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…Django Reinhardt: genio istintivo, chitarra fatta uomo, poteri soprannaturali
venuti dal passato, anima primitiva marcata dal sigillo divino, tali sono le
formule che tornano più frequentemente a suo riguardo.
Come se si negasse al grande manouche (come lo si nega ancor oggi ai suoi
fratelli di razza) la facoltà di darsi uno scopo e di costringersi a uno sforzo
intenso per raggiungerlo. Inadatto a ogni lavoro individuale e a ogni progetto
collettivo, l’immagine dello zingaro indolente e irresponsabile resta viva nella
nostra società.
Non c’è niente di più falso.
L’abbiamo visto con Django che rieduca con accanimento la sua mano atrofizzata,
lo vedremo più tardi quando imparerà a scrivere o si accosterà alla pittura.
In tutt’altro ordine di idee, lo constatiamo oggi con certe iniziative tzigane che
tendono a provare, nello stupore, dei più competenti che, pur senza
assistenza gadjo, questo popolo può, quando ne sente il desiderio, prendere
in mano e valorizzare il proprio patrimonio culturale.
Per ritornare a Django, si è ripetuto in coro che era nato musicista e per molti
questa spiegazione basta: dopotutto gli tzigani non hanno forse la musica
nel sangue, come i neri hanno il ritmo?
Conosciamo l’antifona di questo razzismo inconscio che iscrive sul conto dell’
eredità ciò che rifiuta allo spirito: si nasce musicista tzigano come si nasce
gobbo! Agli altri, i gadjé, la facoltà di sviluppare un vero talento artistico
a forza d’intelligenza, di austera disciplina e di studi sapienti.
Per interpretare la musica dei rom è sufficiente l’istinto.
Strani parti avvengono in questi campi nomadi dove si concepiscono regolarmente
dei piccoli prodigi del violino o della chitarra, adorni di tutti i doni della
buona fata delle roulotte. La realtà è un’altra: in genere gli tzigani sono
effettivamente sensibilizzati alla musica fin da giovanissimi, ma perché questa
è parte integrante del loro quotidiano, cosa che non accade più nella nostra
società; da loro nessun divertimento familiare, nozze, battesimi o feste, si
fa senza la musica. Ecco l’origine delle dinastie di musicisti come quella di
Django, Joseph, Lousson e Babik Reinhardt o quella di Sarane, Baro, Matelo
Ferret e i suoi figli, senza parlare dei cugini. Resta il fatto che gli tzigani
non sono tutti dei musicisti, e che fra quelli che suonano ci sono anche i
mediocri.
E poi queste tradizioni hanno tendenze a perdersi presso certi gruppi più
esposti degli altri alle diverse pressioni della vita moderna. Eppure chi mi
spiegherà come identifichiamo, senza colpoferire e fin dalle prime note,
un chitarrista gitano?
Quel profumo, quello stile indefinibile che troviamo nei Ferret e in Django…,
quasi tutti gli tzigani, dal più umile al più brillante, hanno quel qualcosa in
più nell’espressività che li rende immediatamente riconoscibili. Però non
possiamo affermare che ciò sia scritto nei loro geni. E’ piuttosto in questa
immersione musicale costante che dobbiamo vedere l’origine di caratteri
così specifici. Da lì la fioritura periodica di numerosi talenti presso gli
tzigani, che siano gitani, manouche o rom, o addittura di bambini
prodigio….
Oltre l’impronta dell’ambiente sociale o il radicamento culturale, è evidente
che non dobbiamo trascurare lo sfondo artistico dell’epoca per quel che
riguarda la genesi di uno stile. Eppure, quando si tratta di un genio così
profondamente originale come Django, sembra che si siano sistematicamente
occultati tutti gli apporti esterni tranne quelli del jazz nero-americano.
Nessuno dubita del fatto che il manouche fosse un essere eccezionale,
però in tutta logica non poté sottrarsi al fascino delle musiche del suo
tempo. Così ci soffermeremo un po’ sul periodo fra le due guerre che
decise della sua carriera e dove tutto successe precipitosamente: i
generi musicali più diversi ed estranei tra loro si sarebbero felicemente
scontrati nel disdegno delle barriere geografiche o razziali.
(Billard/Antonietto, Django Reinhardt, il gigante del jazz tzigano)