IL MONOLOGO DEL FOLLE (2)

dallo sguardo di uno spettatore

 

 

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Quando iniziava a parlare (o ad urlare), dava generalmente segni

di nervosismo.

Di solito, era incapace di profferire qualcosa di coerente, fino al

momento in cui avesse captato lo stato d’animo del suo pubblico.

Una volta, racconta Heiden, Hitler era talmente teso che non riu-

sciva a trovare nulla da dire. Per sbloccare la situazione non tro-

di meglio che afferare il tavolino e spostarlo qua e là per il po-

dio fino al momento in cui, di colpo, captò il ‘contatto’ e fu in gra-

do di parlare.

 

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Price descrive il suo eloquio nei seguenti termini:

 

L’esordio è lento ed esitante. Va gradualmente scaldandosi a mano a

mano che nel grande pubblico si genera una tensione emotiva. Di fat-

to Hitler è così sensibile a questa sorta di contatto telepatico, che ben

presto ogni singolo membro dell’uditorio si sente individualmente le-

gato a lui da un rapporto di personale simpatia.

 

Tutti i nostri informatori concordano nella descrizione dell’

esordio lento, mentre matura l’atmosfera adatta a fargli captare

il pubblico.

Non appena lo ha afferrato, l’eloquio assume un ritmo scorre-

vole e il volume della voce cresce fino all’urlo, in un parossis-

mo di eccitazione collettiva.

In questa temperie, ogni ascoltatore e spettatore sembra identi-

ficarsi nella voce di Hitler, che diventa la voce della Germania

intera.

 

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Tutto ciò concorda perfettamente con il concetto di psicologia

di massa quale Hitler lo espose in ‘Mein Kampf’, dove afferma:

 

La psiche delle moltitudini non reagisce a uno stimolo che si mostri debo-

le o eccissivamente moderato. Al pari di una donna, la cui sensibilità spi-

rituale è meno sollecitata da ragioni astratte che da un indefinibile desi-

derio emotivo di ottenere assoluta soddisfazione, e che, pertanto, preferi-

sce sottomettersi ai forti piuttosto che ai deboli, anche la moltitudine pre-

ferisce al mediatore il dominatore.

 

‘Newsweek’ riportava:

‘Le donne si sentono venir meno quando, il viso imporporato e 

contorto nello sforzo, egli fa sgorgare fuori la sua magica orato-

ria’.

Flanner dice:

‘La sua foga era tale da fargli avvizzire il colletto, da scollargli il

ciuffo, da smaltargli gli occhi; era come un posseduto, che si ripe-

te in una sorta di frenesia.

E secondo Yeates Brown:

‘Appariva come un uomo stravolto e invasato. Assistevamo ad

un miracolo’.

 

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Un simile impeto oratorio era nuovo per le folle tedesche, soprat-

tutto per le classi proletarie bavaresi, assuefatte a una dizione mol-

to lenta. A Monaco, tutto quel suo vociferare e gesticolare costitui-

va di per sé uno spettacolo per cui la gente era disposta a pagare.

Ma non fu soltanto l’eloquio ardente a guadagnare le folle alla sua

causa; il fattore che più lo colpì fu la serietà con cui Hitler profferi-

va le sue parole.

 

Ognuna delle sue parole esce colma di una potente carica energetica; 

a volte sembrano strappate fuori dal più profondo cuore dell’uomo,

causandogli un’incredibile angoscia.

 

Senza alcun dubbio, Hitler esercitò come oratore un’influsso

potente sui destini generali del popolo tedesco. I suoi comizi

erano sempre affollati, e a mano a mano che parlava, egli riu-

sciva a tal punto a intorpedire le facoltà critiche degli ascolta-

tori da fargli credere qualsiasi cosa.

Li lusingava e li blandiva.

Un momento scagliava accuse contro di loro, il momento do-

po li divertiva costruendo a parole immaginari uomini di pa-

glia, che poi subito abbatteva.

La sua lingua era come una frusta che sferzava le emozioni del

pubblico. E in un modo o nell’altro, riusciva sempre a dire ciò

che la maggioranza degli ascoltatori già segretamente pensava,

ma non era in grado di tradurre in parole. 

(Langer, Psicanalisi di Hitler)

 

 

 

 

 

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