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Il carattere straordinario dell’esperienza del sacro violento
lascia inevitabilmente un ricordo duraturo nella comunità
dei linciatori, che ne fanno oggetto di narrazione del mito.
Quest’ultimo non è che il ricordo dell’insperata salvezza
in un momento di estrema crisi; ovvio pensare che ci si ag-
grappi a tale mezzo per scongiurare nuovi scoppi di vio-
lenza o, qualora questi si siano già scatenati, per porvi ter-
mine.
La religione arcaica altro non è che un insieme di pratiche
volte a prevenire o reprimere la violenza intestina medi-
ante la ripetizione controllata del meccanismo del capro
espiatorio; questo spiega l’ubiqua presenza del sacrificio
nel mondo primitivo.
La prima intuizione sulla funzione del sacrificio è proba-
bilmente suggerita da Girard dalla storia di Abramo e Isac-
co, nel quale un ariete viene immolato al posto del figlio:
nel 1965, ancora legato alla tematica edipica, Girard nota
come l’inevitabile scontro tra i desideri rivali del padre e
del figlio sia una potenziale fonte di conflitti violenti.
Tale istituzione è il sacrificio animale, con il quale una vit-
tima vivente ma neutrale, che può essere messa a morte
senza aggravare le divisioni, scongiura il pericolo di una
terribile vendetta intrafamiliare:
Sacrificare l’animale è ancora permettere l’esistenza di un
desiderio di violenza incapace di subliminarsi completamen-
te. L’odio di padre e figlio si esaurisce e si appaga in questa
distruzione priva di conseguenze.
Si comprende così la funzione del capro-espiatorio di cui
parla l’Antico Testamento, il quale porta via con sé, nel
deserto o nella morte, non tanto i peccati quanto i deside-
ri convergenti, e per questo violenti, dell’intera comunità.
Ma tale visione del sacrificio si riferisce a un sistema socia-
le umano già dato, con istituzioni ben definite come quel-
la familiare; per cogliere la prima origine del fenomeno è
necessario risalire ancora più indietro, all’epoca in cui l’u-
mano non è ancora così impregnato di cultura.
La violenza e il sacro si apre, appunto, con il problema del
sacrificio, del quale offre una soluzione radicalmente inno-
vativa.
Una delle maggiori difficoltà incontrate dall’antropologia
consiste nel fatto che, ritenendo il sacrificio un atto legato
a una divinità ritenuta immaginaria, essa ha finito per de-
stituirlo di qualsiasi funzione.
L’universale diffusione del sacrificio presso tutte le civiltà
arcaiche e l’ambivalenza della sua natura restano dunque
un mistero, che Girard, in possesso di una teoria della vio-
lenza, è in grado di sciogliere a partire da un’intuizione
fondamentale con la quale sono superate d’un colpo le
vecchie teorizzazioni incentrate sull’assunto del sacrifi-
cio come ‘offerta’ o come ‘comunicazione’ con la divinità.
Si può supporre che l’immolazione di vittime animali allontani
la violenza da certi esseri che si cerca di proteggere, e la diriga
invece verso altri esseri la cui morte abbia poca o nessuna impor-
tanza.
La vera funzione del sacrificio consiste dunque nel fare da
sfogo alla violenza, incanalandola verso oggetti innocui,
capaci di fermarla; esso ha un valore preventivo, nella mi-
sura in cui storna una violenza più grave per mezzo di un
atto controllato e dalle conseguenze prevedibili:
Certo, a una sete di violenza che non può essere spenta dalla
sola volontà ascetica, esso non offre che uno sfogo parziale,
temporaneo, ma indefinitivamente rinnovabile e sulla cui ef-
ficacia le testimonianze concordi sono troppe numerose per
venire trascurate.
La divinità non gioca, in questo meccanismo, alcun ruolo
reale; eppure la sua costante evocazione da parte dei sa-
crificatori non può essere ovviamente ignorata.
La soluzione di Girard consiste nel ritenere il sacrificio
un atto fondato sul misconoscimento della sua funzione
da parte di coloro che lo praticano:
I fedeli non sanno e non debbono sapere qual’è il ruolo svolto
dalla violenza.
Si presuppone sia il Dio a reclamare le vittime; in teoria è lui
il solo a godere del fumo degli olocausti; è lui ad esigere la car-
ne ammucchiata sui suoi altari.
E’ per placare la sua collera che si moltiplicano i sacrifici.
La teologia del sacrificio, ossia l’attribuzione della vio-
lenza
alla divinità si rivela elemento essenziale per la soprav-
vivenza della società, in quanto consente di distinguere
radicalmente la violenza rituale da quella comune; all’-
immolazione viene attribuita una natura sacra, ossia del
tutto separata da quella della vita di tutti i giorni: il san-
gue versato ritualmente purifica il sangue impuro delle
disordinate rivalità umane.
Si tratta di un processo giocato su un equilibrio sottile:
quando il sacrificio non è compiuto nei modi rigidamen-
te prescritti dal rituale, c’è sempre il rischio che esso in-
generi nuova violenza.
Il tema del sacrificio andato storto è diffusissimo nella tra-
gedia greca, dove appare chiaramente come un eccesso
di violenza o una sostituzione impropria, possano scate-
nare ciò che volevano prevenire.
(G. Mormino, L’animale come essere sacrificabile,
Nell’albergo di Adamo)