Precedente capitolo (..per le balene…):
Pagine di storia in:
(Colgo l’occasione, per porre l’attenzione al modesto contributo fornito per
una battaglia, non dico vinta, ma sicuramente in avanzato stato di allerta,
che abbiamo contribuito a sensibilizzare grazie e soprattutto ai ‘valorosi
collaboratori’ …di Terra (in):
giappone-indietro-tutta-le-baleniere-fanno-rientro ;
… quindi ripropongo i 20 capitoli dedicati all’argomento scritti
nel Dicembre scorso. Vi sono importanti e valide argomentazioni a sostegno
di una giusta causa che ho evidenziato in aspetti bibliografici di sicuro
interesse. Buona lettura. )
Quanto alla Germania essa ha la scusa di essere entrata da poco nell’agone
baleniero; però si uniforma alle regole e promette di aderire alla convenzione.
La funzione del controllore non è di facile esercizio.
Egli deve verificare che il primo colpo di cannone venga sparato non prima
delle zero dell’otto dicembre e l’ultimo non dopo le ventiquattro del 15 marzo;
che non vengano uccise balene al di sotto di una certa misura per ogni famiglia,
oppure in stato di maternità, che nulla di ciò che può essere convertito in olio
venga gettato in mare, e così via. C’è tutta una casistica che egli ha in capo, e
quando gli viene un dubbio va a consultare i testi societari nella sua cabina.
Quelli sono i momenti in cui si froda la dogana.
A bordo di una nave-fattoria tutti sono cointestatari, perciò la notizia che il
controllore è andato giù, o sta facendo la partita, o schiaccia un pisolino,
arriva per canali misteriosi in coperta e allora si vede una carcassa di parecchie
tonnellate scavalcare il parapetto e piombare con fragoroso scroscio in mare.
Questa infrazione si perpreta quando c’è troppa carne al fuoco. Il capitano
può sempre dimostrare che la balena era magra, che dalla carcassa si sarebbe
ricavato sì e no il 5% di olio, che occupare i bollitori per un prodotto così
esiguo è un affare che nessun industriale ammetterebbe nella sua gestione.
I rapporti diplomatici si tendono un po’, come a Ginevra, ma non corrono
parole grosse. Un’ora dopo il capitano si vede recapitare una lettera del
seguente tenore: Con mio grande rincrescimento ho dovuto constatare che oggi
ecc. ecc.. Mentre invito la S.V. ad applicare nei confronti dei responsabili le penalità
prescritte (confisca della percentuale da corrispondersi sui barili d’olio pertinenti
alla balena incriminata) prego di dare adeguate disposizioni perché il lamento
inconveniente non abbia a ripetersi più.
Alla sera il controllore gioca a carte col capitano e col manager.
Il mondo è fatto per viverci dentro.
Oggi voglio esaurire la balena industriale, voglio dar fondo a questo negozio
di strutto e di olio per passare alla caccia. Vado sotto coperta. Mi arrischio
nel labirinto dei corridoi, mi spingo nelle sale dove uomini grondanti di
sudore (fuori ci sono 5° sotto zero) sorvegliano una sostanza giallastra che
passa davanti a una spia di vetro e seguono le oscillazioni di una lancetta
di manometro. Il grasso, la carne e le ossa che ho visto sparire dalla coperta
finiscono attraverso le botole in queste gigantesche autoclavi nel cui interno
un cilindro a coltelli gira trasformando ogni cosa in olio con l’aiuto del vapore
acqueo.
Nove ore dura la bollitura sia per il grasso, che viene trattato a pressione moderata,
sia per la carne e le ossa che esigono una pressione più forte. Poi c’è tutto un
processo di depurazione, seguendo il quale si finisce a ritrovarsi in una stanzetta
dove un uomo con un camice bianco vive separato dal resto del mondo fra fiale,
bilance, strumenti microscopici e bottigliette suggellate con la ceralacca.
E’ un chimico che preleva i campioni, li classifica secondo il titolo, e ne stabilisce
il grado di purezza. Egli è un personaggio che non si vede mai sul ponte,
cui il cetaceo non interessa come fenomeno di natura ma riguarda soltanto
come sostanza da riempire quelle care boccette sulle quali egli scrive
amorosamente dei nomi e dei numeri. Gli strani rumori che rintronano nel suo
piccolo laboratorio non lo disturbano minimimante; egli lavora davanti ad un
oblò che, all’improvviso, mentre sta spiegandomi la differenza di tinta e di
titolo fra olio di grasso e olio di ossa, si appanna, filtrando nella cabina una
luce da gabinetto fotografico.
Chi è stato?
Oh, niente.
C’è un velo di liquido rosso che scorre davanti al cristallo, una cosa di tutti i
giorni e di tutte le ore.
La nave è complicata, misteriosa, con recessi dove si fanno gli incontri più impensati.
Ad una svolta mi sono imbattuto in un porcile, cioè uno steccato dentro il quale
grugnivano due porcellini vivi. Spingendo una porta mi sono incontrato con un
falegname che mi ha guardato al di sopra degli occhiali; egli indossava una casacca
blu e stava fabbricando un lettino da bambola per la figlia del capitano.
Sono sceso al ponte dei serbatoi, tranquillo, silenzioso, immerso nel buio, dove
ho visto dei cassoni di ferro quadrangolari, robustamente bullonati; la cantina di
questa orrenda vendemmia, l’urna dove Leviatan dorme finalmente in pace,
l’Escorial della balena.
Quando risalii sul ponte mi attendeva una sorpresa.
Proprio per me il primo ufficiale aveva fatto deporre su un tavolo del ‘salone’
una cassetta di legno dentro cui erano degli strani ciottoli neri, simili a pani di
torba, che mandavano un odore curioso, quasi medicinale.
– E’ ambragrigia, dissero intorno.
Diedi un balzo, come se mi avessero mostrato il diamante Kohinohor. Ero fresco
di libri balenieri in cui avevo letto che spedizioni di caccia sul punto di fallire
per scarsezza di raccolto erano state salvate per aver messo le mani su qualche
chilogrammo di quella sostanza.
(…dall’inviato del Corriere della Sera, Cesco Tomaselli, La corrida delle balene)