IL SUPERUOMO NEL WEST

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Edgar Allan Poe scrisse con animo triviale ‘The Journal of

Julius Rodman, Being an Account of the First Passage Across

the Rocky Mountains of North America Ever Achieved by

Civilized’, narrando una missione esplorativa nelle regioni

incognite ‘infestate di tribù…che avevano ogni motivo di cre-

dere feroci e insidiose’.

 

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I Sioux, secondo le aspettative, sono ‘una razza brutta, mal

fatta… d’occhio strabuzzante e smorto’: quasi ritornano in vi-

ta le dottrine di De Pauw.

Il loro corpo è cosparso di grasso e carbone, indossano tuniche

di pelli animali, sono ravvolti in mantelli tempestati di punte

di porcospino vibranti e sonore, istoriati di emblemi, con scalpi

alla costura dei gambali d’antilope.

Essi attaccano la barca della spedizione, ma così scioccamente

che gli esploratori fuggono lasciandoli buffamente trasecolati. 

 

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Le trattative che seguono all’attacco fallito li mostrano ancor più

selvaggi e grotteschi: domandano se il cannoncino di bordo non

sia una locusta gigante.

Un colpo di cannone li disperde e gli esploratori spiegano ad

un prigioniero ferito che il cannoncino era indignato a sentirsi

chiamare locusta.

Una parte della spedizione viene in seguito catturata, ma rie-

sce a fuggire grazie ad un’irruzione nel campo indiano di anti-

lopi in panico.

 

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Altre tribù compaiono via via che il viaggio procede, gli Assi-

niboin attaccano per vedere da vicino il servo negro e ne resta-

no esterefatti, sul punto di nominarlo re.

L’indiano è utilizzato da Poe per suscitare risate della più rac-

capricciante volgarità nel suo pubblico, né nell’intera sua opera

si riesce a cogliere un indizio d’altro e diverso interesse.

 

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Si potrebbe forse credere che lo sterminio degl’Indiani compiuto

alla ‘frontiera’ fosse opera d’un’umanità senza ideologia e nem-

meno cultura, puro fatto di natura, come amava asserire il Turner.

Torna nella ‘teoria della frontiera’ quell’errore della fantasia che

desidera figurarsi un uomo esente dalla storia, rozzo e pratico,

abile nell’afferrare, rubare…e manipolare i beni materiali, inven-

tivo spontaneo e intollerante dei pesi d’una vita civile.

Se costui sterminò l’Indiano, la cultura illuminata e progressista

ha una responsabilità diminuita, l’atto tremendo fu opera di una

forza autoctona e scatenata, della genia di cui parla il quacchero

di Nick of the Woods, il romanzo di Robert Bird: ‘che può rite-

nere legittimo, come a molti pare, sparare ad un Indiano errante

quanto ad un orso furtivo’. 

 

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Ma qual forza umana è mai priva di idee, al limite, ignara d’ogni

linguaggio e tradizione?

Basterebbero i nomi delle cittadine di pionieri, la loro architettu-

ra ancora neoclassica al tempo della guerra civile, il numero di

colleges disseminati alla frontiera.

Tra gli esploratori ottocenteschi Hanry Marie Brackenridge stam-

pò nel 1814 ‘Views of Lousiana’, estratti del diario di una spedi-

zione fatta nel 1811 nel territorio degli Arikara.

 

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Il fetore dei villaggi è ammorbante, la religione della plebe, bar-

bare sono le torture che s’infliggono gl’indigeni. Brackenridge

ammira tuttavia l’esibizione di scudi, turcassi, stoffe scarlatte,

manti di pelli di bisonte tutti istoriati a comporre trofei, e nota

con arguzia la scaltrezza di un capo che ama un cavallo e, non

desiderando regararlo, e non potendo rifiutare di regararlo,

che sarebbe prova di scarsa magnanimità, indegna di un grande,

annuncia di averlo consacrato alla propria custodia soprannatu-

rale.

Nè il padre gesuita Pierre-Jean De Smert ravviserà altro in loro

che motivo di riso e compatimento: non è un buffo dogma l’a-

morevole protezione che accordavano ai castori, loro parenti?

Non è ripugnante la loro abitudine di sacrificare le cose più ca-

re, le loro stesse membra agli dèi?

(E. Zolla, I letterati e lo sciamano)


 

 

 

 

 

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UN SOGNO DENTRO A UN SOGNO


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Questo mio bacio accogli sulla fronte!

E, da te ora separandomi,

lascia ch’io ti dica

che non sbagli se pensi

che tutti furono un sogno i miei giorni;

e, tuttavia, se la speranza volò via

in una notte o in un giorno,

in una visione o in nient’altro,

è forse per questo meno svanita?

Tutto, quel che vediamo, quel sembriamo

non è che un sogno dentro a un sogno.

Sto nel fragore

di un lido tormentato dalla risacca,

stringo in una mano

granelli di sabbia dorata.

Soltanto pochi! E pur come scivolano via,

per le mie dita, e ricadono nel mare!

Ed io piango – io piango!

O Dio! Non potrò trattenerli con una stretta più salda?

O Dio! Mai potrò salvarne

almeno uno, dall’onda spietata?

Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo

non è che un sogno dentro a un sogno?

(E.A. Poe)






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IMBROGLIONE E TRUFFALDINO, CON IL GATTO E COL VINO

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LA TRUFFA CONSIDERATA COME UNA DELLE SCIENZE ESATTE




Da quando è nato il mondo ci sono stati due Geremia.

Uno scrisse una Geremiade sull’usura e si chiama Geremia Bentham.

Fu molto ammirato da John Neal e, nel suo piccolo, era un grand’uomo.

L’altro diede il suo nome alla più importante delle Scienze Esatte e fu

un grand’uomo in modo grandioso – potrei dire nel più grandioso dei

modi.

Tutti capiscono cosa significhi truffare – o cosa significhi il concetto

astratto suggerito dal verbo.

Ma il fatto, l’azione, il gesto di TRUFFARE è difficile da definire.

Possiamo però arrivare a una concezione abbastanza precisa dell’ar-

gomento in questione mediante una definizione non dell’atto in sé –

bensì dell’uomo come animale dedito alla truffa. Se Platone l’avesse

capito, si sarebbe risparmiato l’affronto del pollo spennato.

Con grande coerenza, si chiese a Platone perché mai un pollo spen-

nato, ovviamente un ‘bipede senza penne’ non fosse, secondo la sua

definizione, un uomo?

Ma non starò ad occuparmi di interrogativi del genere.

L’uomo è un animale che imbroglia, e non esiste altro animale che

imbrogli a parte l’uomo.

Ci vorrebbe tutta una stia di polli spennati per dimostrare il contrario.

Ciò che costituisce l’essenza, il nocciolo, il principio della truffa è, in

realtà, proprio di quella categoria di creature che INDOSSANO GIAC-

CA E PANTALONI.

Una gazza ruba; una volpe inganna; una donnola raggira; un uomo

truffa. Truffare è il suo destino, il suo scopo – il suo obiettivo – il suo

fine.

E per questo motivo, quando qualcuno è truffato, diciamo che è finito.

Considerata nella sua giusta luce, la truffa è un composto i cui ingre-

dienti sono la minutezza, l’interesse, la perseveranza, l’ingegnosià, l’-

audacia, la nonchalance, l’originalità, la sfrontatezza e il sogghigno.

MINUTEZZA: Il vostro truffatore lavora in un campo ristretto.

Le sue operazioni si svolgono su piccola scala.

Quello che lo interessa è lo spaccio al minuto, per contanti o per

pagamento a vista. Se mai si lascia tentare da una speculazione gran-

diosa, perde immediatamente le sue caratteristiche e diventa quello

che noi chiamiamo ‘finanziere’, termine, questo, che suggerisce il con-

cetto di truffa sotto ogni aspetto tranne quello di grandiosità.

Un truffatore può quindi essere considerato come un banchiere, in

pectore – una ‘operazione finanziaria’, come una truffa a Brobdignag.

L’uno sta all’altro come Omero sta a ‘Flacco’ – come un dinosauro a

un topo – come la coda di una cometa a quella di un maiale.                  

INTERESSE: Il vostro truffatore è mosso dall’nteresse personale.

Disdegna truffare solo per amor della truffa.

Ha un obiettivo in vista – la propria tasca – e la vostra.

Cerca sempre l’occasione buona.

Guarda al NUMERO UNO.

Voi siete il Numero Due, e dovete guardarvi da soli.

PERSEVERANZA: Il vostro truffatore persevera.

Non si scoraggia facilmente.

Anche se la banca fallisce, a lui non importa, persegue con costanza il

suo fine e, (…come il cane che non molla un pezzo di cuoio unto….Ora-

zio, Satire..) …così lui non mollerà la preda.

INGEGNOSITA’: Il vostro truffatore è ingegnoso. E abilissimo nel conge-

gnare le sue trame.

E’ un pianificatore esperto. Escogita e raggira. Se non fosse Alessandro,

sarebbe Diogene.

Se non fosse un truffatore, sarebbe un fabbricante patentato di trappole

per topi, o un provetto pescatore di trote.

AUDACIA: Il vostro truffatore è audace – è un uomo intraprendente.

PORTA LA GUERRA IN AFRICA. CONQUISTA TUTTO D’ASSALTO.

SFIDEREBBE I PUGNALI DI FREY HERREN.

ORIGINALITA’: Il vostro truffatore è originale – accuratamente origi-

nale. Le sue idee sono sue. Disdegnerebbe di servirsi di quelle altrui.

Detesta i trucchetti vieti e triti. Sono certo che restituirebbe una borsa

se scoprisse di averla trafugata con un espediente superato.

SFRONTATEZZA: Il vostro truffatore è sfrontato. Spavaldo. Con le

mani sui fianchi. O sprofondate nelle tasche. Vi sghignazza in faccia.

Vi pesta i calli. Si mangia il vostro pranzo, beve il vostro vino, si fa

prestare i vostri soldi, vi tira il naso, prende a calci il vostro cane e

bacia vostra moglie.

SOGGHIGNO: Il vostro truffatore autentico conclude tutto con un

sogghigno. Che però vede solo lui. Sogghigna al termine del suo la-

voro quotidiano – quando ha assolto i suoi compiti – di notte, nella

sua stanza – e per suo esclusivo divertimento. Va a casa. Chiude la

porta a chiave.

Si spoglia. Spegne la candela. Si mette a letto. Posa il capo, sul

cuscino. Dopo di che il vostro truffatore sogghigna. Questa non è

un’ipotesi.

E’ una cosa naturale. Ragiono a priori, e un truffatore non sarebbe

un truffatore se non sogghignasse.

L’origine della truffa si può far risalire all’infanzia del genere uma-

no. Forse il primo truffatore fu Adamo. Comunque, possiamo rin-

tracciare questa scienza negli albori dell’antichità!

Gli uomini moderni, però, l’hanno portata a un grado di perfezione

quale i nostri ottusi progenitori mai avrebbero sognato. Senza quin-

di dilungarmi sui ‘vecchi adagi’, mi limiterò a tracciare un compen-

dio di alcuni fra i più ‘moderni esempi’.

PRIMO ESEMPIO:                                               

Un signore ben vestito entra in un negozio, acquista merce per il

valore di un dollaro; scopre, con profonda stizza, di aver lasciato

a casa il portafoglio, e dice al commesso:

– Caro signore, non importa! Potrebbe essere così gentile da man-

darmi il pacco a casa?

Ma aspetti, credo di avere anche a casa una banconota di taglio non

inferiore ai 5 dollari.

Comunque, può mandarmi i 4 dollari di resto insieme al pacco.

– Benissimo signore, risponde il commesso che subito si fa un’opi-

nione eccellente circa la nobile onestà del cliente.

– Conosco gente, si dice, che si sarebbe messa il pacco sotto il braccio

sarebbe uscita promettendo di tornare a pagare il dollaro nel po-

meriggio.

Viene spedito il fattorino col pacco e il resto.                                                     

Lungo la strada, si imbatte per caso nel cliente il quale esclama:

– Ah! Vedo che questo è il mio pacco – credevo che lo avessi già portato

da un pezzo. Bene, va pure! Mia moglie, la signora Trotter, ti darà i 5

dollari – le ho lasciato detto di farlo.

Intanto, puoi dare a me il resto – ho bisogno di spicci per l’ufficio pos-

tale.

Benissimo! Uno, due, è buona questa moneta da 25 cents? – tre, quattro –

perfetto! Dì alla signora Trotter che mi hai incontrato, e non fermarti

a bighellonare per la strada.

Il ragazzo non bighellona affatto – ma ci mette molto tempo a tornare in-

dietro – perché una certa signora Trotter è introvabile. Si consola comun-

que pensando che non è stato così stupido da lasciare la merce senza

farsi pagare e, rientrando tutto soddisfatto nel negozio, resta natural-

mente malissimo quando il padrone gli chiede che fine ha fatto il resto.

(E.A. Poe)





 


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RICORDI DI GUERRA (di un bambino piccolo…piccolo in attesa che l’adulto cresca….)

 

ricordi di guerra



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ricordi di guerra




Frammenti di ricordi…..


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la-banalita-del-male-2.html

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delitto-contro-l-umanita.html

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l-enigma-si-complica.html

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la-chiave-del-caos.html

l-inglese-detto-7.html

l-inglese-detto-7-2.html

l-inglese-detto-7-3.html

folle-moralita-e-ragionamenti.html

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ricordi di guerra


PENSIERI

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Parli di cose che non conosci, Aristeo, o conosci in modo distorto.

Da quando le querce di Dodona non stormiscono più e l’oracolo di

Delfi ha una sola stralunata profetessa pare che gli spiriti interme-

diari, i dèmoni che ispiravano gli oracoli si siano eclissati.

Che la nascita del vostro Messia abbia reso gli oracoli muti?

Io stesso ho consultato la parola nascosta di Apollo, i primi tempi

del mio regno, e ne ho avuto una risposta sibillina:

‘Il grande palazzo è crollato

non vi è più capanna né alloro,

né sorgente profetica….’

Come a dire: inutile chiedere, qui non ti risponderà nessuno.

La vera ragione è che gli oracoli, forse, hanno fatto il loro tempo.

Ma anche, la causa occasionale è nella colpa degli Stati, ora paci-

ficati sotto il dominio di Roma, che non promuovono più consul-

tazioni pubbliche circa il bene comune.

Il massimo che ultimamente si chiedeva loro erano i pronostici

di faccenduole private: ” Devo intraprendere il mio viaggio?”.

“Mi conviene spostarmi?”.

I misteri sono invece tentativi, assalti all’inconoscibile.

Noi che nel nostro credere veniamo accusati di mente ottusa e

infantile adoriamo un’unica divinità sotto diversi nomi.

Invochiamo attraverso gli Dei subordinati il Padre degli Dei e

degli uomini.

In quanto al tuo Paolo di Tarso, costui cambia le sue opinioni

su Dio come certi polipi che cambiano colore secondo le rocce al-

le quali si attaccano.

Voi galilei dite di essere superiori al Fato, al Sole e alla Luna,

dopo che avete ricevuto il battesimo.

Eppure, come nel vostro comportamento siete terrestri!

Gli scheletri dei cosiddetti martiri vengono da voi sepolti sotto gli

altari, la traslazione avviene con sfarzo, grandi folle sontuose.

Quelle ossa pulite con olio sacro sono rivestite di tuniche d’oro: ed

ecco la guarigione di un cieco, di un sordomuto appena le toccano.

Nel potere delle reliquie le potenze della terra e del cielo vengono

unite: il dito di Dio sana attraverso il dito di uno scheletro.

I misteri sono la grande via che gli Dei, nella loro misericordia,

hanno concesso agli uomini per purificarsi e risalire.

…..Queste sono diatribe, opposizioni, riflessi della grande confu-

sione del nostro tempo.

Non di questo voglio scrivere.

Avremo occasione di confrontare le nostre ragioni.

(Luca Desiato, Giuliano l’Apostata)






pensieri

  

EPILOGO DEL ‘VIAGGIO’ (nel vasto territorio della storia…e non solo)

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epilogo del viaggio








Il governo cinese ritiene che per il 2020 saranno necessarie più

di 85.000 camere d’albergo, non a Lhasa ma qui, nel deserto del-

l’altopiano.

La richiesta di sviluppo turistico dell’altopiano è però accompa-

gnata dalla condizione che venga attuato in modo sostenibile.

‘L’industria del turismo non incoraggerà la costruzione di alte

torri e alberghi di lusso’, dichiarava un articolo cinese a proposi-

to della campagna, ‘ma si concentrerà piuttosto sugli alberghi

per famiglie’.

Intanto, però, si stanno preparando progetti per lanciare un treno

di lusso, che per 1000 $ (dollari) a notte offrirà ai turisti apparta-

menti da 38 metri-quadri, con sale da pranzo private e vasche da

bagno con l’acqua calda.

Secondo Josh Brookhart, un giovane laureato dell’Università di

Stanford che è direttore della TZG Partners, con sede a Shangai,

sono in programma anche una serie di stazioni turistiche di fascia

alta per molte delle più remote fermate sul percorso dell’altopia-

no.

‘La gente pensa che si tratti di una politica che potrebbe distrug-

gere quei posti, ma potrebbe anche essere l’esatto opposto.

E’ molto difficile trovare un argomento che giustifichi l’isolamento

dal mondo come un bene per la gente. Se si valuta come starebbe

il Tibet con noi o senza di noi, è chiaro che starebbe meglio con

noi’, dichiarò Brookhart a proposito del suo investimento di 130

milioni di $ (dollari).

Quello che una volta era un viaggio avventuroso, nel quale le me-

raviglie della civiltà tibetana, della sua cultura e della sua storia

erano una ricompensa per la tenacia e la scomodità richieste per

arrivarci, ora è diventato una routine, il viaggio verso una qualsia-

si fermata della grande rete ferroviaria cinese.

E persone come Renzin, Kalden e Norbu (e molti altri con e …come

loro…) sono ora spettatori di un paese depredato per una serie di

ragioni politiche ed economiche.

….Mentre buttavo giù i miei pensieri su un quadernetto nero (e …..

mentre sto qui ed ora scrivendo questo post…) si avvicinò (non

visto….) un alto funzionario.

– ….. Che cosa sta scrivendo?

mi chiese.

– E’ solo il mio diario di viaggio,

spiegai,

abbozzando un sorriso.

(…solo pensieri, dialoghi e rime….)

– Sta scrivendo annotazioni sul treno?

insistette.

– Sarebbe meglio che non scrivesse (nel sul treno né seduto nella

sua sala…).

Rimase lì finché non chiusi il diario (sulla verità) e lo ritirai, e 

…fino al resto del giorno mi guardò dal finestrino della sua pro-

fonda notte nera.

(A. Lustgarten, Il grande treno)







 

epilogo del viaggio

 

L’ ‘ERACLIO’ DELLA STORIA (2)

l'eraclio della storia 2



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l'eraclio della storia 2








…..Pur sforzandosi di perdonare con il pretesto dell’interrogatorio,

il potere che lui stesso ha permesso e concesso, per una diversa

espressione ed interpretazione.

In ciò ‘fratello Eraclio’ è la massima condizione del potere stabilito,

che attraverso il dissenso promosso in seno alla stessa sua Istituzio-

ne, governa e controlla anche la mano avversa.

Di cui, poi, nella stessa manifestazione, saprà guidare.

Eraclio si appoggia alla sua Eresia preferita, e tacitamente perdona

il libro e la mano. La parola, dove proviene tanto inganno.

Almeno fintanto che, l’oscuro dire, può servire a tutti per il monito

e la bestemmia che appartengono al Demonio e non solo.

Nel sovrintendere questa doppia funzione, all’altare del suo credo,

Eraclio ottiene innumerevoli benefici.

Perché sa che la verità anche se predicata o divulgata, potrà appari-

re sempre un’oscura bestemmia per qualsiasi mente prestata alla

costanza dei libri e quindi del tempo, di cui lui è custode e signo-

re.

Tutto il dire è stato ed è sapientemente riscritto, ed ogni parola non

è lasciata al caso della dubbia interpretazione. Chi esercita questo

difficile compito della storia e non solo, è a sua volta un libro di

sapere, dove gli altri fratelli debbono verificare che la giusta com-

prensione di ogni dire, venga collocato nella corretta disposizione

di e in ogni scaffale. 

 

l'eraclio della storia 2


Nulla può sfuggire a questo meccanismo preciso del tempo.

Qualsiasi ‘fratello’ che tenta qual si voglia sovvertimento, cade nel-

la classificazione di altri solerti ‘fratelli’ incaricati della stessa sua

opera. 

Il meccanismo può durare così in eterno.

Perché colui che saprà sempre far regnare la giusta parola, sarà

compensato all’altare di Eraclio. Ed ogni privilegio è governato

da ‘fratello eraclio’ e dai suoi consimili.

Pietro è, con la stessa intelligenza, sfuggito a questo inganno.

Pur divenendo parte fondamentale dell’inganno stesso.

La sua opera è fondamentale per il consolidamento del potere 

di Eraclio perché il suo dire mai sarà compreso nella probabile

estensione del divenire.

Ma sempre rilegato ad una stretta cerchia, dove l’inganno del 

gesto viene confuso con una calunnia nuova.

Una diceria cui costruire una accusa più infamante della prima,

da promulgare in ragione della (continuità) storia.

(prosegue)

(Giuliano Lazzari, Dialoghi con Pietro Autier)






 

l'eraclio della storia 2

 

UN MONASTERO

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un monastero

 

 

 

 

 

 

 

Passando sotto l’arco del portale d’ingresso ci troviamo nel cortile

pieno di sole dove, tra le pietre irregolari, cresce l’erbolina verde;

ci accoglie un senso confortevole di pace, di cose buone ed antiche.

Tanti ‘trapa’ sono apparsi sugli usci della cucina; altri si affacciano

dalla scala; molti sorridono, i più timidamente; tutti attendono

una mia parola od un cenno amichevole.

I tibetani sono davvero dei curiosi xenofobi; degli xenofobi astratti

e teorici. Chiudono il proprio paese agli stranieri e dettano severis-

sime leggi da Lhasa per tenerli lontani; ma quando uno straniero

arriva tra di loro lo accolgono con feste ed entusiasmo. 

 

un monastero

 

L’occidentale rappresenta un mondo d’affascinanti misteri.

Siamo l’esotico inverso.

L’esotico degli aeroplani, della fotografia, degli orologi, della peni-

cillina, dei miracoli controllabili e ripetibili (un lama vola per le-

vitazione, ma occorrono dieci anni per prepararvisi attraverso pro-

ve severissime d’ascetismo, e poi forse non ci riesce; in aereo può

volare chiunque).

Siamo perciò l’esotico d’una padronanza magica degli elementi.

Siamo un popolo mitico in alleanza con i demoni dell’entroterra

e dell’aria da cui carpiamo poteri in cambio di chissà quale patto

diabolico. 

L’om-tse ci ha lasciati per un momento, forse va ad avvertire del-

la visita il capo monastero, subito i seminaristi si fanno d’intorno;

vogliono osservare, e sperano toccare, la macchina fotografica.

Riesco appena a muovermi per la ressa; intanto vado respirando

a grandi zaffate il ‘foetor tibeticus’. 

 

un monastero

 

Il ‘foetor tibeticus’ è composto di vari ingredienti; il gran sudicio

delle persone e delle vesti costituiscono il corpo base, il rancidu-

me del burro lo perfeziona con svolazzi lirici.

Il sudicio è antico, stupendo, tridimensionale.

Su quelle braccia, su quelle caviglie e quei polpacci, giù per quei

colli, s’incrostano sporcizie di mesi e di anni. Sembra che tale coraz-

za venga coltivata con amore, con l’intenzione forse di creare una

sorta di monumento più duraturo del corpo o di studiare una geo-

logia del sudicio nelle lentissime e complesse stratificazioni.

Infine lo sporcume deve acquistare una propria personalità, ci si

deve sentire come in due là dentro. E non verrà poi il momento in

cui lui, la cosa, costituirà una forma, un negativo, da cui si esce di

nascosto la notte lasciandolo in piedi appoggiato al muro, brutto

burroso come un ‘ro-lang’?

Del resto il burro (insieme alle ossa ed al silenzio) è uno degli ele-

menti più caratteristici del Tibet. Sembra impossibile che quelle

magre femmine degli yak, pascolando fra i sassi e la sabbia, pos-

sano produrre tanto fiume di burro!

 

un monastero

 

Pure questo pacifico e nobile grasso ricopre il Tibet; lo si vende

nei più remoti villaggi; di burro sono le offerte agli dèi nei templi

e nelle cappelle private; il burro si scolpisce con maestria, coloran-

dolo poi con raffinatezza; il burro si brucia nelle lampade; col bur-

ro si pagano le tasse; di burro le donne si spalmano i capelli, spesso

la faccia; burro si porta in dono, si riceve come regalo; burro si mes-

cola allo tsampà, mangiando, ed al tè, bevendo; burro, burro, dap-

pertutto burro, sempre per ogni uso ed in ogni occasione, burro;

il Gran Burro, l’Onnipresente Burro, il Maestoso Burro. 

…. – ‘Kusho-shib’,

mi chiama l’om-tse affacciato da un balcone del monastero,

– il gran prezioso vi aspetta.

I seminaristi che mi assediano in maniera scalmanata per guardare

dal mirino della Leica sono spariti in un attimo, sentendo la voce

del prefetto. Guidato dall’om-tse, ed accompagnato da diversi altri

monaci, sono finalmente entrato nella saletta dove il Rimpoché

Nge-drup Dorje (Folgore benedetta) deve comparire fra poco. 

(prosegue…)

(Fosco Maraini, Segreto Tibet, foto e disegni: Sven Hedin)

 

 

 

 

 

 

 

un monastero

  

LE ORIGINI

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L’origine del Tibet è tutt’ora ignota.

Le teorie formulate al riguardo sono basate su osservazioni di

ogni genere, e contemplano svariate migrazioni di popolazioni

diverse.

Noi ci limitiremo qui al quadro che si può tracciare per grandi

linee, all’alba della storia, all’inizio del VII secolo o poco oltre,

quando si può parlare definitivamente di ‘Tibetani’.

Secondo la leggenda, la prima coppia ancestrale era formata da

uno scimmione della foresta e una demonessa delle rocce. Il si-

to della loro unione, chiamato ‘Zotang’ è generalmente localiz-

zato nello Yarlun, la valle dello Tsangpo.

Ma ciò può essere dovuto al desiderio di porre le origini nello

stesso luogo ove nacque poi il primo potere regale. Altre tradi-

zioni ambientano la leggenda nel Poyul o Powo, più ad est: una

località ugualmente famosa per le sue foreste. Per i cinesi della

seconda metà dell’VIII secolo questo luogo, sembra, si trovava

assai più a nord.

E’ sempre nel sud-est che la tradizione pone la discesa del primo

re leggendario dei Tibetani, Nyathi Tsenpo, dal cielo sulla terra. 

Il santo luogo di questa discesa è una montagna sacra, riguardo

alla quale la tradizione è, anche in questo caso, incerta: la si pone

generalmente a nord della valle dello Yarlung, ma già in epoca

più antica questa ‘montagna ove discese il dio’ è stata identificata

più a nord, fra il Nyang e il Kongpo, là dove si trova un’altra mon-

tagna sacra, Ode Gungyel, similmente legata alla medesima leg-

genda.

Più tardi, alla prima interruzione della stirpe celeste dei re, con

la morte di Digum, la leggenda si ambienta nella regione dei tre

paesi di sud-est.

Il cadavere del re è gettato nel Nyangchu, e galleggia fino al Kon-

gpo. I tre figli del re fuggono davanti all’usurpatore, fino ai tre

paesi di Kongpo, Powo e Nyang; e, quando l’usurpatore è ucciso,

quello dei figli che continuerà la dinastia reale è riportato indietro

dal Powo.

In breve la tradizione invita a cercare i primi Tibetani nel sud-est

del Tibet, in una regione montuosa coperta di foreste (ove vivono

le scimmie), relativamente calda e adatta all’agricoltura: è appun-

to a Zotang che si trovava il primo campo coltivato, e noi sappia-

mo, del resto che lo Yarlung è la regione più fertile del Tibet.

E’ lì che si formò il potere regale.

Secondo altre tradizioni tibetane, quelle dell’Amdo, sarebbe ap-

punto l’Amdo il paese delle scimmie e delle demonesse delle roc-

ce. La zona delle foreste si estende, di fatto, lungo tutto il Tibet

orientale.

Le sei ‘tribù primitive’, discendenti della coppia ancestrale di 

scimmione e demonessa, possono dunque essere localizzate tutte

quante grosso modo nell’est del Tibet. Inoltre, benché i Tibetani

le considerino loro capostipiti, le definiscono sempre come popo-

lazioni ‘selvagge’, o indigene e non tibetane. 

(prosegue…)

(R. A. Stein, La civiltà Tibetana)

 

 

 

 

 

 

le origini

   

….. PRENDETE E MANGIATENE TUTTI….

 prendete e mangiatene tutti

 

 

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prendete e mangiatene tutti

 

 

 

 

 

 

Nel Tibet esiste un rito tantrico chiamato tchod (gtchod),

che ha una struttura nettamente sciamanica.

Esso consiste nell’offrire la propria carne ai demoni, a che

essi la divorino – il che ricorda singolarmente lo smembra-

mento iniziatico del futuro sciamano ad opera dei ‘demoni’

e delle anime degli antenati.

Ecco il riassunto che ne dà R. Bleichsteiner:

 

Al suono di un tamburo fatto di crani umani e di una tromba

ricavata da un femore ci si dà alla danza e si invitano gli spiriti

a venire a festeggiare.

La potenza della meditazione fa sorgere una dèe con una spa-

da snudata; essa si slancia su chi offre il sacrificio, lo decapita

lo fa a pezzi; allora i demoni e le belve si gettano su questi a-

vanzi palpitanti, divorandone la carne e bevendone il sangue.

Le parole da pronunciare fan cenno a certi ‘Jataka’, ove si narra

come il Buddha, in una precedente incarnazione, abbia dato

la propria carne ad uomini ed animali e a demoni antropofagi.

 

Però, malgrado questa affabulazione buddhista – conclude

Bleichsteiner – qui si tratta di un sinistro mistero che risale a

tempi più primitivi.

Ci si ricorderà che un rito iniziatico analogo lo abbiamo già

incontrato fra certe tribù nord-americane.

Nel caso del ‘tchod’ ci troviamo di fronte alla transvalutazio-

ne mistica di uno schema di iniziazione sciamanica.

Il lato ‘sinistro’ riguarda soprattutto le apparenze: si tratta di

fatto, di una esperienza di morte e resurrezione che….come

tutte le altre di questa classe, è ‘terrifica’.

(prosegue….)

(Mircea Eliade)

 

 

 

 

 

prendete e mangiatene tutti