Lungo l’Arno si allineano 
le ruote ad acqua che
danno energia alle
manifatture e i
tiratoi dove si
estendevano ad
asciugare le pezze
di lana in alcune fasi
della lavorazione.
A monte del primo
ponte si recuperano le
travi di legno che, legate insieme a zattera, vengono per acqua dal Casentino e, a valle dell’
ultimo, agli scali del Pignone presso Porta san Frediano e della porticciola del Prato, approdano
i navicelli a fondo piatto che son risaliti da Pisa con le lane d’importanzione o il ferro dell’Elba.
Per valicare gli Appennini Gerozzo probabilmente scelse l’itinerario che passava per
Cafaggiolo, il Mugello, Scarperia – il Giogo di Scarperia, a un po’ meno di 900 metri, è lo
spartiacque tra la valle della Sieve (e il Tirreno) e quella del Santerno (e l’Adriatico) –
Firenzuola, Covigliaio. Cafaggiolo era una piccola fortezza fiorentina che tra poco
(1451) Michelozzo avrebbe tasformato in residenza estiva per Cosimo; Scarperia, luogo
di coltellinai, e Firenzuola erano due borghi che i fiorentini avevano fondato nel primo ‘
300 per controllare i signori feudali della montagna e mettere piede nella Romagna.
Si saliva poi al passo della Raticosa e infine si scendeva verso Bologna.
Nel piano di là dell’Appennino, Gerozzo ritrovò quel paesagio tanto diverso dalla sua
Toscana, come era diverso l’italiano che usciva dalle labbra dei suoi abitanti. Indubbiamente
lo conosceva già; l’uomo di finanza e mercatura imparava il mestiere viaggiando.
Philippe de Commynes, 
che passerà l’Appennino
più a occidente con
l’esercito di Carlo VIII
in ritirata (1495),
descrive:
‘il piatto paese di
Lombardia,
che è dei più belli e
buoni al mondo e dei
più abitati. E per quanto
lo si dica piano è
malagevole da
cavalcare perché è tutto percorso di fossati come la Fiandra, o ancor di più; ma è molto meglio
e più fertile, tanto di buoni frumenti che di buoni vini e frutti’.
Non meno del resto dell’Italia, al momento del viaggio del Pigli, il paese era inquieto. Per
arrivare ai celebri pochi decenni di quasi pace della seconda metà del XV secolo ancora si
doveva passare per altre guerre. Stati cittadini, ‘signori’ e imprenditori di eserciti mercenari
(i condottieri) si davano da fare in intrighi, gesta militari, alleanze, mosse e contromosse,
incursioni armate, conquiste, saccheggi, scaramucce e battaglie: una colossale e perfida
partita di ‘rubamazzo’. 
Esattamente in quell’anno,
il più fortunato e temuto
fra i capi di compagnie
mercenarie, Francesco
Sforza, bastardo di altro capitano
romagnolo, nipote di un contadino,
lavorando in proprio aveva abbozzato
un tentativo di prendere Roma di
sorpresa. I risvolti privati di quest’
atmosfera turbolenta, quelli che
interessavano i viaggiatori , finivano
in storie da raccontare la sera nelle
locande fra alterigie gradasse e brividi
di paura. Gerozzo conosceva certamente
quel fattarello attribuito a Facino Cane:
a un tale che si lamentava perchè un suo
soldato gli aveva rubato il mantello, il capitano di ventura, vistogli indosso un farsetto
lussuoso e accertato che lo portava anche al momento della rapina, non ebbe esitazione a
licenziarlo con sarcasmo: ‘Se qualcuno ti ha rapinato non era uno dei miei soldati, nessuno
di loro ti avrebbe lasciato andar via con codesto bell’abbigliamento’.
Può sorprendere che in un’atmosfera del genere la tela dei commerci, delle transazioni
finanziarie, del credito e delle lettere di cambio non si lacerasse. Anche con la pace potevano
esserci incidenti sgradevoli per gli uomini della mercatura. Le industriose e ricche città sulla
via Emilia, come Parma, erano le tappe naturali sulla strada di Milano. Il tracciato della
romana via Emilia correva immutato da oltre 1600 anni. Del ducato milanese, forse la terra
più prospera d’Europa, era padrone l’astuto, malconcio e pertinace Filippo Maria Visconti.
Come tutti i suoi contemporanei esperti del mondo, Gerozzo non ignorava che alla sua
morte (avverrà nel 1447) il ducato sarebbe probabilmente finito nelle mani del genero,
l’avventuroso Francesco Sforza. Cosimo de’ Medici lo finanzierà e così Milano si costruirà
per opera di Michelozzo, benevolmente plaudendo il nuovo duca, una bella sede del
banco mediceo.
(L. Camusso, Guida ai Viaggi nell’Europa del 1492)
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