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dialoghi con Pietro Autier 2 &
Sarà ora comprensibile che, con l’espressione ‘Spazio Infinito’,
io non intendo affatto esigere dal lettore l’impossibile conce-
zione di un ‘infinito assoluto’.
Mi riferisco semplicemente alla ‘più ampia estensione conce-
pibile’ nello spazio, un dominio oscuro e fluttuante, ora in e-
spansione ora in collasso, secondo le vacillanti energie dell’-
immaginazione.
Finora, si è sempre ritenuto che l’Universo stellare coincides-
se con il vero e proprio Universo, come l’ho definito all’inizio
di questo Discorso.
Si è sempre assunto direttamente o indirettamente, almeno
sin dagli albori dell’Astronomia intelligibile, che ci fosse pos-
sibile raggiungere un dato punto nello spazio, noi dovremmo
allora incontrare attorno a noi un’interminabile successione
di stelle.
Questa era l’insostenibile idea di Pascal quando probabilmen-
te effettuò il più riuscito tentativo di perifrasare il concetto
che noi stiamo affannosamente cercando nella parola ‘Univer-
so’.
‘E’ una sfera’, diceva, ‘il cui centro è dovunque, e la circonfe-
renza in nessun luogo’. Ma nonostante questa definizione mi-
rata non sia in realtà una definizione dell’Universo stellare,
noi pensiamo ugualmente accettarla, con qualche riserva
mentale, come definizione dell’Universo vero e proprio, il
che significa: dell’Universo spaziale.
Ebbene, consideriamo allora quest’ultimo come ‘una sfera il
cui centro è dovunque, e la circonferenza in nessun luogo’.
Infatti, mentre troviamo impossibile immaginare la fine del-
lo spazio, non abbiamo alcuna difficoltà a raffigurarci uno
qualunque dei suoi inizi.
Come nostro punto d’inizio, assumiamo ora la Divinità.
Riguardo alla Divinità in sé, soltanto chi non si pronuncia
affatto non è un imbecille, soltanto costui non è empio:
“NON CONOSCIAMO ASSOLUTAMENTE NIENTE DELLA
NATURA DELL’ESSENZA DI DIO: PER COMPRENDERLA,
DOVREMMO ESSERE DIO NOI STESSI”.
“Dovremmo essere Dio noi stessi!”, nonostante questa frase
così stupefacente ancora risuoni nelle mie orecchie, mi av-
venturo a indagare se questa nostra attuale ignoranza della
Divinità sia una condanna che grava perennemente sulla
nostra anima.
Da Lui, comunque, l’incomprensibile, per lo meno ora, da
Lui, assumendolo come Spirito, ossia, non Materia, una di-
stinzione che, per qualunque scopo intelligibile, sostituisce
bene una definizione, da Lui, ancora, esistente come Spirito,
accontentiamoci di supporre di essere creati, o prodotti dal
NULLA, per mezzo della sua Volizione, in qualche punto
dello Spazio che assumeremo come centro, in un certo mo-
mento che non pretendiamo di indagare, ma rispetto al qua-
le tutti gli eventi sono immensamente remoti, da Lui, di
nuovo, supponiamo di essere stati creati, cosa?
Si tratta di un momento cruciale all’interno delle nostre
considerazioni. Cosa è che ci legittima, cosa soltanto ci
legittima a credere di essere stati primariamente CREATI?
Abbiamo raggiunto un punto in cui soltanto INTUIZIONE
può soccorrerci: ma lasciate ora che io ricorra all’idea che
ho già suggerito come l’unica propriamente accettabile del-
l’intuizione.
Questa infatti, non è altro che LA CONVINZIONE SORTA
DALLE INDUZIONI O DALLE DEDUZIONI I CUI PRO-
CESSI SONO TALMENTE OSCURI CHE SFUGGONO AL-
LA NOSTRA CONSAPEVOLEZZA, ELUDONO LA NOSTRA
RAGIONE, O DISATTENDONO LA NOSTRA CAPACITA’
D’ESPRESSIONE.
(POE, Eureka)