E’ stato scritto nelle sinistre
prime ore della cupa
mattina di Ognisanti,
il che potrebbe dar
conto del tono e dell’
atmosfera. Presenta il
concerto, accettabile
per la mente ortodossa,
che gli incubi
costituiscano la
punizione inflitta
all’anima per colpe
commesse in una
precedente incarnazione, forse milioni di anni prima!
NEMESI
Oltre le cupe soglie del sopore
vigilate dai ghoul,
oltre i notturni abissi della luna,
ho vissuto esistenze senza numero,
ho sondato ogni cosa col mio
sguardo
e grido disperato ad ogni aurora
perché divento folle di terrore.
Ruotavo con la Terra al suo mattino,
quando il cielo era un turbine di
fiamma;
ho vissuto il cosmo oscuro spalancarsi
là dove neri mondi vagan senza
scopo,
vagano nell’orrore inavvertiti,
senza fama né nome né
coscienza.
Ho aleggiato sui mari sconfinati,
sotto sinistri cieli grigio-piombo,
lacerati da fòlgori improvvise,
fra tuoni come grida di terrore,
coi gemiti di dèmoni invisibili
emersi dalle acque di
smeraldo.
Come un daino ho sostato sotto gli
archi
delle grandi foreste primordiali,
ove s’avverte la Presenza Immonda,
in luoghi dagli spettri anche
evitati,
alla Casa che Avvinghia son
sfuggito, a Colei che
sogghigna dietro i rami.
Sui monti crivellati di caverne
che si levano squallidi dal piano
ho bevuto acque infette dalle rane,
che filtran dagli stagni e dagli scoli;
ed in fonti maledette ho
visto cose che non oso dire.
Ho visto un gran palazzo cinto
d’edera,
nelle sue sale vuote sono entrato,
dove la luna alta sulle valli
proietta strane ombre sulle mura:
apparenze deformi ed intrecciate, il
cui ricordo non oso
richiamare.
Ho spiato dubbioso nelle case,
da giardini in rovina circondate,
di un villaggio maledetto cinto
da un lugubre terreno sepolcrale:
e dai lunghi filari d’urne bianche ho
ascoltato levarsi voci arcane.
Ho sostato fra tombe di millenni,
ho volato su vette di terrore
là dove infuria l’Erebo fumante,
dove s’ergono picchi desolati;
e in regni dove il sole del deserto
consuma ciò che mai può
rallegrare.
Ero già vecchio quando i Faraoni
salirono sul trono presso il Nilo;
ero vecchio nell’epoca lontana
in cui io solo davo corpo al male,
ed innocente aveva sede l’uomo
nell’isola felice dell’Antartide.
Oh, grande fu la colpa del mio
spirito,
e atroce è la vendetta del destino.
Né la pietà del Cielo può placarmi,
né il sepolcro può darmi alcun
riposo:
da ère interminate per me battono le
ali d’un dolore sconfinato.
Oltre le cupe soglie del sopore,
vigilate dai ghoul,
oltre i notturni abissi della luna,
ho vissuto esistenze senza numero,
ho sondato ogni cosa col mio
sguardo
e grido disperato ad ogni aurora perché
divento folle dal terrore.
(Lovecraft)