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Il 1867 segna il principio di un periodo importante: il periodo industriale.
Lallement, al suo ritorno, trova che Michaux,
indubbiamente dotato di non comune iniziativa,
ha munita la sua macchina di un freno – un volgare
freno a paletta, agente sulla ruota posteriore. Ma è
tuttavia un nuovo utilissimo elemento che ritrova
la sua pratica applicazione. L’esposizione del 1867
rivela al gran pubblico il nuovissimo sport, e le
prime macchine a pedale di ‘marca’ francese sono
vendute in Inghilterra al modesto prezzo di 25
sterline!
Lallement ne imprende la fabbricazione, pubblica
dei…cataloghi, riceve
ordinazioni di macchine
‘su misura, secondo la
lunghezza delle gambe
del cavaliere’; insegna
finalmente ai
velocipedisti di allora –
e per la prima volta –
di premere sui pedali
con la parte anteriore
del piede.
Intanto certo James
Carrol, ex socio di Lallement, lancia per suo conto la macchina francese nel Nuovo Mondo.
Lellement morì nel 1870, dopo aver conseguita, per tutto il suo lavoro e non senza l’aiuto di
un processo giudiziario, la somma di 10.000 franchi.
fonda la più importante
fabbrica di velocipedi
dell’epoca, sotto la
ragione sociale
‘Michaux & C’.
(più tardi Compagnie
Parisienne), che impiegò
fin da principio 500
operai.
Ben che da questo punto
possa veramente
iniziarsi la storia
del velocipede
trasformato per successivi miglioramenti in veicolo sufficientemente
pratico nella sua concezione generale, e tuttavia lecito ricordare come e quanto noi
dobbiamo oggi riconoscere, in questo breve sguardo retrospettivo, che la macchina
lanciata in quei tempi dalla ‘Compagnie Parisienne’ non poteva essere considerata se
non un principio, grossolanamente completo del concetto meccanico del velocipede
moderno non solo, ma anche dei monumentali congegni oggi scomparsi, e che pure
segnavano sul primo tipo di macchina a pedale, un progresso notevolissimo.
E gioverà per ciò ricoradre che tutte le parti
del velocipede Michaux, nel 1870, erano di
legno, con cerchi di ferro alle ruote, costituendo
un complesso pesantissimo. Ma i perfezionamenti
furono rapidi e radicali. Si cominciò con l’applicazione
di un freno, agente, come già dicemmo, sulla ruota
posteriore: nel mezzo de manubrio era attaccata una
cinghia di comunicazione con la paletta del freno
medesimo il quale si poteva stringere facendo
girare il manubrio, mobile nel suo asse, a mezzo
delle manopole. Intanto nuove modificazioni
erano indispensabili; diminuire le trepidazioni
e i sobbalzi della macchina, che ne rendevano
faticosissimo l’uso, ed alleggerirne il peso,
allora di circa 40 chilogrammi.
Certamente la genialità degli inventori, nel
1870, non trovò l’appoggio e il conforto di
una opzione pubblica favorevole; anzi i fautori del nuovissimo mezzo di trasporto ebbero
a sostenere asprissime lotte e persecuzioni vere e proprie. Il misoneismo inconsulto dei
governanti d’allora – che d’altronde sotto alcune forme rivive ancora oggi, forse meno
ingiustificato, in alcune contrade d’Europa, contro lo sport automobilistico – non potè
tuttavia opporsi, per nostra fortuna, al graduale progredire della nuova industria.
(U. Grioni, Il ciclista)
Da http://giulianolazzari.splinder.com