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Gli Hinchi, spiegò a Echeverria e a Jessup, conservavano poco dell’originaria religione
animistica, nient’altro ormai che un superficiale rispetto per Quetzalcoatl, il dio serpente
piumato. Chissà come, avevano sviluppato un proprio codice religioso basato sulle
forze spirituali e vivificatrici.
Jessup ci trovò una curiosa analogia con le filosofie orientali.
La tribù intanto riempiva grossi sacchi di funghi, freshe foglie, petali, baccelli e bianchi
tuberi, e lo faceva attraversando lentamente il sacro altopiano alla maniera dei raccoglitori
di cotone, talvolta inginocchiandosi per liberare con le mani le radici.
Jessup se ne stava in disparte tenendo pronto il registratore portatile mentre Echeverria,
che era un botanico, spiegava come le piante raccolte fossero sinicuiche ovvero Hema
salicifolia, mentre i funghi erano quasi certamente Amanita muscaria, ‘ potentemente
psichedelici e alquanto pericolosi in quanto contenenti taluni alcaloidi della
belladonna, antropina, scopolamina.
La sinicuiche è una pianta tenuta in alta considerazione presso parecchie tribù indie.
Ho avuto modo di incontrarla in luoghi tanto settentrionali quanto Chihuahua.
A te dovrebbe interessare particolarmente.
Gli indi sostengono che provoca ricordi antichi.
La chiamano Primo Fiore’.
– Primo nel senso primordiale?
Sì, nel senso più antico.
– Mi piacerebbe provarla, disse Jessup.
– Credi che mi accoglierebbero nei loro riti?
– Mi pare gente socievole, osservò Echeverria.
Il 12 luglio fecero tutti ritorno nel territorio della tribù che era in una valle.
Quasi tutti si lanciarono in una tesguinada, una festa di due giorni a base di birra di
mais nel corso della quale alcune donne prscelte macinavano le varie radici, germogli,
petali, foglie.
Le polveri che ricavavano e anche i funghi spezzettati venivano fatti macerare per un
anno in zucche svuotate e poi ben chiuse. Vennero quindi portate fuori le zucche dell’anno
precedente e iniziarono i preparativi per il rito del fumo.
Soltanto cinque uomini, los escogidos, vi prendevano parte.
Uno di essi era ovviamente il vecchio brujo.
La cerimonia ebbe luogo davanti alla casa, una sorta di baracca dotata di una traballante
verenda sorretta da un paio di pali marcescenti.
Accesero un fuoco accucciandovisi intorno.
Il focolare era costituito da tre grosse pietre.
Il brujo uscì dalla baracca portando un sacco, che svuotò lentamente.
Estrasse per prima cosa un coltello da caccia lungo più di venti centimetri: riluceva
bluastro nella luce del tardo pomeriggio. Poi tirò fuori un sacchetto di cuio marrone,
poi ancora un vecchissimo astuccio anch’esso di cuio, da cui tolse la pipa cerimoniale:
un gambo scuro, rossastro e lungo una ventina di centimetri con all’estremità un fornello
annerito. Dispose questi oggetti in ordine su una coperta, poi si chinò nelle quattro
direzioni, cantilenando piano. Mise la mano nel sacco e ne estrasse un mazzo di biache
radici legate insieme: ne scelse una e con un coltello la tagliò.
(Paddy Chayefsky, Stati di allucinazione)
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