra il santo evangelio; conciò sia cosa

che Cristo, re pacifico, il quale fece gli appostoli

suoi figlioli di pace, separò loro da ogni litigio

mondano, dicendo in san Matteo, nel quinto capi-

tolo: ‘e colui, il quale vuole teco in giudicio conten-

dere e la tonica tua torre, lasciagli anche lo man-

tello’.

 

fra ubertino da casale 20


E santo Luca, nel sesto capitolo, dice così: ‘a colui

che ti toglie il vestimento, eziando la gonella nol-

gli volere vietare: e a colui che ti toglie le cose tue,

non gliele radomandare’.

Nelle quali parole Cristo rimuove da se ongni do-

minio e signoria, perciò che fece quello che insegnò;

e questo medesimo impuose a’suoi appostoli; rimuo-

vere, cioè due modi di ragionare, civile e mondana

cioè, la difensione della cosa che l’uomo à, e la repe-

tezione che à perduta; ed in questo modo d’avere,

propiamente si dice avere nella cosa propietade et

signoria.

E Cristo e gli suoi appostoli, in questo modo non n’-

ebbero. Onde santo Piero per se e per tutti gli appo-

stoli, disse, si come vero povero, nel ventiquattro ca-

pitolo di santo Matteo: ‘eco che noi abiamo lasciato

ongni cosa et abiamo seguito te ecc.’.

Dire adunque, che Cristo e gli suoi appostoli in que-

sto modo ebbono in comune et in ispeziale propietà

e dominio, è cosa eretica e blasfemia.

Per altro modo si possono avere le cose temporali,

quanto a ragione della natura e della comune carità…

(Prosegue…..)

(Storia di Fra’ Michele Minorita)

(Doppiamente arso da lo foco delle notti bianche…..)






 

fra ubertino da casale 20


TRA ERESIA E ORTODOSSIA (15)

Precedenti capitoli:

l’eresia del lettore (ed i limiti-della cultura) (13)

l’eresia del lettore (ed i limiti della cultura) (14) 

Prosegue in:

tra eresia e ortodossia (16)



 

tra ortodossia e eresia 15









Per essere buoni giudici della storia, è importante, anche

e soprattutto, evidenziarne i giusti meriti, che a mio avvi-

so, non debbono essere sottovalutati, di chi spesso nomi-

nato nel difficile giudizio e rapporto che incorre fra l’orto-

dossia con l’eterodossia. 

Per non incorrere, e troppo spesso inciampare, nel facile

ed ugual errore di quegli stessi inquisitori così spesso no-

minati. L’importante è cogliere l’inquadramento storico

così come questo può apparire nelle tinte, non sempre fo-

sche, di un felice quadro, in cui i francescani ed i minoriti

e tutti quegli ordini direttamente o indirettamente da

‘Francesco’ derivati (i quali rappresentano un paesaggio

il cui studio appare interessante ed altresì attuale)  hanno

dato e continuano a dare il ‘giusto’ (quando non sono inqui-

sitori) contributo nella difesa di tutti quei valori cui l’uomo,

riflesso nel sistema sociale ‘cui è costretto partecipare’, spes-

so suo malgrado, ne diviene vittima, consapevole e non….

Uno di questi motivi, di quella come l’attuale società, è il

difficile tema dell’usura, colpa spesso attribuita in maniera

affrettata, nei vari giudizi storici, da cui sovente gli eretici

(e non solo) si sono dovuti difendere da un non approfon-

dito esame socio-economico della loro condizione. 

Non mi dilungo in un inutile sermone, che richiederebbe

una analisi cui gli eretici (nei vari secoli cui sono protago-

nisti, sin dagli albori dei Vangeli di Cristo) furono costret-

ti, ed a cui, nell’impossibilità di amministrare i propri beni,

si dovettero indirizzare. Nei diversi contesti sociali in cui

il loro ruolo non fu mai riconosciuto né tantomeno ‘ufficia-

lizzato’ così’ da dover vivere ‘anche negli agi’ nel costante

timore che la legge (ecclesiastica e non) poteva interveni-

re per quegli ‘errori’… in cui la storia giammai deve rica-

dere. 

E di cui, l’ortodossia cattolica, di contro, ha combattuto la

giusta ‘guerra’ con i suoi rappresentanti…, nella differenza

sostanziale (riportata nella breve citazione di Le Goff ‘Sosta

ad Avignone) che un papa era in grado di ri-organizzare le

proprie finanze in modo più che legittimo, mentre non mol-

to lontano da lì, secolari protagonisti di tristi vicende ere-

tiche furono costretti (come in altri luoghi), causa l’inaspri-

mento inquisitoriale, a veder distrutti sottratti e confiscati

tutti i propri averi. 

Quindi di fondo, ci sono delle precise motivazioni socio-

storico-economiche diluite nella clessidra del Tempo, nel-

le quali, se pur contraddicendo i loro stessi principi, alcu-

ne di queste sette ereticali, si videro costrette a delle prati-

che condannate (giustamente) da un preciso pensiero reli-

gioso (e non solo), che  non doveva essere macchiato da

quella stessa ‘materialità’ cui ambedue (ortodossia e etero-

dossia) combattevano.

Nella differenza, che l’ortodossia con i suoi scismi ordini

 e poteri ben estesi e riconosciuti ovunque, poteva conta-

re su una solida e redditizia base economica, principio di 

ricchezza e potenza; l’eterodossia, invece, navigando in 

un contesto sociale non sempre consolidato (eccetto che

in precisi ruoli e caste) nell’inquadramento della città-

stato, o castello-stato, doveva far forza su quegli stessi 

principi che spesso combatteva.

La corretta analisi storica impone quella imparzialità cui

spesso i nostri assistiti ne furono privati, per essere al di

 sopra dei ruoli che la società ed i suoi costumi troppo

spesso vogliono attribuire senza la giusta e dovuta……

conoscenza.

Quindi, la correttezza storica impone questo compito se

si vuol essere, non dico giudici, ma per lo meno ‘giusti

testimoni’, di quello stesso quadro cui sovente ci affac-

ciamo per ammirare oltre che la bellezza dei suoi conte-

nuti, anche le giuste proporzioni, la giusta prospettiva,

la maestria e l’ingegno, che spesso sappiamo costretti a

temi ricorrenti per le volontà dei suoi acquirenti nel va-

sto panorama italiano (e non solo) dell’arte e della cultu-

ra, e che ci debbono far riflettere, anche, e non per ultimo,

sui reali e veri contenuti che vanno al di là delle pure for-

me ricorrenti rappresentate.

In ragione di questi motivi riporto questo prezioso ed il-

luminante se pur breve documento storico per il tema fin

qui trattato.

(Giuliano Lazzari, curatore del blog….)


 

tra ortodossia e eresia 15



Il 5 novembre 1387 il domenicano Antonio di Settimio, 

inquisitore nella Lombardia superiore e marca genovese,

si trova nella cappella dei Battuti di Pinerolo, uno dei luo-

ghi che aveva scelto per svolgere la sua attività antieretica-

le nel Piemonte occidentale.

Davanti a lui Antonio Galosna, originario di S. Raffaele –

una località posta sulle colline, oltre il Po, di fronte Chivas-

so -, che il registro inquisitoriale qualifica come ‘frater de

Tertio Ordine Beati Francisci’. 

Non casualmente la prima domanda che l’inquisitore rivol-

ge al Galosna si riferisce a ‘quis dediti sibi habitum quem

portat fraticellorum Tertie Regule Beati Francisci’.

Il domenicano Antonio di Settimio vuole dunque sapere se

il Galosna appartenga a pieno diritto al Terz’Ordine oppu-

re se sia uno dei tanti predicatori itineranti che si attribui-

vano o ai quali popolarmente veniva attribuito il titolo di

‘frater’ in riferimento alla loro attività religiosa e al loro sti-

le di vita ispirati genericamente a modelli evangelico-pau-

peristici o, più in particolare, all’esperienza francescana,

anche se non riconosciuti canonicamente.

Il Galosna risponde di aver ricevuto l’abito del Terz’Ordi-

ne da Tommaso Ferreri e dei Ferraris di Chieri, provenien-

te dall’Ordine dei Minori nel 1377. 

Il Galosna in seguito era rimasto legato a questo vescovo:

ne era stato ‘socius’ e lo aveva accompagnato nel 1381 nel-

le valli di Lanzo, quando il vescovo si era là recato a con-

sacrare le chiese di Viù e di Pessinetto. 

Proprio a Viù – località montana, principale centro dell’-

omonima valle – casualmente il Terziario aveva fatto in

quell’occasione la sua prima conoscenza degli eterodossi.

(Prosegue…)






 

tra ortodossia e eresia 15


SOSTA AD AVIGNONE (denaro & guerra) (11)

Precedenti capitoli:

sosta ad Avignone (denaro & guerra) (9)

sosta ad Avignone (denaro & guerra) (10)

Prosegue in:

sosta ad Avignone (denaro & guerra) (12)

Foto del blog:

sosta

ad Avignone

Da:

Frammenti in rima



 

sosta ad avignone









L’approvazione dei benefici palesa l’esistenza di una

nuova fonte di reddito, tanto che non pochi ecclesia-

stici prendono l’abitudine di indirizzare al papa richi-

este finalizzate all’ottenimento di benefici ancora occu-

pati da altri titolari.

Per essere più efficaci, tali suppliche sono accompa-

gnate da doni. Jean Favier cita la supplica indirizzata

al papa da un ecclesiastico aragonese nel 1309:


Nessuno crede che si possa compiere il bene, per dovere,

pietà o carità, se non si dispone di denaro. 


Il fisco avignonese acquisì un tale potere che tanti

chierici che non riuscivano a pagare il dovuto otten-

nero una diminuzione delle somme da versare. 

Un’altra conseguenza degli aumenti delle pretese fi-

scali fu che il pagamento delle imposte annuali sui

benefici principali e dei ‘comuni servizi’ fu sempre

più spesso regolato in forma scaglionata invece che

in un’unica soluzione, come prevedeva la regola.

I papi di Avignone rilanciarono in pratica, ma fino ad

allora limitata: mercanteggiare la concessione ai prin-

cipi laici dell’usufrutto di un contributo dovuto alla

Chiesa.

Questa prassi, pur nata in precedenza, si era generaliz-

zata all’epoca delle crociate, che in parte avrebbe dovu-

to contribuire a finanziare.

I principi cristiani ripresero questo costume nel XIV se-

colo, il che indusse la Chiesa a evocare la possibilità di

indire una nuova crociata.

Di nuovo si osserva il legame tra il denaro e la guerra,

reso ancora più notevole dal fatto che si tratta di una

guerra dalle motivazioni religiose – per quanto divenu-

ta ormai illusoria, come dimostrerà la storia.

Un altro metodo per incamerare contante escogitato dal

papato avignonese sono le cosiddette procure: gli eccle-

siastici di alto rango – vescovi, arcidiaconi, decani – ave-

vano l’obbligo di visitare a intervalli regolari le chiese

poste sotto la loro giurisdizione; per coprire le spese di

trasferta ricevevano rimborsi chiamate procure.

Innocenzo IV, nel XIII secolo, aveva abolito le procure

rendendo obbligatoria la concessione di ospitalità gra-

tuita ai prelati in visita.  

(J. Le Goff, Lo sterco del diavolo)





 

sosta ad avignone

UNA ‘BOLLA’ PER IL PARADISO (7)

Precedenti capitoli:

una ‘bolla’ per il paradiso (5)

una ‘bolla’ per il paradiso (6)

Prosegue in:

una ‘bolla’ per il paradiso (8)




 

una bolla per il paradiso 7










Aveva il mio devoto padrone finito appena di pronunciare 

la sua orazione, quando lo sciagurato bargello si piega di

schianto e va a dare un tale stramazzone in terra, che la chie-

sa ne risonò tutta; e lì cominciò a mugliare e a schiumar dal-

la bocca e a storcela e far visacci, smanacciando e scalciando,

voltandosi sul pavimento di qua e di là.

Il subbuglio e il clamore della gente erano così grandi che 

non si udivano gli uni con gli altri. Alcuni spaventati e sgo-

menti; chi diceva: “Il Signore lo soccorra e lo protegga!”, e chi:

“Se l’è meritato con la sua falsa testimonianza!”.

Finalmente alcuni e, ritengo, non senza parecchio timore, gli

si avvicinarono e gli afferrarono ben strette le braccia, con le 

quali affibbiava energici pugni a quanti gli stavano accosto;

altri lo tiravano per le gambe, e dovevano farlo assai vigoro-

samente perché non c’era al mondo mula bisbetica che vibras-

se calci così gagliardi.

E in quel modo lo tennero un bel pezzo: ché c’erano sopra di

lui più di quindici uomini e a tutti riusciva a dar cazzotti, ed

anche nel muso, se non stavano attenti.

In questo mentre, il mio signor padrone se ne stava in ginoc-

chio nel pulpito (e da qual pulpito….), le mani e gli occhi le-

vati al cielo, astratto in sovrumana estasi, talché il pianto e il

trambusto e lo strepitio che c’erano nella chiesa non bastava-

no a sviarlo dalla sua divina contemplazione.

Quelle brave persone salirono sul pulpito e a forza di grida

lo destarono dal suo sonno mistico, supplicandolo di voler 

soccorrere quel poveretto che stava morendo, senza badare a

quel ch’era accaduto e alle cose malvagie che aveva detto, ché

ormai ne aveva ben pagato il fio; ma, se in qualcosa poteva

giovare per liberarlo dal pericolo e dalle sofferenze che pati-

va, lo facesse per amor di Dio, ché loro erano ben convinti del-

la colpa dell’altro e dell’innocenza e bontà sua, giacché il Signo-

re, accogliendo la sua richiesta e facendo le sue vendette, non

aveva tardato a mandare il castigo.

(Prosegue…..) 






 

una bolla per il paradiso 7


UN UOMO (sosta al Consolato…) (3)

Un articolo:

l’Italia è spiata dagli USA…..

Precedenti capitoli:

un uomo (sosta a Roma) 

un uomo (sosta a Roma) (2)

Prosegue in:

un uomo (sosta al Consolato) (4)

Foto del blog:

il giudice

dei divorzi

Da:

i miei libri



 

un uomo 3









…Distrarti da un’idea, cacciarti in qualche nuovo puntiglio,

condurti lontano, il più lontano possibile.

Dove?

Dall’altra parte del globo terrestre, in America!

Lo avrei fatto, gli dissi. Ma, dicendolo, non tenni conto d’una

realtà. V’è una cosa che il tremendo Leviatano, il gran mostro

autoelettosi campione di democrazia, l’America, ha in comune

con le tirannie di destra e di sinistra. E questa cosa è lo Stato

forte, arrogante, spietato, sorretto dalle sue leggi manichee, dal-

le sue regole mutilanti, dai suoi interessi spietati, dal suo timore

anzi dal suo odio per le creature che non rappresentano una mas-

sa, per gli individui che nel suo computer non corrispondono a

una scheda precisa, a un codice di conformismo, a una religione.

I reprobi soli…

Il reprobo solo non esce e non entra, a lui non si dà né il passa-

porto per uscire dalle frontiere della tirannia, né il visto per en-

trare nelle frontiere del gran mostro autoelettosi campione di de-

mocrazia.

Proprio perché è solo, perché non ha alle spalle un partito, i suoi

diritti civili sono stati barattati da qualche trafficante di turno, e

non ha un’ideologia di partito che gli possa garantire una sorta

di immunità, quindi un potere che garantisca per lui.

Paradossalmente, i dissidenti che lasciano l’Unione Sovietica

non sono reprobi: dietro di loro c’è una casistica, c’è la dottrina

dell’opposta barricata, il tornaconto del Leviatano per cui essi

sono merce di scambio, moneta da spendere in nome degli e-

quilibri mondiali.

Io ti dò un X tu mi dai un Y…

Non perché mi prema mettere in salvo la sua persona, ma per-

ché il suo cervello mi serve a dimostrare che tu sei cattivo e che

il suo caso è emblematico.

Dietro un don Chisciotte che non serve a nessun potere, invece,

che non fa comodo a nessuna barricata, che rompe le scatole a

tutti, che va a  metter la bomba col taxi guidato dal cugino, che

di conseguenza agisce secondo la sua morale e basta, la sua fan-

tasia e basta, i suoi pazzi sogni e basta, chi c’è?

Quale Stato garantisce per lui, interviene per lui, quale politica?

Rientra forse nella casistica, lo si può forse usare come merce di

scambio, moneta da spendere in nome degli equilibri mondiali?

Mancando lo scambio, capisci, il Leviatano dovrebbe trattare 

con lui. E il Leviatano non tratta con gli individui, in particola-

re con gli individui privi di scheda.

Tratta con gli altri Stati, le altre dottrine, le altre religioni, al mas-

simo coi partiti che sono Stato dentro lo Stato. E meglio se sono

partiti dell’opposta barricata. 

Se non sei almeno comunista, caro mio, l’America non ti vuole.

Comunista o fascista o socialista o buddista, insomma un ‘ista’

che obbedisca a un’autorità, un uomo-massa che sia catalogabi-

le, incasellabile, prevedibile, commerciabile, non una particel-

la aberrante che rappresenta soltanto se stessa, che nel compu-

ter non corrisponde a una scheda precisa, sicché a interrogarlo

suoi ingranaggi si inceppano.

(O. Fallaci, Un Uomo)





 

un uomo 3