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Affinché il potenziale del genere umano si esprima in atti
di violenza, c’è bisogno di circostanze adatte.
In generale l’uomo tortura e uccide non perché deve, bensì
perché può. Anche in futuro non gli mancheranno le occasio-
ni. Alcune situazioni sono così evidenti che si possono già
quasi delineare gli scenari futuri e le nuove forme di violen-
za.
In primo luogo la disponibilità delle armi.
Il mondo non è mai stato più armato di oggi. Pochi manufat-
ti della civiltà hanno stimolato il desiderio, ma anche lo spi-
rito di inventiva, più degli strumenti di morte. L’arma è ogget-
to di adorazione rituale. Libera chi la possiede da impotenza
fisica e inferiorità sociale. La tecnologia ha messo a disposizio-
ne dell’uomo macchine sempre più efficaci.
Già da tempo le moderne armi da guerra non hanno più nien-
te a che vedere con gli strumenti da combattimento di una vol-
ta. Le armi a lunga gittata hanno trasformato la guerra in una
serie di massacri. Oggi le vittime della violenza di guerra non
sono i combattenti, bensì i civili indifesi.
E’ ormai da tempo obsoleta l’idea del duello collettivo, dello
scontro armato regolato, l’illusione di poter arginare le guerre
con il diritto e i divieti. La situazione delle armi dei privati non
è molto diversa. Pluriomicidi e attentatori di ogni età, terroristi
ed estremisti di ogni tendenza, guerrieri riuniti in bande, piro-
mani e squadroni della morte: tutti rappresentano una violenza
endemica al di là della razionalità politica e della criminalità
convenzionale.
Le vittime non hanno alcuna possibilità contro le aggressioni
dei fuorilegge. Essi combattono la guerra nella propria società,
lontano da vecchie ideologie e al di là dell’ordine politico.
In pochissimi Paesi del globo il monopolio dello Stato sulle
armi è effettivamente assicurato.
In questa società armate chiunque può trasformarsi da un mo-
mento all’altro in un nemico mortale. E può subito partecipare
a una scorreria o far parte di una ‘muta’ se un capobanda, un
signore della guerra o un’autorità dà il via alla caccia a vicini
o stranieri, agli immigrati o a minoranze indesiderate nel Pae-
se, o più semplicemente a fuori casta, della casta politica pre-
costituita.
Non occorre essere un profeta per precedere un aumento del-
la violenza sociale anche nelle regioni che per ora sembrano
ancora isole di pace. L’aumento della popolazione mondiale,
le catastrofi ecologiche, la miseria e la fame spingono milioni
di persone verso i centri della ricchezza.
Questi ultimi col tempo possono solo scegliere o di barricarsi
o di tollerare l’immigrazione di massa e la formazioni di ghetti
etnici, ed il proliferare della violenza da ambo le parti.
….La misura abituale contro l’onnipresenza della violenza è
il disarmo della gente e la centralizzazione del potere.
Lo Stato, questo dio mortale, deve assicurare la sopravvivenza
e liberare dalla paura della morte. La sua legittimità si basa sul-
la garanzia dell’ordine. Eppure il suo stesso regime si basa sulla
violenza della persecuzione. Chi non rispetta la legge o minaccia
l’ordine è condannato alla morte sociale o fisica.
Lo Stato non può non avere armi nell’arsenale.
Gli esseri umani vi si inseriscono perché temono la forza distrut-
tiva del potere centrale. Seguono la legge per sopravvivere. Il po-
tere politico argina la violenza sociale insegnando a tutti ad avere
paura della persecuzione. Questa struttura ferrea di ogni ordine
sociale può essere dimenticata in tempi di democrazia, negli Sta-
ti di diritto. Eppure negare che esista è miope dal punto di vista
storico e ingenuo da quello politico.
Gli imperi passano e anche le democrazie non durano in eterno.
Questo circolo vizioso della pacificazione esiste a livello sia na-
zionale sia globale. Anche lo ‘Stato mondiale’, che molti auspica-
no, si dovrà passare su un organo di repressione. Senza un gigan-
tesco apparato militare e di polizia non si può ottenere l’armisti-
zio globale.
(W. Sofsky, Il paradiso della crudeltà)