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L’articolo di Turing comincia con la frase:
Mi propongo di considerare la domanda ‘Le macchine possono
pensare?’.
Poiché, come egli sottolinea questi termini pregnanti, dovremmo
ovviamente cercare un modo operativo per affrontare la doman-
da; e lo troviamo, egli suggerisce, in ciò che chiama ‘il gioco dell’-
imitazione’, oggi conosciuto come ‘test di Turing’.
Dopo aver spiegato la natura del suo test, Turing prosegue facen-
do alcune osservazioni che, per l’anno in cui scrive, sono molto
avanzate.
Per cominciare, presenta un breve dialogo ipotetico tra interro-
gante e interrogato:
D: Per cortesia, mi scriva un sonetto che tratti del Ponte sul Forth
R: Non faccia affidamento su di me per questo, non ho mai sapu-
to scrivere poesie.
D: Sommi 34957 a 70764
R: (Pausa di circa 30 secondi e poi la risposta) 105621.
D: Gioca a scacchi?
R: Sì.
D: Ho il Re in e1 e nessun altro pezzo. Lei ha solo il Re in e3 e
una Torre in h8. Tocca lei a muovere. Che mossa fa?
R: (Dopo una pausa di 15 sec.) Torre in h1, matto.
Pochi lettori notano che nel problema aritmetico non solo vi è un
ritardo eccessivamente lungo, ma che inoltre la risposta è sbaglia-
ta!
La cosa sarebbe giustificata se colui che risponde fosse un essere
umano: un semplice errore di calcolo. Ma se a rispondere fosse una
macchina, sono possibili varie spiegazioni.
Eccone alcune:
1) un errore casuale a livello di hardware;
2) un errore non voluto a livello hardware o di programmazione
che causa errori aritmetici.
3) un atto inserito volutamente dal programmatore della macchi-
na per introdurre occasionali errori aritmetici, in modo da ingan-
nare gli interroganti.
4) un epifenomeno non previsto: il programma fa fatica a pensare
in termini astratti e, semplicemente, ha commesso un ‘errore genui-
no’, ‘ha dei limiti oggettivi di comprensione in quanto non program-
mata nei termini discorsivi astratti di un probabile nuovo interlocu-
tore metafisico assente alla realtà del …programmatore….’……
(D.R. Hofstadter, Godel, Escher, Bach)