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Rimpiattino, rimpiattarello, nascondino, nasconderello.
Piatta-cu-cu o ripostiglio, lo chiamavano i bambini all’Incisa.
Basta essere in due a giocarci, ma è meglio essere in tanti.
Quella domenica pomeriggio dovevano esserci Narciso Biagi, Alpinolo, Cecchino…,
la Beppa di Baracchino e altri dell’età di Amerigo o poco più.
Uno conta e non guarda, finché gli altri sono nascosti e lui poi va a cercarli.
A chi toccasse, Amerigo non sapeva bene. Aveva capito però che c’erano le
sue sorelle maggiori – lui aveva 9 anni -, la Beppa e la Lina già nascoste da
qualche parte nello stanzino della bottega. Doveva entrare anche lui, presto,
se voleva giocare.
Voleva o non voleva?
L’importante è un buon nascondiglio. A volte, però, uno ci sta rimpiattato
così bene che non guarda, non può neppure capire cosa succede fuori, intorno.
Se chi lo deve scoprire stia avvicinandosi senza far rumore e lo stia per pigliare.
O se invece sia proprio il momento giusto per schizzar via. Il difficile è far
capolino. Bisogna vedere, senza essere visti. Qualcuno, talvolta non s’azzarda mai
ad uscirne; sta rintanato come se fose al sicuro.
E invece lo sa, si sa che non è vero.
Più a lungo rimane fermo, al coperto, col cuore che batte forte, più aumentano le
probabilità di essere acchiappato. Ma a comportarsi così, di solito, sono quelli che
non sanno correre svelti, i più paurosi; oppure i più piccini. A volte ci sono i grandi
che li aiutano.
Se c’è chi conosce meglio degli altri il posto dove si gioca, allora lui è avvantaggiato,
perché può trovare dei ripostigli che nessuno si immaginerebbe neppure.
Carlino, detto il Pelato, conosceva bene la bottega. Per forza; era lì che lavorava,
al n. 43 della strada maestra. Al 45 abitava Amerigo, che quel pomeriggio entrò nel
fondo, come tante altre volte, per giocare.
…E io andai in bottega con Carlino, Carlino chiuse l’uscio di fuori con il catenaccio
di dentro, e chiuse anche la finestrina con le imposte di dentro che guarda il
vicolo stradale. Quando fui in bottega così al bujo come di sera, Carlino mi
condusse nello sferrato accanto al muro dalla parte della finestra, ci aveva fatto
una buca, ma non so quando, mi disse – va qui dentro – ed io ci andai, e lui mi
accomodò disteso voltato in giù con la bocca e con la pancia e mi disse – ora ti
copro col grembiule -, ma invece non mi coprì col grembiule, ma mi vuotò
addosso un corbello di rena, ma io alzai la testa e andai per scappare, e gridai,
ma lui mi prese con una mano il viso coprendomi la bocca, perché non gridassi
e con l’altra mano mi prese il collo per strozzarmi, e mi voleva strozzare, ma
io continuai a gridare, e Carlino allora mi trascinò nello stanzino, che è un
sotto scala e mi teneva con tutte e due le mani per il collo e da ultimo non potevo
più respirare, né vociare, ed ero in terra perché mi ci aveva buttato Carlino e
mi ammazzava. Io lo mordevo nelle dita delle mani, ma non mi potevo più
difendere, perché ormai ero in terra, ma vennero a liberarmi di fuori la Gente,
e sentivo rompere la porta del corridojo, e l’aprirono, e vennero dentro diversi
e c’era anche mio padre, ma allora Carlino mi lasciò andare, e aperta la porta
fuggì in casa, e me mi portarono via, ed ero tutto sangue nella faccia, perché
Carlino mi aveva sgraffiato nel viso.
(P. Guarnieri)