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(Da: il predicatore)
Le congregazioni battiste ordinavano i predicatori
scegliendoli fra i propri membri; bastava convenire
che l’uomo era stato chiamato da Dio a diffondere
il suo Verbo.
E il giovanotto del Kentucky pio, carismatico, istrui-
to suscitò un immediato consenso fra quella gente
‘molto scialba’.
Un vicino ricordava di aver assistito da ragazzino al-
la sua ordinazione.
‘Il sottoscritto era presente’ scrisse poi ‘con un cappel-
lo di paglia da dieci centesimi sul capo, niente giacca,
stivali o scarpe, ma aveva l’immancabile sperone sul
calcagno e ascoltò il suo primo sermone’.
Per quella congregazione sofferente e divisa la predi-
cazione di James fu una rivelazione.
‘Il suo modo di parlare era sublime’ proseguiva il vici-
no, e ‘le sue esortazioni inimitabili’.
In altre parole James combinava un’istruzione supe-
riore con la passione emotiva del Secondo grande ri-
sveglio, l’ondata di fervore religioso che aveva percorso
il paese partendo dallo stato di New York nel 1826.
Tra le pareti di legno di quella chiesa di campagna, la
gente si rivolgeva gridando e piangendo a una divinità
che offriva redenzione a tutti coloro che erano disposti
a confessare i propri peccati e ad accettare il perdono.
Anche se il gelido Dio calvinista della predestinazione
non era certo morto nella teologia Southern Baptist,
l’invito del predicatore al pentimento e alla conversio-
ne toccava una corda di arminianesimo popolare: una
diffusa credenza nella funzione morale di ogni indivi-
duo, un convincimento che ciascuno potesse scegliere
se accettare o rifiutare la salvezza.
(prosegue in: il predicatore (3))
(T. J. Stiles, Jesse James, Storia del bandito ribelle)