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Le ultime ore della notte Dante le passò nella chiaroveggenza dell’-
insonnia, a meditare sulla morte e sulla resurrezione.
Dopo andò al balcone della stanza con un lume, l’astrolabio e un
trattato sul modo di usarlo.
Incominciò a misurare e a far calcoli, ma questo esercizio intellettua-
le che di solito gli procurava grande diletto, quella notte invece gli
faceva sentire quanto è lontana l’astronomia dalle altitudini celesti.
Allora spense il lume e mise da parte la scienza.
Puntò i gomiti sulla balaustra, il mento appoggiato al cavo delle
mani, abbandonandosi alla pura visione dei cieli. Nella stessa po-
sizione lo trovò la figlia quando entrò nella stanza.
Visto di profilo sembrava di pietra, l’occhio fisso alla stella del
mattino.
Antonia, che gli portava del pane e una tazza di latte, depose tutto
sulla cassapanca e poi lo chiamò:
– Padre….
Dante fu scosso come un brivido.
Voltò lento le spalle e il viso che apparve veramente come pietri-
ficato in un’espressione di uomo lontano con la mente, da Cristo
della memoria, anche se pian piano si sciolse in un sorriso, ritro-
vandosi in sua figlia come davanti a uno specchio che ci restituisca
i ricordi e il riflesso dei nostri lineamenti giovanili.
Quindi andò a sedersi sulla cassapanca, prese la tazza di latte e vi
intinse il primo boccone di pane. Antonia intanto si guardava attor-
no.
Avvicinatasi al letto ancora intatto, fece il gesto di riassettare il len-
zuolo, che per la verità non mostrava nemmeno una piega.
– Non hai riposato nemmeno un momento?
chiese al padre.
– E sprecare nel sonno il tempo che ancora mi è dato da vivere a
questo mondo?
rispose Dante.
– Comunque non avrei dormito. Alla mia età è faticoso anche dor-
mire.
Antonia invece conosceva l’abitudine paterna di dormire un po’ il
sonno dei bambini, dove capita, magari anche di giorno, in modo
breve e intenso.
Non credeva all’opinione per cui nell’insonnia dei vecchi ci sarebbe
il presentimento del sonno eterno.
Continuò così a controllare che nulla fosse fuori posto nella stanza.
Le labbra bagnate di latte, Dante seguiva i movimenti della figlia.
Accarezzandola con lo sguardo pensava:
– Indugia solo perché vuole restare ancora un poco. Vuole chiedermi
qualcosa.
Senza una parola, Antonia uscì dalla stanza e vi ritornò dopo un
minuto con un cardellino senza vita fra le mani, quello che aveva
ricevuto in dono da Costanza. Gli baciò il becco e si mise a canti-
lenare:
“Morte villana di pietà antica, di dolore madre antica….”
– Quand’è successo?
chiese Dante smettendo di mangiare.
– Ieri prima del vespro,
disse Antonia deponendo la creatura sullo scriptorium,
– ma la cosa incredibile è il modo in cui è successo.
– La gabbia, tu l’hai vista, è appesa alla finestra della mia stanza.
Mi è sembrato triste per tutta la giornata, ma verso sera diventa
inquieto.
Mi fa pena vederlo tentare il volo, con le ali ormai tarpate.
Esco un momento.
Quando ritorno, credo di assistere a un prodigio: la gabbietta è
avvolta da una nuvola di piume. Ci sono decine di cardellini che
a colpi di becco cercano di espugnarla.
La scena ti assicuro, è chiarissima: gli uccelli cercano il modo di
far fuggire il prigioniero. Uno spirito, un sentimento li muove al-
l’assalto, e io lo avverto senza ombra di dubbio.
D’un tratto sembrano capire che non ce la faranno mai.
Allora si posano sul davanzale, poi volano via, tutti insieme.
Prima di andarsene, però, mi sembra che confabulino qualcosa.
Dopo un po’ vedo ritornare un cardellino, uno solo…..
(Enzo Fontana, Fra la perduta gente)