UNIVERSI 2

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gli occhi di Atget






Sarà ora comprensibile che, con l’espressione ‘Spazio Infinito’,

io non intendo affatto esigere dal lettore l’impossibile conce-

zione di un ‘infinito assoluto’.

Mi riferisco semplicemente alla ‘più ampia estensione conce-

pibile’ nello spazio, un dominio oscuro e fluttuante, ora in e-

spansione ora in collasso, secondo le vacillanti energie dell’-

immaginazione.

Finora, si è sempre ritenuto che l’Universo stellare coincides-

se con il vero e proprio Universo, come l’ho definito all’inizio

di questo Discorso.

Si è sempre assunto direttamente o indirettamente, almeno

sin dagli albori dell’Astronomia intelligibile, che ci fosse pos-

sibile raggiungere un dato punto nello spazio, noi dovremmo

allora incontrare attorno a noi un’interminabile successione

di stelle.

Questa era l’insostenibile idea di Pascal quando probabilmen-

te effettuò il più riuscito tentativo di perifrasare il concetto

che noi stiamo affannosamente cercando nella parola ‘Univer-

so’.

‘E’ una sfera’, diceva, ‘il cui centro è dovunque, e la circonfe-

renza in nessun luogo’. Ma nonostante questa definizione mi-

rata non sia in realtà una definizione dell’Universo stellare,

noi pensiamo ugualmente accettarla, con qualche riserva

mentale, come definizione dell’Universo vero e proprio, il

che significa: dell’Universo spaziale.

Ebbene, consideriamo allora quest’ultimo come ‘una sfera il

cui centro è dovunque, e la circonferenza in nessun luogo’.

Infatti, mentre troviamo impossibile immaginare la fine del-

lo spazio, non abbiamo alcuna difficoltà a raffigurarci uno

qualunque dei suoi inizi.

Come nostro punto d’inizio, assumiamo ora la Divinità.

Riguardo alla Divinità in sé, soltanto chi non si pronuncia

affatto non è un imbecille, soltanto costui non è empio:

“NON CONOSCIAMO ASSOLUTAMENTE NIENTE DELLA

NATURA DELL’ESSENZA DI DIO: PER COMPRENDERLA,

DOVREMMO ESSERE DIO NOI STESSI”.

“Dovremmo essere Dio noi stessi!”, nonostante questa frase

così stupefacente ancora risuoni nelle mie orecchie, mi av-

venturo a indagare se questa nostra attuale ignoranza della 

Divinità sia una condanna che grava perennemente sulla

nostra anima.

Da Lui, comunque, l’incomprensibile, per lo meno ora, da

Lui, assumendolo come Spirito, ossia, non Materia, una di-

stinzione che, per qualunque scopo intelligibile, sostituisce

bene una definizione, da Lui, ancora, esistente come Spirito,

accontentiamoci di supporre di essere creati, o prodotti dal

NULLA, per mezzo della sua Volizione, in qualche punto

dello Spazio che assumeremo come centro, in un certo mo-

mento che non pretendiamo di indagare, ma rispetto al qua-

le tutti gli eventi sono immensamente remoti, da Lui, di

nuovo, supponiamo di essere stati creati, cosa?

Si tratta di un momento cruciale all’interno delle nostre

considerazioni.  Cosa è che ci legittima, cosa soltanto ci

legittima a credere di essere stati primariamente CREATI?

Abbiamo raggiunto un punto in cui soltanto INTUIZIONE

può soccorrerci: ma lasciate ora che io ricorra all’idea che

ho già suggerito come l’unica propriamente accettabile del-

l’intuizione.

Questa infatti, non è altro che LA CONVINZIONE SORTA

DALLE INDUZIONI O DALLE DEDUZIONI I CUI PRO-

CESSI SONO TALMENTE OSCURI CHE SFUGGONO AL-

LA NOSTRA CONSAPEVOLEZZA, ELUDONO LA NOSTRA

RAGIONE, O DISATTENDONO LA NOSTRA CAPACITA’

D’ESPRESSIONE.

(POE, Eureka)





poe.jpg

 

UNIVERSI

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….Mi sono fermato per un momento sulla terribile soglia

del Futuro (ed, aggiunge l’autore del blog, siamo solo nel-

l’abisso del pendolo del passato).

Per ora, chiamiamo ‘ammassi’ questi assembramenti,

poiché li vediamo nei momenti iniziali del loro consoli-

darsi. Il ‘loro’ assoluto consolidamento ‘deve ancora

avvenire’.

Abbiamo ora raggiunto un punto da cui possiamo osser-

vare l’Universo stellare come uno spazio sferico, dissemi-

nato ‘non uniformemente’ di ammassi. Si noti che qui

preferisco l’avverbio ‘non uniformemente’ alla frase ‘con

una uniformità meramente generale’ che ho impiegato

prima.

E’ infatti evidente che l’uniformità di distribuzione dimi-

nuirà in ragione dei processi di  agglomerazione, ossia,

man mano che gli oggetti disseminati diminuiscono in

numero.

Così l’aumento di non uniformità, un aumento che deve

continuare finché, prima o poi, giungerà un momento in

cui l’agglomerato più ampio assorbirà tutti gli altri, deve

essere interpretato come una semplice indicazione corro-

borativa della tendenza dell’Uno.

E qui, infine, sembra apportuno verificare se i fatti accer-

tati dell’Astronomia confermino la disposizione generale

che ho assegnato in modo così deduttivo al Firmamento.

Ebbene, la confermano completamente. 

L’osservazione al telescopio, guidata dalle leggi prospetti-

che, ci consente di intendere che l’Universo sensibile esi-

ste come un approssimativamente sferico ammasso di 

ammassi, disposti in modo irregolare.

Gli ‘ammassi’ che compongono questo Universale ‘am-

masso di ammassi’ sono meramente quanto noi abbiamo

designato come ‘nebulose’ e, di queste ‘nebulose’, una è di

supremo interesse per l’umanità.

Sto alludendo alla Galassia, la Via Lattea. 

Questa ci è di grande interesse, in primo luogo e ovviamen-

te, a motivo della sua grande superiorità nella forma visibi-

le, non soltanto rispetto a uno qualunque degli ammassi del

firmamento, ma a tutti gli ammassi presi insieme.

Comparativamente, il più grande di questi occupa semplice-

mente un punto, e lo si può vedere distintamente con l’ausi-

lio di un telescopio.

La galassia si muove lungo tutto il Cielo ed è visibile nella sua

brillantezza a occhio nudo.

(POE, Eureka)




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IL VAGABONDO DELLE STELLE

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Gli occhi di Atget

Foto del blog:

la camera

oscura

Da:

Frammenti in rima







…Ripresi conoscenza nella mia cella di rigore, attorniato

dal solito quartetto.

– Tu, blasfemo direttore di San Quentin, creatura infer-

nale!

dissi in tono di scherno, dopo aver bevuto avidamente

l’acqua che mi era stata offerta.

– Trionfino pure i carcerieri e i detenuti di fiducia !

– Il loro tempo sta per finire.

Quando verrà la fine dei tempi, per essi sarà la fine.

– Gli ha dato di volta il cervello.

Disse il direttore Atherton in tono convinto.

– Si sta prendendo gioco di voi,

fu la più ponderosa risposta del dottor Jackson.

– E però rifiuta il cibo,

osservò il caprobraccio Jamie.

– Mmm…potrebbe resistere quaranta giorni senza

risentirne, rispose il dottore.

– Proprio così, dissi io,

– E anche quaranta notti. Ora per cortesia, stringete-

mi un po’ di più la camicia di forza e andatevene.

Il detenuto di fiducia cercò di infilare l’indice nell’-

allacciatura.

– Anche a tirarla con un verricello, assicurò, non

 si guadagnerebbe neanche un quarto di pollice.

– Hai qualche reclamo da fare, Standing ?

chiese il direttore.

– Si, risposi,

– ho due cose di cui lamentarmi.

– E cioè, dissi,

– Primo, dissi, – questa camicia di forza è allentata

in maniera abominevole.

– Hutchins è un somaro.

– Se volesse, la potrebbe stringere di almeno un

palmo.

– Qual’è l’altra cosa ? 

– Che siete stato concepito dal diavolo, Atherton.

Il capobraccio Jamie e il dottor Jackson abbozzaro-

no un sogghigno.

Poi il direttore, sbuffando, aprì la marcia e i quattro

uscirono dalla cella.

Rimasto solo, non vedevo l’ora di immergermi nell’-

oscurità e di tornare a Nephi, ai carri della carovana

sistemati in circolo…

(J. London, Il vagabondo delle stelle, Adelphi)




                       

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