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La grande guerra aveva illuminato di luce cruda e improvvisa
il declino economico dell’Europa rispetto agli Stati Uniti.
Prima potenza economica mondiale già nel 914, gli USA accele-
larono il ritmo del loro sviluppo; centro propulsore, essi promos-
sero la prosperità degli anni 925-929 e la grande crisi del 929-33.
E furono ancora essi che, decidendo di risolvere la crisi con i pro-
pri mezzi, anziché ricorrendo a una collaborazione internaziona-
le, contribuirono più di ogni altra forza alla compartimentazione
economica del mondo, che costituisce la regola dopo il 1933.
Quando il 6 aprile 917, gli Stati Uniti erano entrati in guerra, l’In-
tesa era finanziariamente a terra. Gli alleati avevano ottenuto
prestiti privati americani, ma il loro credito era pressoché annien-
tato.
Nell’aprile del 917, una legge votata al Congresso diede loro modo
di attingere al Tesoro americano, e su scala ben maggiore.
Ma si tratta di un fatto meno importante di un altro fenomeno: nel
914, gli investimenti americani all’estero ammontavano a 2.500 mi-
lioni di dollari e gli investimenti europei negli USA erano di 4.500-
5.000 milioni di dollari.
Ma, grazie alle loro immense forniture all’Intesa, gli americani vi-
dero riassorbirsi a loro profitto buona parte dei capitali europei in-
vestiti, mentre dal canto loro si trovarono in grado, grazie agli e-
normi benefici accumulati, di investire all’estero oltre 9.000 milio-
ni di dollari.
Che gli Stati Uniti si fossero notevolmente arricchiti durante la
guerra ci è rivelato anche da altre cifre, precisamente quelle re-
lative al prodotto nazionale e all’incremento della domanda di
beni di consumo.
Ebbe insomma luogo un vero e proprio boom economico, l’aspet-
to più spettacolare del quale fu l’incremento dei beni di consumo
durevoli, come automobili, case, frigoriferi e apparecchi radio, e
si raggiunse così quello che Walt Rostow definisce ‘alto consumo
di massa’, grazie al quale gli americani superarono gli europei
per tutti i beni personali.
Certo la miseria continuò a essere retaggio di vasti gruppi della popo-
lazione, e inoltre i patner commerciali degli USA ricavarono relativa-
mente scarsi benefici dall’espansione; ma ciò non toglie che una nuova
forma di vita umana facesse la propria comparsa, e che ad essa gli eu-
ropei guardassero con un misto di invidia ed ironia.
Grazie a questa prospettiva e preponderanza, fino al 929 gli USA
imposero la propria volontà sul mercato finanziario internaziona-
le, nel quale, dopo il 29, esportarono la crisi e i suoi disastri.
Per comprendere a fondo il sistema, che ebbe corso in quei anni,
bisogna prendere le mosse dai grandi debiti interstatali causati
dalla guerra, in primo luogo ‘le riparazioni tedesche’, il cui prin-
cipio era stato imposto dal trattato di Versailles.
Una seconda categoria comprendeva i debiti che i paesi dell’Intesa
avevano contratto reciprocamente e soprattutto verso il Tesoro de-
gli USA.
L’ammontare delle ‘riparazioni’ tedesche fu fissato solo dallo ‘stato
dei pagamenti’ del 1° maggio del 921 e risultò di 126 miliardi di mar-
chi d’oro.
Cifra illusoria, essendo rappresentata simbolicamente da obbliga-
zioni A, B e C, e che era un mezzo grossolano per nascondere ai
francesi ossessionati dallo slogan ‘la Germania pagherà’ che in
effetti si rinunciava a 76 miliardi sui 126 dovuti.
I creditori principali erano la Francia, l’Inghilterra, l’Italia e il
Belgio in ordine decrescente.
I tedeschi, unanimamente ostili alle ‘riparazioni’, esitavano tra
due politiche: il rifiuto e l’adempimento. Nel 921, gli alleati prati-
carono una politica di ricostruzione, e il piano Dawes del 924, la
cui durata era prevista in cinque anni, fissava i pagamenti che
la Germania avrebbe dovuto effettuare in rate annuali da 1 a 2,5
miliardi di marchi d’oro, il cui trasferimento in divise non sareb-
be più stato compiuto dalla Germania, bensì da un ‘agente gene-
rale delle riparazioni’ con sede a Berlino.