L’UOMO E LA NATURA: LUPI (11)

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Lasciate che cominci con qualcosa di concreto: la predazione sul bestiame.

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Gli animali sono stati percepiti in vari modi nel corso della storia: come

oggetti per il divertimento umano, come schiavi ai suoi comandi, come

oggetti di interesse puramente simbolico.

Oggi sorridiamo di mettere sotto processo un animale per omicidio, ma

la nozione di processo e di punizione per gli omicidi commessi da animali

non dovrebbe essere liquidata come ignobile farsa.

Facevano sul serio nel XVI secolo; e comprendere perché un maiale venisse

processato, imprigionato e impiccato per omicidio aiuta a capire come

mai la gente dovrebbe desiderare lo stesso destino per il lupo.

Deriva dal principio della punizione.

La mentalità accademica dell’epoca faceva di tutto per osservare rigidamente

i principi e uno dei principi più vecchi della giustizia è quello della punizione.

La lex talionis, la legge ebraica dell’occhio per occhio.

Non si trattava di una semplice vendetta, ma tendeva a preservare un ordine

cosmico. Nessun atto di uccisione doveva rimanere impunito, inespiato. Se

una trasgressione così seria rimaneva impunita, i peccati del padre ricadevano

sui figli. Lasciare un omicidio impunito nella comunità, quindi, significava l’ira

di Dio sotto forma di malattia e carestia.

Sebbene non fosse più considerata sollecita, la legge della punizionerappresentava

una volta una forte influenza sul pensiero legale. E nonostante uomini come

Tommaso d’Aquino considerassero gli animali come inconsapevoli strumenti

del Diavolo, come il tramite con cui Dio portava il dolore e la sofferenza

che mettevano alla prova la tempra dell’uomo, non c’era alcuna differenza:

chiunque interferisse con il progetto e la giustizia divina doveva essere castigato.

Se un cavallo scalciava a morte un bambino pestifero, doveva essere processato

e impiccato. Portato al suo eccesso, questo pensiero voleva dire che l’uomo

suicida per mezzo di un coltello fosse processato, la sua mano mozzata e

punita in separata sede, e il coltello bandito, gettato oltre le mura cittadine.

Anche quando questi processi agli animali cessarono, l’idea che l’omicidio

umano dovesse essere espiato persistette. Di recente era ancora preservata

nella legge inglese dei deodanti. Il carro che investiva un uomo veniva venduto

e il ricavato andava allo stato che, in teoria, aveva perso i servigi di quel

cittadino. Non era certo necessario un ragionamento del genere per spingere

un uomo a volere la vita di un lupo sospettato di aver ucciso un essere

umano, ma è importante notare che gli uomini si sentivano in obbligo

morale, e non semplicemente in diritto, di trovare la bestia e abbatterla.

Non importava che i lupi fossero esseri senzienti o sciocchi strumenti di

Satana, che uccidessero deliberatamente o in modo accidenatale o che

fossero sospettati di aver ucciso qualcuno: lo spirito del deceduto doveva

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essere vendicato da un’azione punitiva.

L’idea del castigo al quale era connesso il macello di bestiame, cioè l’omicidio non

umano, prese piede per due ragioni. Anzitutto, esisteva una concezione di

pecore e bovini come creature innocenti incapaci di vendicarsi, quindi sotto la

tutela dell’uomo: ‘Uccidi la mia pecora e ucciderai me’.

In secondo luogo si credeva che gli animali domestici fossero innatamente buoni

e il lupo innatamente malvagio, e che quest’ultimo fosse in qualche modo al

corrente della natura del suo atto quindi un omicida intenzionle. In seguito,

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ossia nell’America del tardo XIX secolo, questo atteggiamento pretettivo del

bestiame innocente, della sua rettitudine, divenne un elemento centrale, un

fondamento giuridico delle bounty laws e dei programmi di avvelenamento

con cui si intendeva liberarsi dei lupi, elemento tanto cruciale quanto la 

perdita economica.

Altre idee presero origine dal Medioevo e contribuirono a far credere che 

uccidere lupi fosse moralmente corretto. Nella mentalità popolare veniva

fatta una distinzione tra animali come il cane e la vacca, che servivano l’uomo,

e il lupo e la donnola, che arrecavano dolore. Si discriminava tra bestes dulces

o bestie dolci, e bestes puantes o bestie fetide. Il contrasto tra lupo e daino,

tra corvo e colomba rende a sufficienza l’idea.

Un altra importante idea era la credenza che gli animali fossero stati portati

sulla Terra per servire l’uomo che ‘nessuna vita può soddisfare Dio se non

è utile all’uomo’. L’uomo riteneva di avere il dominio sugli animali alla

stessa stregua del dominio che esercitava sugli schiavi, per cui poteva

permettersi qualsiasi cosa. Ripulire la foresta dai lupi affinché l’uomo potesse

allevare bestiame era perfettamente giusto.

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Non solo, ma incontrava l’approvazione di varie denominazioni religiose che

ammiravano tale ingegno, e dello stato, il cui scopo era ottenere una campagna

soggiogata, adatta al pascolo e produttiva.

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Il pensatore francese René Descartes elaborò un’alta argomentazione a sostegno

dell’uccisione dei lupi. Sostenne che gli animali non fossero giunti sulla Terra a

uso e consumo degli uomini, ma che fossero di umili natali, senza anima, per

cui l’uomo non incorreva in alcuna colpa morale nell’ucciderli. Si trattava della

negazione formale di un’idea ‘pagana’ incompatibile con il pensiero della

Chiesa romana, secondo la quale gli animali avevano uno spirito, non dovevano

essere uccisi in modo arbitrario e non appartenevano all’uomo.

(Barry Lopez, Lupi)

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Sin da quando l’uomo ha preso a interessarsi al lupo, facendone discendere i

cani o ammirandolo come cacciatore, ha trasformato la sua uccisione in routine.

A prima vista le ragioni sono semplici e giustificabili.

I lupi sono predatori.

Quando l’uomo arriva in una ‘terra’ per domarla, rimpiazza la selvaggina con

animali domestici. I lupi predano queste bestie, e l’uomo a sua volta li uccide,

riducendone la popolazione come misura preventiva per proteggere il suo

investimento economico.

I due non possono proprio vivere accanto

L’uccisione dei lupi va naturalmente ben oltre il controllo dei predatori.

I cacciatori di taglie uccidono per i soldi, i trapper per le pelli, gli scienziati per

i dati, gli appassionati di caccia grossa per il trofeo. In questi casi le ragioni addotte

sono difficilmente sostenibili, eppure molte persone non vedono proprio nulla

di sbagliato in tali attività. Anzi, questo è il modo in cui trattiamo comunemente

i predatori, inclusi orsi, linci, e puma.

Ma il lupo è in sostanza diverso, poiché la storia del suo sterminio mostra un

autocontrollo decisamente inferiore e una perversione assai superiore. Sono

numerosi coloro che non ammazzavano i lupi tout court, ma li torturavano.

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Li bruciavano vivi, strappavano loro le mascelle, tagliavano loro i tendini

d’Achille, li facevano inseguire dai cani. Li avvelenavano con stricnina,

arsenico e cianuro su scala così vasta che milioni di altri animali come procioni,

mustele dai piedi neri, volpi rosse, corvi imperiali, falchi dalla coda rossa,

aquile, citelli e ghiottoni morirono accidentalmente di conseguenza.

All’apice della febbre sterminatrice, avvelenarono persino se stessi e bruciarono

i propri possedimenti boschivi nel tentativo di sbarazzarsi dei rifugi dei

lupi.

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Negli Stat Uniti, come altrove, nel periodo compreso tra il 1865 e il 1885, gli

allevatori di bestiame uccidevano i lupi con dedizione quasi patologica.

Nel ventesimo secolo uno sport diffuso consisteva nell’affiancarsi ai lupi a

bordo di aeroplani e motoslitte e abbatterli a colpi di fucile. Nel Minesota

degli anni 70 la gente soffocava al laccio i lupi nordamericani per manifestare

il proprio disprezzo a chi aveva dichiarato il lupo un animale in via d’estinzione.

Questo non è un controllo dei predatori e si spinge oltre la casuale crudeltà che

i sociologi affermano manifestarsi tra le persone sotto stress o dove non esiste la

percezione della responsabilità.

E’ l’epressione violenta di un presupposto terribile: che l’uomo abbia il diritto

di uccidere altri esseri viventi non per le loro azioni ma per le azioni che temiamo

possano intraprendere.

Ho quasi scritto ‘o per nessuna ragione’, ma di ragioni ce ne sono sempre.

L’uccisione dei lupi ha a che fare con una paura fondata sulla superstizione.

Ha a che fare con il ‘dovere’.

Ha a che fare con dimostrazioni di virilità.

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E a volte, poiché è un atto considerato ‘giusto‘ e al tempo stesso del tutto privo

di coscienza, uccidere i lupi penso abbia a che fare con l’omicidio.

Storicamente la spinta più manifesta, e quella che meglio spiega l’eccesso di sterminio,

è un tipo di paura: la teriofobia.

La paura delle bestie.

La paura delle bestie come creature irrazionali, violente e insaziabili.

La paura della proiezione della bestia che è in noi.

Questa paura è costituita da due fattori, l’odio per se stessi e l’ansia per la perdita

umana di inibizioni presenti in altri animali che non stuprano, non commettono

omicidi e non saccheggiano.

Al cuore della teriofobia vi è la paura della propria natura.

Nella sua manifestazione più acuta, la teriofbia è proiettata su un animale solo, che

diventa un capro espiatorio e viene annichilito.

L’odio alligna le sue radici nella religione: il lupo era il Diavolo travestito.

E tali radici sono secolari: i lupi uccidevano il bestiame e rendevano gli uomini poveri.

A un livello più generale atteneva, da un punto di vista storico, ai sentimenti provati

nei confronti della wilderness, ossia della natura incontaminata, integra e non ancora

domata dall’uomo. Quando gli uomini parlavano del primo aspetto, generalmente si

riferivano al secondo. Celebrare la wilderness voleva dire celebrare il lupo; alla stessa

stregua, porre fine alla wilderness, e a tutto ciò che rappresentava, significa volere la

testa del lupo.

Nel cercare di comprendere la nostra avversione riguardo la natura selvaggia, lo storico

Roderick Nash ha individuato antecedenti religiosi secolari. In Beowulf, per esempio,

si trova un’espressione della wilderness secolare costituita da foreste disabitate, una

regione le cui fredde e umide profondità, con le sue paludi miasmatiche e i suoi dirupi

battuti dal vento, ospitano creature orribili predatrici dell’uomo.

Nella Bibbia la wilderness è definita come il luogo senza Dio, un deserto avvizzito e

sterile.

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Questo contorto senso della natura in quanto luogo per essenza pericoloso e senza

Dio era qualcosa che conduceva, in modo inevitabile, al lupo, l’abitante più temuto

della tetra terra del wilderness.

Col maturare dell’uomo civilizzato e con la misurazione dei suoi progressi in base

all’assoggettamento della natura, sia abbattendo alberi per le fattorie sia livellando

le menti pagane per far posto alle idee cristiane, uccidere i lupi divenne un atto

emblematico, un modo di scagliarsi contro quell’enorme e rudimentale ostacolo:

la wilderness.

L’uomo dimostrava la sua forza prodigiosa e la fedeltà a Dio uccidendo i lupi.

(B. Lopez, Lupi)

Prosegue in:

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Medioevo ritrovato in:

orrore-senza-fine-lettera-aperta-al-direttore-del-parco-monti-sibillini-1

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