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Tutte le realtà naturali – comprese ovviamente quelle riguardanti
il clima – nel loro aspetto statico e specialmente in quello dinamico
erano suscettibili di interpretazioni in base a queste idee fondamen-
tali; e la meteorologia cinese si sviluppò in parte per esprimere e
confermare questa concezione sommamente armoniosa.
In effetti il ciclo dell’acqua, per citare solo un caso, era un esempio
adeguato, concreto e in movimento della collaborazione e del perio-
dico passaggio di consegne dei due principi supremi: il calore sola-
re yang alimenta la nuvolosità yin tramite il semiocculto intermediario
dell’evaporazione.
Nella salita e ricaduta senza fine dell’acqua per evaporazione, con-
densazione e precipitazione l’equilibrio di armonia e avvicendamen-
to sotteso all’intero funzionamento dell’universo mentale cinese.
Perfino la violenza del temporale serviva a illustrare il legame indi-
viduale tra le forme naturali di energia: l’eccesso di pioggia yin ri-
chiedeva, a guisa di contrappeso, una scarica di ‘fuoco’ yang sotto
forma di folgore, per ricondurre entro limiti accettabili lo squilibrio
del cieo in tumulto.
Da qui i singolari doni delle nubi temporalesche alla terra: il tuono,
il fulmine e le tracce di zolfo fortemente elettrizzato.
Per il pensiero cinese tradizionale, essi rivelavano il pagamento di
un debito di energia accumulatosi nel corso del tempo nelle più alte
regioni dell’universo.
Qualche secolo più tardi la religione taoista dotò il suo pantheon di
un intero ministero del Tuono. Quel settore del governo divino inclu-
deva gli dei del tuono e del lampo, il conte del vento, il maestro della
pioggia e il suo giovane aiutante Yun-T’ung, il ‘garzone delle nuvole’
incaricato di tener sempre pronta una consistente riserva di vascelli
celesti, disposti in bell’ordine e carichi di pioggia.
Le moderne teorie riguardo al modello di vita feng-shui (vento e
acqua) sono le ombre lunghe proiettate fino ai nostri giorni della
forza inesausta di simili idee.
In contrasto con l’armoniosa concezione cinese, gran parte della
forza morale dell’antico giudaismo venne dal racconto di violenti
fenomeni metereologici vissuti in modo punitivo.
Dal diluvio della Genesi alla grandine dell’Esodo, i libri mosaici
e profetici sono gravati da un cupo clima di vendetta, spesso por-
tato da forti venti orientali.
Il tempo atmosferico sembra dirci il più terrificante di quegli epi-
sodi, è la sola condizione della vita terrena, il solo aspetto perma-
nente del mondo naturale, che non è e non sarà mai signoreggiato
dall’uomo.
Pestilenze e calamità discendevano da cieli plumbei e minacciosi,
causati da malaugurati disturbi delle correnti a getto.
Provenendo da una civiltà che si affidava per le sue colture all’ir-
rigazione fluviale, situazioni così estreme e imprevedibili pote-
vano suscitare una profonda angoscia circa il futuro che li atten-
deva.
Con precipitazioni medie annuali di appena 25-50 millimetri, il
regno del faraone quasi non conosceva le intemperie e gli ebrei,
che da più di quattro secoli vivevano nei suoi confini, non avreb-
bero mai visto il minaccioso addensarsi delle nubi temporalesche
se la loro esistenza non fosse stata rivoluzionata dall’Esodo.
(R. Hamblyn, L’invenzione delle Nuvole)