IL CIMITERO ROSSO

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il cimitero di guerra nella grammatica della vita


 

il cimitero rosso







Ci sono delle pietre che durante la notte si aprono come fiori.

Laggiù nel cimitero rosso in cui Bessie ossessiona i suoi ammiratori.

Ci sono delle pietre che fremono e piangono nel cuore della notte.

Laggiù nel cimitero rosso in cui Bessie ossessiona i suoi ammiratori.


Perché ricordo il blues?

Ho cinque, sei o sette anni e sono nel giardino sul retro;

la finestra è spalancata;

la sua voce si diffonde a rallentatore nell’aria pesante dell’estate.

Fagottini alla marmellata. Cuochi. Salsicce. Padelle.


All’interno della casa in cui sono me stessa,

la sua voce occupa molte stanze.

Nella migliore di tutte le stanze,

qualcosa ha cambiato la forma del mio silenzio.

Perché ricordo la sua voce e non quella di  mia madre?

Perché ricordo il blues?


La voce di mia madre. Com’era?

Un sasso piatto da far rimbalzare. Una vecchia roccia.

Erba molto, molto alta. Asfalto. Vento. Grandine.


Cotone. Lino. Sale. Melassa.

Credo fosse una pesca.

L’ho sentita tutta fino al nocciolo rugoso.


Scendo le scale della casa dei miei genitori.

Ho cinque, sei o sette anni. Sui muri c’è una spessa carta da parati

Che accarezzo sempre, passando di fiore in fiore.

Lei sta cantando. (Hanno mai messo altri dischi?)

Il piede di mio padre batte il tempo sul pavimento.


Cristo, gli sento dire, che voce che ha.

Prendo in mano la copertina del disco. E ora, tutto accade a rallentatore.

Le mie mani l’afferrano, scorrono su di essa, la stringono ancora.

Prendo la copertina e le mie dita coprono tutto il suo viso.

Il suo viso nero. Il suo magnifico volto nero.

Che voce. Le scarpe di lui ballano sul pavimento.


Ci sono delle pietre che durante la notte si aprono come fiori.

Laggiù nel cimitero rosso in cui Bessie ossessiona i suoi ammiratori.

Ci sono pietre che fremono e piangono nel cuore della notte.

Laggiù nel cimitero rosso in cui Bessie ossessiona i suoi ammiratori.

(J. Kay, Bessie Smith)




 

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