UN CLERO INFAME

I chierici si spacciano per pastori 

ma sono assassini

sotto parvenza di santità.

Quando li vedo vestirsi,

mi viene in mente

messer Isengrino che un giorno

voleva entrare in un ovile:

per paura dei cani

indossò una pelle di pecora

per eludere la loro sorveglianza,

poi divorò a tradimento.

Re e imperatori,

duchi, conti e contini,

insieme a cavalieri,

solevano governare il mondo:

ora vedo che i chierici

si sono impadroniti del potere

con il furto e il tradimento,

con l’ipocrisia,

con la forza e con le prediche;

e si risentono

se non gli si lascia ogni cosa:

sarà così, malgrado tutto.

Più grandi sono,

meno valore hanno,

più follia

e meno franchezza,

più menzogna

e meno istruzione,

più peccati

e meno amore reciproco.

Parlo dei cattivi chierici,

perché non ho mai sentito dire

che vi siano peggiori nemici di Dio

dai tempi antichi.

Quando sono al refettorio

non trovo onorevole

vedere i più vili

seduti alla tavola più importante

ed essere i primi a scegliere;

sentite una grande villania:

osano venirci

e nessuno li allontana.

Ma non ho mai visto

un povero diavolo di mendicante

sedersi accanto ai ricchi;

vi garantisco che mai hanno commesso una simile colpa!

Gli Alcaidi e gli Almassori

non temono

che abiti e priori

vadano a invadere le loro terre

e se ne impadroniscano,

perché ciò costerebbe loro troppa pena;

qui si preoccupano solo di come

impossessarsi del mondo

e cacciare messer….Pietro

dal suo rifugio.

Ma lo ha sfidato qualcuno

che non se ne rallegra mai molto.

Chierici, chi vi ha considerati

privi di un cuore perverso e ingiusto

ha sbagliato i suoi conti:

PERCHE’ MAI HO VISTO GENTE PEGGIORE! 

(Peire Cardenal, 1229/1230, eretico)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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IL MELOGRANO: OVVERO L’ETERNO RITORNO (5)

Attributo della Grande Madre, regina                                   melograno1.jpg

del Cosmo, nel suo duplice ruolo di 

Colei che dà la vita e Colei che la toglie,

la melograna era simbolo sia di Fecondità

sia di Morte, tant’e vero che si sono

trovate melograne di argilla nelle tombe

greche dell’Italia meridionale.

Secondo un mito greco il primo

melograno nacque dalle stille di sangue

di Dionisio.

Quando uscì dal rifugio che era stata la coscia del padre Zeus, il piccolo, fu catturato

dai Titani che, ispirati dalla gelosissima Era, lo fecero a pezzi e poi lo misero a bollire

in un paiolo. Dal sangue che si era sparso spuntò un albero, il melograno; e altri sorsero

sulle tombe di giovani eroi, da Eteokles a Menoikéus, racchiudendo nell’essenza vegetale

le stille del loro sangue. Ma in epoca arcaica il melograno era associato a un essere femminile,

Rhoio, uno dei nomi greci della pianta: era figlia di Stafylos, il Tralcio d’uva, a sua volta

figlia di Dionisio. Il padre irato l’aveva rinchiusa in una larnax, un recipiente di argilla, e

gettata in mare. Dopo un fortunoso viaggio era approdata sull’isola di Delo, dove aveva

generato Anios, che a sua volta aveva generato Oinò, Spermò, Elais, ovvero Vino, Grano

e Ulivo. Sìde è un altro nome del melograno, collegato a una fanciulla, eroina eponima di

Panfilia. Secondo la leggenda più antica Sìde era sposa di Orione, il mitico cacciatore che

la gettò nell’Ade perché aveva osato contendere con Era in una gara di bellezza. Forse il 

mito riflette il passaggio da una sfera culturale primitiva a una più moderna, dove Era

avva assunto il ruolo principale. Un’altra variante del mito narra che Sìde, insidiata dal

padre, si uccise sulla tomba della madre. Gli dei, impietositi dalla triste vicenda, fecero

sorgere dal sepolcro, il melograno mentre il padre veniva trasformato in un nibbio, l’uccello

che mai si posa sui rami dell’albero. 

In tutti questi miti è simboleggiato il ciclo di morte-sacrificio da cui nasce la vita: vi alludeva

anche il larnax di Rhoiò, che veniva usato nel mondo egeo come cassa funebre.

(Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante)

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LA BICICLETTA (l’amante segreta) (9)

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Il 1867 segna il principio di un periodo importante: il periodo industriale.

Lallement, al suo ritorno, trova che Michaux,                              images.jpg 

indubbiamente dotato di non comune iniziativa,

ha munita la sua macchina di un freno – un volgare

freno a paletta, agente sulla ruota posteriore. Ma è

tuttavia un nuovo utilissimo elemento che ritrova

la sua pratica applicazione. L’esposizione del 1867

rivela al gran pubblico il nuovissimo sport, e le

prime macchine a pedale di ‘marca’ francese sono

vendute in Inghilterra al modesto prezzo di 25

sterline!

Lallement ne imprende la fabbricazione, pubblica                         lautrec.jpg

dei…cataloghi, riceve

ordinazioni  di macchine

‘su misura, secondo la

lunghezza delle gambe

del cavaliere’; insegna

finalmente ai

velocipedisti di allora –

e per la prima volta –

di premere sui pedali

con la parte anteriore

del piede.

Intanto certo James

Carrol, ex socio di Lallement, lancia per suo conto la macchina francese nel Nuovo Mondo.

Lellement morì nel 1870, dopo aver conseguita, per tutto il suo lavoro e non senza l’aiuto di

un processo giudiziario, la somma di 10.000 franchi.

E Michaux padrone del campo,                      la compagnie parissienne.jpg 

fonda la più importante

fabbrica di velocipedi

dell’epoca, sotto la

ragione sociale

‘Michaux & C’.

(più tardi Compagnie

Parisienne), che impiegò

fin da principio 500

operai.

Ben che da questo punto

possa veramente

iniziarsi la storia

del velocipede

trasformato per successivi miglioramenti in veicolo sufficientemente

pratico nella sua concezione generale, e tuttavia lecito ricordare come e quanto noi

dobbiamo oggi riconoscere, in questo breve sguardo retrospettivo, che la macchina

lanciata in quei tempi dalla ‘Compagnie Parisienne’ non poteva essere considerata se

non un principio, grossolanamente completo del concetto meccanico del velocipede

moderno non solo, ma anche dei monumentali congegni oggi scomparsi, e che pure

segnavano sul primo tipo di macchina a pedale, un progresso notevolissimo.

E gioverà per ciò ricoradre che tutte le parti                      biciclo.gif 

del velocipede Michaux, nel 1870, erano di

legno, con cerchi di ferro alle ruote, costituendo

un complesso pesantissimo. Ma i perfezionamenti

furono rapidi e radicali. Si cominciò con l’applicazione

di un freno, agente, come già dicemmo, sulla ruota

posteriore: nel mezzo de manubrio era attaccata una

cinghia di comunicazione con la paletta del freno

medesimo il quale si poteva stringere facendo                                 freni bicicletta.jpg 

girare il manubrio, mobile nel suo asse, a mezzo

delle manopole. Intanto nuove modificazioni

erano indispensabili; diminuire le trepidazioni

e i sobbalzi della macchina, che ne rendevano

faticosissimo l’uso, ed alleggerirne il peso,

allora di circa 40 chilogrammi.

Certamente la genialità degli inventori, nel

1870, non trovò l’appoggio e il conforto di

una opzione pubblica favorevole; anzi i fautori del nuovissimo mezzo di trasporto ebbero

a sostenere asprissime lotte e persecuzioni vere e proprie. Il misoneismo inconsulto dei

governanti d’allora – che d’altronde sotto alcune forme rivive ancora oggi, forse meno 

ingiustificato, in alcune contrade d’Europa, contro lo sport automobilistico – non potè

tuttavia opporsi, per nostra fortuna, al graduale progredire della nuova industria.

(U. Grioni, Il ciclista)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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