L’UOMO E LA NATURA (18)

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Le sponde di ghiaia erose con ciuffi di erica e cuscini di borraccina

punteggiati e imbiancati dal muschio; radici slavate, radici nude

sul terreno; ghiaioni screziati dai licheni.

E il muschio quasi ardeva, intorno, bianco grigiastro con pallide

sfumature violacee.

Più in alto il terreno era paludoso, disseminato di isole erbose.

C’erano ruscelli e acquitrini con muschio, e fili d’erba fini come

capelli. Erioforo. E ancora più su un ruscello che scorreva sulla

torba, su un pendio coperto di erica.

Il ruscello di tanto in tanto scompariva, per tornare in superficie

sprizzando in un basso gorgoglio e un chiacchiericcio discontinuo.

Sulla sponda un esile fungo basso, bianco con una macchia rossa

in mezzo alla cappella, come schizzato dal sangue di una leggenda

popolare.

E l’erioforo si stagliava nella chiara distesa verdognola, un tappeto

umido sotto i piedi.

Le gocce nel muschio tremolavano, scintillavano come delicati gioielli.

Strani occhi acquosi, quelle gocce nel muschio sulle rive del ruscello,

come acqua spruzzata di ghiaccio, o con vene e cavità sparse, o pozze

d’acqua gelate o cristalli. Eretti in attesa di un dito che vi si infilasse

sprofondando nel pallido muschio giallognolo.

Tremanti nella brezza.

Poi si aprivano brecce o fessure nel muschio, coronato da bacche scure;

e ovunque ciuffi di descampsia.

Coppe giallo-brune di pozzanghere seccate; vegetazione messa a nudo

nei letti dei ruscelli.

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Dirupi sterili si allungavano dalla spalla del monte sotto la cima, come

a voler raggiungere i fondi rossastri delle pozze seccate. Più salivano,

più il pendio si faceva ripido. E altre montagne comparivano alla vista.

La nebbia cominciò ad avvolgere le loro creste e a fluire giù per i

fianchi rocciosi e scoscesi. Ma si dissolse per un istante in vapore,

ingigantendo le forre in burroni, le pietre in massi. O troll?

In attesa di qualcosa.

Che sarebbe stato, che forse già era.

Ululati del vento, gemiti delle cime, rombi dietro le montagne.

Adesso c’erano cumuli di neve nella conca che dovevano attraversare,

e quando raggiunsero la falda del monte apparve una valle stretta con

enormi roccioni, e un’inaspettata parete che si staccava dalla valle

con i suoi licheni verdi e bianchi come verderame, e lastroni piatti

e venati di sfumature marmoree.

L’aria era tersa e pura nella brezza fresca di quella valle, nonostante

la foschia e la nebbia avvolgessero ancora la montagna. Giunti dietro

il crinale che avevano a lungo costeggiato entro il letto del fiume

prosciugato, le montagne a cerchio formavano una conca, striature

di neve lungo i fianchi, mentre la nube di foschia planava portata dal

vento o aleggiava intorno ai picchi, oscillando avanti e indietro alle

cime aguzze. Scivolando lungo il pendio, rivelava o copriva le

rocce sul sentiero non battuto riversandosi giù per i ghiaioni scoscesi

con le loro colate di detriti.

Il muschio sulle pietre nella conca era quasi nero tra i massi enormi.

La corona di alti dirupi stimolava visioni minacciose.

Visione su visione.

La foschia lontana premeva su quella più vicina addensandola, scivolando

avanti e indietro, librandosi sui lati, come se la montagna repirasse e i

versanti ondeggiassero.

Un solo cespuglio di bacche tra le pietre di muschio e i licheni variopinti;

e screziature verdi nel muschio nero, come polvere che si celasse nelle

falde del muschio, con chiazze di marrone, come se spuntasse bruciato

dal ghiacciaio e dalla neve.

Non parlavano, separandosi di tanto in tanto come se ognuno fosse in

un proprio mondo, con i propri pensieri e le proprie percezioni, ma

sempre lo stesso paese, lo stesso cielo, lo stesso tempo; ognuno

impregnato di ciò che fermentava nella propria mente; e ognuno, per

distrarsi, scegliendo dal paesaggio scenari appropriati alle sue

rappresentazioni interiori: schizzi di immagini da rielaborare, più

che sufficienti al momento, ma che, a suo tempo, potevano tessersi

in un informe arazzo, sulle pareti di stanze per ora lontane, dove l’

anima un giorno avrebbe forse potuto cercare quanto possedeva.

Avevano da tempo passato i terreni pietrosi tra le montagne e

avevano cominciato a salire il monte che aveva ora una sua realtà.

A meno che non fosse un sogno.

Un sogno?

(Thor Vilhjàlmsson, Il muschio grigio arde)

 

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L’UOMO E LA NATURA (17)

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…Poi si rivolse per la strada lorda,

e non fé motto a noi, ma fé sembiante

d’uomo cui altra cura stringa e morda

 

che quella di colui che li è davante;

e noi movemmo i piedi inver’ la terra,

sicuri appresso le parole sante.

 

Dentro li ‘ntrammo senz’alcuna guerra;

e io, ch’avea di riguardar disio

la condizion che tal fortezza serra,

 

com’io dentro, l’occhio intorno invio:

e veggio ad ogne man grande campagna,

piena di duolo e di tormento rio.

 

Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,

sì com’a Pola, presso Carnaro

ch’Italia chiude e suoi termini bagna,

 

fanno i sepulcri tutt’il loco varo,

così facevan quivi d’ogne parte,

salvo che ‘l modo v’era più amaro;

 

ché tra gli avelli fiamme erano sparte,

per le quali eran sì del tutto accesi,

che ferro più non chiede verun’arte.

 

Tutti li lor coperchi eran sospesi,

e fuor n’uscivan si duri lamenti,

che ben parean di miseri e d’offesi.

 

E io: ‘Maestro, quai son quelle genti

che, seppelite dentro da quell’arche,

si fan sentir coi sospiri dolenti?’

 

Ed elli a me: ‘Qui son li eresiarche

con lor seguaci, d’ogni setta, e molto

più che non credi son le tombe carche.

 

Simile qui con simile è sepolto,

e i monimenti son più e men caldi’.

E poi ch’a la man destra si fu vòlto,

passammo tra i martìri e li alti spaldi.

(Dante Alighieri, Inferno Canto IX, 102/133)

 

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