DUE CLIENTI (Lo Straniero) (7)

Precedenti capitoli:

Lo Straniero  (1)   (2)   (3)   (4)   (5)   (6)

Prosegue in:

Lo Straniero (paura di cadere) (8)  &

Tita Piaz alla conquista del campanile

Foto del blog:

Paura di cadere  (6)  &  (7)  &  (8)

Da:

i miei libri 

 

(L’immagine in primo piano riflessa nel mondo

della materia)

 

 

due clienti

 

 

 

 

 Quando, circa tre settimane dopo, il mio cliente partì,

avevamo effettuato quasi tutte le scalate più straor-

dinariamente difficili conosciute in quel tempo nelle

Dolomiti.

Partì senza chiedermi il conto.

Disse che avrebbe regolato da casa.

Ciò non mi era affatto simpatico.

Mi richiese presto il conto da Essen e glielo mandai.

Certo che, in relazione ai tempi, un conto tale, non

ricordo la cifra, avrebbe potuto spaventare parecchi

impiegati ferroviari obbligati a vivere unicamente

del proprio stipendio…

Mi rispose che ricevendo il mio conto era quasi sve-

nuto; egli credeva pagarmi in ragione di 15 fiorini

al giorno, come aveva fatto con la guida di Novale-

vante; non immaginava lontanamente un simile di-

sastro; non aveva avuto la più pallida idea delle

mie tariffe; avrei dovuto capire che era un sempli-

ce ferroviere stipendiato; che per conseguenza era

andato incontro alla rovina ad occhi chiusi; quindi

volessi essere umano ed aver pietà di lui.

Mi impensierii e gli risposi semplicemente che men-

tiva, poiché attraverso l’amico Dulfer l’avevo per-

fettamente orientato sulle mie tariffe, e che quindi,

per evitare ulteriori noie, volesse inviarmi a volta

di posta il mio credito intero.

Mi rispose con una lettera di una dozzina di pagi-

ne, che avrebbero potuto sembrare una rapsodia

del dolore.

Ogni terza parola portava la traccia di una lacri-

ma, anche di una non specificata gentil donzella…

Donata.

Mi rifaceva la storia dell’intero suo albero genealo-

gico, suo e della gentil donzella ( facoltosa ), a di-

mostrazione finanziaria di una resistente avversità

alla sorte, che lo aveva ridotto in miseria anche  a

carico di una vecchia povera zia Stefania (così mi

par la nominava).

Da me dunque dipendevano due vite umane…

Essendo sempre stato convinto partigiano dell’a-

bolizione della pena di morte, non mi rimase che

far grazia.

Accettai le corone…..

(T.Piaz, A tu per tu con le crode, Cappelli ed.)

 

 

 

 
 
tp10

LA FINE DEL MONDO (Lo Straniero) (3)

 

Precedente capitolo:

 

Lo Straniero

 

copertina 1

 

 Lo Straniero 

 

Prosegue in:

Del dominio dei folli  (Lo Straniero)  (4)

Foto del blog:

Lo Straniero  (1)    (2)   (3)   (4)   (5)

Da:

i miei libri

 

 

Corfe Castle

 

 

 

 

 

Ho un gran desiderio di fare un sirvantese

e lo farò, se Dio vuole benedirmi.

Vedo infatti tutto il mondo finire in nulla,

e nessuno osa più fidarsi dell’altro:

‘Rendetemi servizio, vi ripagherò con perfidia

fino a farvi perdere tutti i vostri beni’.

Così regna la grande follia

e Dio ci dà ogni giorno abbondanza di mali

e mancanza e privazione di ogni bene.

 

Riguardo alla Chiesa, vi dirò prima di tutto

che l’inganno vi dilaga, e non dovrebbe essere così;

cupidigia l’ha presa nei suoi lacci

giacché per denaro assolvono chiunque.

Predicano alla gente notte e giorno

di non invidiare né desiderare

alcunché, ma loro la pensano in altro modo.

Proibiscono l’usura e il furto,

ma loro li praticano, dandoci cattivo esempio.

 

Anche agli uomini di legge vedo commettere

grandi mancanze:

fra di loro dilaga grande litigiosità e frode.

Calpestano ogni giusta causa

e rendono tortuosa la via più dritta:

così perdono la loro anima e la vita eterna.

Sì, andranno alla perdizione,

in inferno dove soffriranno tormenti,

forti dolori e malattie ancor peggiori,

nelle tenebre, in crudele compagnia.

 

In tutti i mestieri vedo la gente imbrogliarsi a vicenda,

basta che si svolga qualche commercio:

chi compra e chi vende è ugualmente mentitore,

perché nessun mercante potrebbe vedere senza mentire.

Nelle loro menzogne, per cupidigia,

chiamano in causa Dio e la Vergine Maria.

Ah, sventurati! Come fanno a non capire

che lasciandosi a tal punto dominare dal denaro

perdono Dio che ha potere su tutti loro!

 

Ora vedo che il mondo è perverso, smarrito

e senza fede: apre la strada a ogni malvagità.

Il povero non trova buona accoglienza

presso il ricco, a meno che questi non vi scorga un vantaggio;

disobbediamo ogni giorno a Colui che ci ha creati

e formati e ha sofferto per noi,

e del denaro facciamo il nostro Dio.

Per il denaro Lo mettiamo in oblio;

eppure, alla morte, nessuno porterà qualcosa con sé!

 

Finora non avevo mai avuto volontà e desiderio

di pentirmi, ma adesso ne avrei voglia,

perché ogni giorno ci avvicina alla fine

e per questo ciascuno dovrebbe confessarsi.

Un giorno dello scorso anno ho visto un grande segno:

ho visto veramente piovere terra e sangue.

Perciò dovremmo concepire buoni pensieri,

rendere servizio, con tutte le nostre forze, al nostro prossimo:

così, ciascuno potrebbe emendarsi.

 

Verso ‘mon Azaut’ dirigi la tua corsa rapida,

mio sirvantese, perché è nel fiore della giovinezza

e su tutte esalta il suo gentile merito;

il suo valore e la sua allegra compagnia

sono graditi in qualsiasi luogo si trovi.

…. Prego Dio di benedervi,

perché albero della buona coscienza…

fate bella accoglienza

per questo mi sono messo sotto la vostra protezione,

giacché fa buona fine chi ha un buon albero si lega.

(Pons de la Guardia)

 

 

 

 

JC_Blog_250

 

IL CORTEO DELLA MORTE (13)

Prosegue in:

(Il corteo) della morte (14) &

I comici regi… o regnanti…

Foto del blog:

Cani di passaggio  (1)  &  (2)  &

L’indice  (1)  &  (2)

Da:

i miei libri 

 

 

il corteo della morte

 

 

 

 

  

– Carrettiere, cocchiere, o diavolo, o chiunque tu sia, non tardare a

dirmi chi sei, dove vai e chi è la gente che porti nel tuo trabiccolo,

che pare più la barca di Caronte che non una usuale carretta.

Al che, docilmente, fermando la carretta, il Diavolo rispose:

– Signore, noi siamo attori della compagnia di Angulo il Cattivo;

abbiamo recitato in una località che sta distro quel poggio,

stamattina, che è l’ottava del Corpus, l’auto del Corteo della

Morte e stasera dobbiamo rappresentarlo in quel paese che

si vede da qui; e poiché eravamo così vicini, per risparmiarci

il fastidio di spogliarci e rivestirci, ce ne andiamo con gli stessi

costumi con cui recitiamo.

 

il corteo della morte

 

Quel ragazzo è vestito da Morte; quell’altro da Angelo; quella

donna, che è la moglie dell’impresario, da Regina; quell’altro,

da Soldato; quello, da Imperatore; e io da Demonio, e sono una

delle figure principali dell’auto, perché in questa compagnia

ho sempre le prime parti.

Se altro la signoria vostra vuol sapere da noi, me lo chieda pure,

che io le risponderò puntualmente, perché, essendo un diavolo,

non c’è nulla che non possa fare.

– Parola mia di cavaliere errante,

rispose don Chisciotte,

– Appena ho visto questo carro ho pensato che mi presentasse

qualche grande avventura; e ora dico che bisogna toccar con mano

le apparenze per poter uscire dall’inganno. Andate con Dio, brava

gente, e fate pure la vostra festa, e se potete chiedermi cosa in cui

io possa esservi utile, lo farò volentieri e di buon grado, perché sin

da ragazzo ho avuta una passione per il teatro, e nella mia giovi-

nezza quando vedevo una compagnia di comici morivo d’invidia.

 

il corteo della morte

 

Mentre così discorrevano, volle il destino che arrivasse un altro

della compagnia che era vestito da buffone, con un mucchio di 

sonagli, e sulla punta d’un bastone portava tre vesciche di vacca

gonfiate; e questo buffone, avvicinandosi a don Chisciotte, comin-

ciò a far la scherma col bastone, a sbattere in terra le vesciche e a

far gran salti, facendo tintinnare i sonagli; e quella brutta appari-

zione spaventò tanto Ronzinante, che senza che don Chisciotte

potesse trattenerlo, stretto il freno fra i denti, si dette a correre per

campi con una velocità che non avrebbero lasciato sospettare le

sue scheletriche ossa.

Sancio, vedendo il pericolo che il suo padrone correva d’esser

sbalzato di sella, saltò giù dall’asino in fretta a soccorrerlo, senon-

ché quando giunse, egli era già in terra, e accanto a lui Ronzinante,

stramazzato al suolo col suo padrone: solita conclusione e solito 

punto d’arrivo delle bravure e degli ardimenti di Ronzinante.

 

il corteo della morte

 

Ma appena Sancio ebbe lasciato la sua cavalcatura per correre in

aiuto di don Chisciotte, saltò sull’asino il diavolo che faceva balla-

re le vesciche e messosi a sbattergliele addosso, lo spaventò e il

rumore, più che il dolore dei colpi, lo fecero volare per la campa-

gna verso il paese dove erano diretti per la festa.

Sancio guardava il suo asino correre e il suo padrone caduto e 

non sapeva a quale dei due doveva pensare prima; ma poi, da

buon scudiero e da buon servo, poté più l’amore per il suo padro-

ne che l’affetto per l’asino, benché ogni volta che vedeva la vesci-

ca alzarsi in aria e ricadere sulla groppa del suo asino, per lui era-

no strazio e sussulti di morte, e avrebbe preferito piuttosto che

quei colpi li avessero dati a lui nelle pupille che non sull’ultimo

pelo della coda dell’asino.

In questa tormentosa perplessità arrivò dove si trovava don Chi-

sciotte un po’ più malconcio di quanto avrebbe voluto, e aiutan-

dolo a montare su Ronzinante, gli disse:

– Signore, il Diavolo s’è portato via l’asino.

– Che diavolo?

domandò don Chisciotte.

– Quello delle vesciche,

rispose Sancio.

– Lo recupererò io,

replicò don Chisciotte,

– Dovesse anche portarselo con sé nei più profondi e oscuri recessi

dell’inferno. Seguimi, Sancio, che la carretta va piano, e con le le sue

mule compenserò la perdita dell’asino.

 

il corteo della morte

 

– Non c’è più bisogno che vi prendiate questa briga, signore,

rispose Sancio,

– La signoria vostra temperi la sua ira, perché, a quanto pare, il

Diavolo ha lasciato l’asino, che ritorna all’ovile.

Ed era vero, perché, essendo caduto il Diavolo con l’asino, per 

imitare don Chisciotte e Ronzinante, il Diavolo se n’era andato

a piedi al paese e l’asino era tornato al suo padrone.

– Ciò nonostante,

disse don Chisciotte,

– Sarà bene castigare l’insolenza di quel demonio su qualcuno di

quelli della carretta, fosse anche l’Imperatore in persona. 

(Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia) 

 

 

 

 

 

il corteo della morte

      

DOVE SI NARRA DELL’INCONTRO DI DON CHISCIOTTE CON L’ESERCITO DI ALIFANFARONE E MOLTE ALTRE SCHIERE (11)

 

Prosegue in:

Io non sento altro che belati di pecore  (12)

Foto del blog:

L’assedio di Namur  (1)  &  (2)

  

 

dove si narra

 

 

 

 

 

   …..E devi sapere, Sancio, che quest’esercito che viene di fronte

a noi, lo conduce e lo guida il grande imperatore Alifanfarone,

signore della grande isola Trapitalia, mentre quello che avanza

alle mie spalle è del suo nemico, il re dei garamanti Pentapolino

dalla Manica Rimboccata, perché nelle battaglie entra sempre coi

piedi scalzi ed ignudi che l’odor ci ricorda il moro che non per-

dona, …ed anche il braccio destro nudo, come lo piede biforcuto.

….Ove molte genti s’accalcano ….e aggrappano….(per li loro mi-

sfatti).

Sia ai piedi che alli…bracci…..

 

dove si narra

 

– E perché non si possono vedere quei due nobil…signori?,

chiese Sancio.

– Non si possono vedere,

rispose don Chisciotte,

– Perché questo Alifanfarone è un arrabbiato ed è innamorato del-

la figlia di Pentapolino, che è una bellissima dama e per giunta di

squisito sentire, ed è cristiana, e suo padre non la vuole dare al re

pagano se prima questi non rinnega la legge del falso profeta

Maometto, per convertirsi alla sua.

– Per la mia barba!,

disse Sancio.

– Pentapolino fa benissimo e io dovrò aiutarlo come posso.

– Così facendo, farai il dovere tuo, Sancio,

rispose don Chisciotte;

– Perché per entrare in battaglie come questa non è richiesto es-

sere armato cavaliere.

 

dove si narra

 

– Lo credo bene,

rispose Sancio;

– Ma dove lo mettiamo quest’asino, che poi possiamo esser certi

di trovarlo quando sarà cessata la mischia? Perché entrarvi su

una cavalcatura simile non credo si sia mai usato finora.

– E’ vero,

disse don Chisciotte.

– Ciò che puoi farne è lasciarlo vagare alla ventura, che si perda e

no; perché saranno tanti i cavalli che avremo quando saremo usci-

ti vittoriosi, che anche Ronzinante corre il pericolo che io lo cambi 

con un altro. Ma stammi bene attento e guarda, che voglio darti 

conto dei cavalieri più importanti che si trovano nei due eserciti.

 

dove si narra

 

E perché tu possa meglio vederli e osservarli, ritiriamoci su quel

piccolo rialzo di terra che si eleva laggiù, da dove potranno 

scoprirsi i due eserciti.

– Quel cavaliere che vedi là, dalle armi gialle, che porta sullo scu-

do quell’araldo, un leone coronato, coricato ai piedi di una don-

zella, è il valoroso Laurcalco, signore di Ponte d’Argento; l’altro

dall’armatura coi fiori d’oro, che porta sullo scudo tre corone d’-

argento in campo azzurro, è il temuto Micocolembo, granduca di

Quirozia; quell’altro dalle membra di gigante, lo vedi che porta-

mento da vero cavaliere, che è alla sua mano destra, è il senza-

paura Brandabarbarano di Boliche, sire delle tre Arabie, che è ri-

coperto di cuoio di serpente, ed ha per scudo una porta che, se-

condo la fama, è una di quelle del tempio che fece crollare Sanso-

ne, allorché con la propria morte si vendicò dei suoi nemici.

Tutta gente importantissima, temutissima, prodi e valorosi cava-

lieri, e la loro corte…che da qui non riusciamo a scorgere. 

Ma ora rivolgi da gli occhi da quest’altra parte, e vedrai dinanzi

alla fronte di quest’altro esercito il sempre vincitore e mai vinto

Timonello di Carcassona, principe della nuova Biscaglia, dall’ar-

matura divisa in quarti: azzurri, verdi, bianchi e gialli, e nello scu-

do ha un gatto d’oro su campo lionato, con un motto che dice:

Miau, che è come il nome della sua dama, che è, a quanto si dice,

l’impareggiabile Mialuna, figlia del duca Alfegnichén dell’Algar-

be, temutissimo signore di terre lontane e sconosciute…..

(Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia)

 

 

 

 

 

dove si narra

   

C’E’ ALLOGGIO SIGNOR LOCANDIERE? (9)

c'e' alloggio signor locandiere?

 

 

 

Precedente capitolo:

Avellaneda (nella camera oscura di)  Cervantes  (8)

Prosegue in:

c’è qui la scimmia indovina… &

Dietro le scene

Foto del blog:

Urlano contro ‘Invetriata’  (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 di3

 

 

 

 

  

– C’è alloggio, signor locandiere? C’è qui la scimmia indovina

e il teatrino della liberazione di Melisendra.

– Perbacco!,

disse il locandiere.

– C’è il signor Mastro Pietro! Che bella serata che si prepara.

Dimenticavo di dire che Mastro Pietro portava coperti l’occhio

sinistro e quasi mezza guancia con una benda di taffettà verde,

segno che tutta quella parte doveva esser malata.

Il locandiere proseguì, dicendo:

– Sia benvenuto, signor Mastro Pietro. Dove sono la scimmia e

il teatrino, che non li vedo?

– Stanno per arrivare,

rispose l’uomo di camoscio;

– Io son venuto avanti a vedere se c’era alloggio.

– Glielo toglierei al Duca d’Alba in persona per darlo a Mastro

Pietro, rispose il locandiere:

– Venga la scimmia e il teatrino, c’è gente alla locanda che paghe-

rà per vederlo e per l’abilità della scimmia.

 

c'e' alloggio signor locandiere?

 

– Sta bene,

rispose il bendato;

– Ridurrò i prezzi, e con le sole spese mi considererò ben pagato.

Ora vado a far che si sbrighi il carretto su cui viaggiano la scim-

mia e il teatrino.

E tornò a uscire dalla locanda.

Immediatamente don Chisciotte domandò al locandiere chi fos-

se quel tal Mastro Pietro e che cos’erano la scimmia e il teatrino

che portava.

Al che il locandiere rispose:

– Quello lì è il famoso burattinaio che da parecchio tempo gira per

questa parte della Mancia aragonese, dando rappresentazioni della

liberazione di Melisendra ad opera del famoso don Gaiferos, che è

una delle storie più belle e meglio rappresentate che si siano viste

da parecchi anni in qua in questa regione.

 

c'e' alloggio signor locandiere?

 

Inoltre, porta una scimmia che ha la più straordinaria abilità che

si sia mai vista fra le scimmie, o che abbia mai escogitato un uo-

mo, perché, se le domandano qualche cosa, sta attentissima a ciò

che le si domanda, dopo di che salta sugli omeri del suo padrone e,

accostandoglisi all’orecchio, gli dice la risposta a quello che hanno

domandato, e Mastro Pietro la comunica; e dice assai più delle cose

passate che non di quelle che devono ancora venire; e sebbene non

sempre indovina tutto e per tutto, per lo più non si sbaglia; di mo-

do che ci fa proprio pensare che ci abbia il diavolo in corpo.

Prende due reali a domanda, se la scimmia risponde, intendo dire

se il padrone risponde per lei dopo che gli ha parlato all’orecchio;

si ritiene quindi che quel Mastro Pietro sia ricchissimo, ed è, come

dicono in Italia, galantuomo e buon compagno, e fa la più bella vita

del mondo; parla per sei e beve per dodici, e tutto a spese della sua

parlantina, della sua scimmia e del teatrino.

 

c'e' alloggio signor locandiere?

 

A questo punto tornò Mastro Pietro col carretto su cui c’era il

teatrino e la scimmia, grande e senza coda, con un feltro sul se-

dere, ma con una faccia non brutta; e appena la  vide don Chi-

sciotte le domandò:

– Lei, signora indovina, mi dica un po’: che pesci pigliamo?

Che sarà di noi? E guardi qui i miei due reali.

E ordinò a Sancio di darli a Mastro Pietro, il quale rispose per

la scimmia, e disse:

– Signore, quest’animale non risponde, né dà informazioni sulle

cose che devono venire; sa qualcosa delle passate, e un pochino

delle presenti.

– Per san….,

disse Sancio,

– Io non do un centesimo per farmi dire quello che mi è già acca-

duto, perché, chi può saperlo meglio di me? E che io pagassi per

farmi dire quello che so già, sarebbe una bella stupidaggine; ma

visto che sa le cose presenti, mi dica la signora scimmiona che sta

facendo ora mia moglie Teresa Panza e come passa il tempo.

Mastro Pietro non volle prendere il danaro, e disse:

– Non accetto pagamenti anticipati, se non c’è stata prima la pre-

sentazione d’opera.

E con la destra si diede due colpetti sull’omero sinistro, al che la

scimmia d’un balzo vi si issò sopra, e avvicinata la bocca all’orec-

chio, si mise a battere i denti con grande rapidità; e dopo aver fat-

ta questa operazione per la durata di un credo, con un altro salto fu

di nuovo a terra, e subito, con una straordinaria sollecitudine, Ma-

stro Pietro corse a mettersi in ginocchio davanti a don Chisciotte e

abbracciategli le gambe, disse:

– Abbraccio queste gambe come se abbracciassi le due colonne d’Er-

cole, o insigne resuscitatore della già obliata cavalleria errante! O

non mai abbastanza lodato cavaliere don Chisciotte della Mancia,

rianimatore dei disperati, sostegno di quanti son per cadere, brac-

cio dei caduti, bastone e conforto di tutti gli infelici!

(Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia)

 

 

 

 

 

 

c'e' alloggio signor locandiere?

 

L’INGLESE DETTO 7 E IL TEDESCO 8 (3)

Precedente capitolo:

L’inglese detto 7 (2) & (1)

Prosegue in:

Il tedesco 8  (1)  &  (2)  & 

Il Dio dell’abbondanza 

Foto del blog:

l’inglese detto 7

e il tedesco 8

Libri, appunti, dialoghi in:

i miei libri

 

gg3

  

 

 

 

 

– Una cosa non capisco, come mai gli americani non abbiano

scoperto nulla laggiù.

– Glielo ha domandato, signore?

– Naturalmente no. Non mi fido della loro discrezione.

– Forse loro non si fidano della nostra.

Il capo disse: – Quei disegni….li ha esaminati?                       kjmnjhg.jpg

– Non sono molto esperto in quel campo, signore.

Li ho ritrasmessi subito.

– Allora li guardi bene adesso.

Il capo dispose i disegni sulla scrivania.

Hawthorne si scostò con riluttanza dal radiatore e fu

immadiatamente scosso da un brivido.

– Qualcosa non va?

– Avevamo 34 gradi, ieri, a Kingston.

– Le si sta assottigliando il sangue. 

Un po’ di freddo le farà bene. Che cosa ne pensa?

Howthorne fissò i disegni. Gli ricordavano….qualcosa.

Si sentì invaso, senza sapere perché, da una strana sensazione

di disagio.

– Ricorderà i rapporti che li accompagnavano, disse il capo.

– La fonte era sbarra tre. Di chi si tratta?

– Se non sbaglio è l’ingegner Cifuentes, signore.

-Bene, anche lui non è riuscito a capire. Nonostante tutte le 

conoscenze tecniche. 

Queste macchine venivano trasportate con autocarri dal 

comando dell’esercito, a Bayamo, ai margini della foresta.

Poi gli autocarri furono sostituiti da muli.

Direzione generale, quelle inesplicabili piattaforme di cemento.

– Che cosa dice il Ministero dell’aeronautica, signore?

– Sono preoccupati, molto preoccupati. Ed anche incuriositi,

naturalmente.

– E gli specialisti delle ricerche atomiche? 

– Ancora non abbiamo mostrato loro i disegni.

Lei sa bene come è fatta quella gente.

Si affretterebbero a criticare i minimi particolari, direbbero che

l’intera faccenda non è attendibile, che il tubo è sproporzionato

o puntato dalla parte sbagliata.

Non si può pretendere che un agente il quale disegna a memoria

non sbagli alcun particolare.

(G. Greene, Il nostro agente all’ Avana)

 

 

 

 

 

gg5

    

L’INGLESE DETTO 7 E IL TEDESCO 8 (2)

Precedente capitolo:

 L’inglese detto 7 (1)

Prosegue in:

L’inglese detto 7 (3) 

 

 gg2

 

 

 

 

 

Sua figlia avrà un ferro da calza immagino?                       

– Non lavora a maglia.

– Allora dovrà comprarne uno.

Preferibilmente di plastica. L’acciaio lascia a volte un segno.

– Un segno dove?

– Sulle buste che aprirà.

– Perché dovrei voler aprire buste, in nome del cielo?

– Potrebbe presentarsi la necessità di esaminare la corrispondenza

del dottor Hasselbacher.

Naturalmente, lei dovrà trovarsi un suo agente nell’ufficio                                

postale.

– Mi rifiuto nel modo più assoluto…

– Non faccia il difficile.

Mi sto facendo mandare da Londra i precedenti del dottore.

Prenderemo una decisione sulla sua corrispondenza dopo

 averli letti.                                                                                          

Con un buon compenso…se dovesse rimanere senza

inchiostro,adoperi sterco di uccelli…o sto correndo

 troppo?

– Non ho detto neppure se sono disposto…

– Londra è daccordo su 150 dollari al mese, più altri

150 dollari di spese…queste ultime dovrà giustificarle,

naturalmente.

Compensi ai sub-agenti, e così via.                                                         

Qualsiasi spesa che superi tale somma dovrà essere autorizzato

 volta per volta.

-Lei sta correndo davvero troppo.

– Esenti dalle tasse sul reddito, sa, disse Hawthorne, e strizzò

 l’occhio malizioso. La strizzatina d’occhio, chissà perché, non si

 armonizzò con il monogramma regale.

– Deve darmi tempo…

– Il suo numero di codice è 59200 sbarra 5.

Con orgoglio, aggiunse : – Naturalmente, il mio è 59200.                        

Lei numererà i suoi sub-agenti 59200 sbarra 5 sbarra 1 e 

così via. E’ chiaro?

– Non vedo proprio in che modo potrei esserle utile.

– Lei è inglese, vero?, domandò Hawthorne in tono brusco. 

– Naturalmente che sono inglese.

– E si rifiuta di servire il suo Paese?

– Non ho detto questo. Ma gli aspirapolvere assorbono quasi

tutto il mio tempo.

– Sono un ottimo paravento, disse Hawthorne. Un’ottima idea.

La sua professione ha un che di molto naturale.

– Ma è naturale.

– Ora se non le dispiace, disse Hawthorne con fermezza

dobbiamo accuparci ….

(G. Greene, Il nostro agente all’Avana)

 

 

 

    

gg1

 

L’INGLESE DETTO 7 E IL TEDESCO 8 (1)

Prosegue in:

L’inglese detto 7 (2)

 

 gg4

 

 

 

 

 

-Hai mai sentito parlare di un libro codice?

– A essere sincero…no.

-Tra un momento le insegnerò il modo di adoperarlo.          

Una copia la tengo io.

Per comunicare con me, lei non dovrà fare altro che indicare

le pagine e la riga alle quali incomincia la comunicazione

in codice.

Naturalmente non è poi così difficile decifrarlo, ma lo è

abbastanza per i semplici Hasselbacher.

– Vorrei che lei si togliesse dalla testa il dottor Hasselbacher.

– Quando avremo organizzato il suo ufficio qui con sufficienti

misure di sicurezza….una cassaforte a combinazione, un

apparecchio radio, personale capace, tutti i trucchi del mestiere,

 allora naturalmente potremmo rinunciare a un codice primitivo

come questo; eppure eccezion fatta per un espero criptologo, è    

maledettamente difficile decifrarlo senza conoscere il titolo e

l’edizione del libro.

-Perché ha scelto il Lamb?

– E’ stato il solo volume del quale abbia potuto trovare

due copie, eccetto ‘La capanna dello zio Tom’.

Avevo fretta e dovevo acquistare qualcosa nella libreria di

Kingston, prima di partire. Oh, c’era anche un altro libro

intitolato ‘La lampada accesa : manuale di preghiere serali’,

ma mi sono detto che sarebbe potuto essere un po’ vistoso

 sui suoi scaffali, qualora lei non fosse stato religioso.

– Non lo sono.

– Le ho portato anche un po’ di inchiostro.

– Ce l’ha un bollitore elettrico?

– Si perché?

– Per aprire le lettere.

Desideriamo che i nostri agenti siano attrezzati in vista

di qualsiasi situazione di emergenza.

– L’inchiostro a che cosa serve?

A casa ne ho in abbondanza di inchiostro.

– E’ inchiostro invisibile, naturalmente.

Nell’eventualità che dovesse spedire qualcosa con

la posta ordinaria.

(G. Greene, Il nostro agente all’Avana)

 

 

 

 

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ILLUSTRI ANTENATI (show business & commerci…) (20)

(Da un articolo: Italia indignata per il David….

la Fin-Meccanica replica: li aggiustiamo noi….)

 

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giochi di guerra (il circo di Camp Street) (19)

Prosegue in:

I fucili della guerra  (21)  &

Divergenze di opinioni

Foto del blog:

Saldi di fine stagione  (1)  &  (2) &

David armato  (1)  &  (2)

 

 

Un primo passo ‘storico’

dedicato alla memoria di

JFK, di Bobby…..

… e alla civiltà…..

 

armi convenzionali firmato trattato…(?????)….

 

 

illustri antenati

 

 

  

 

illustri antenati

 

 

 

 

 

Verso la metà degli anni trenta dell’Ottocento, una

categoria sconosciuta di uomini bianchi portò nuo-

vi prodotti commerciali e nuove opportunità.

La gente di Victorio volle a tutti i costi ricavarne un

vantaggio. Benjamin Davis Wilson fu il perfetto rap-

presentante di questi americani.

 

illustri antenati

 

Inizialmente ottenne una licenza dal governo messi-

cano per cacciare i castori, ma scoprì presto che il

commercio era più redditizio delle pellicce.

Dopo il 1821 i bianchi avevano iniziato a migrare ver-

so il Texas e, come le haciendas già presenti e le comu-

nità minerarie nel nord del Messico, le fattorie e i ran-

ch di nuovo insediamento avevano bisogno di bestia-

me e di manodopera.

 

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Wilson capì anche che gli Apache e i Comanche vole-

vano fucili e munizioni di fabbricazione americana.

E così iniziarono gli scambi.

Quando, per esempio, il governo di Sonora si impegnò

per cercare di impedire che il traffico dei contrabban-

dieri d’armi americani prendesse piede, gli Indiani

continuaro a fare razzie nel Sonora ma liberandosi del-

le merci saccheggiate nel Chihuahua o nel New Mexico.

 

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Questo commercio in espansione fece emergere la ten-

denza dei leader apache di negoziare parziali trattati

di pace con città, haciendas o persone.

Non che gli Indiani riuscissero a comprendere il concet-

to di realtà politiche più ampie, come a volte è stato so-

stenuto.

Questi trattati erano utili soprattutto come accordi com-

merciali che gli Apache rispettavano per il tempo suffi-

ciente a piazzare il loro bottino e che poi rompevano

quando qualcuno offriva loro condizioni migliori.

 

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I messicani lo capirono, gli americani no.

Un trattato firmato il 29 agosto 1832 da 29 uomini tra

capi apache e rappresentanti del Chihuahua evitava ac-

curatamente qualsiasi menzione al Sonora. Come previ-

sto, i funzionari chiusero un occhio quando i fratelli Com-

pà depredarono dei beni nel Sonora che poi distribuirono

a comprartori in attesa nel Chihuahua o a nord del Rio

grande.

Certa merce arrivò in territorio americano addirittura

attraverso Fort Bent, nel Colorado sud-orientale. Nel pe-

riodo in cui Victorio era immerso nel suo addestramento

di dihoke, aveva già visto spesso i gruppi di guerrieri chi-

henne radunarsi per preparare un saccheggio a cantare

prima di tutto per ore al ritmo dell’esadedene, il tamburo,

fino a ricoprirne il suono martellante con le loro voci.

 

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E’ molto probabile che almeno una delle missioni da no-

vizio di Victorio lo abbia portato nel Sonora a fare una

razzia e a scambiare i beni rubati per ritornare con armi,

pezze di cotone o tessuti di lana, coltelli d’acciaio, vasel-

lame metallico e molti altri prodotti americani ben realiz-

zati.

A culmine di questi traffici, il governo del Sonora ripristi-

nò una nuova versione della scellerata politica della taglia

sulle orecchie istituita alla fine del secolo XVIII.

 

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Nell’estate del 1835, i funzionari statali stanziarono circa

4.000 pesos per raccogliere tutti gli scalpi che i cacciatori

di taglie riuscissero a consegnare.

Non fu, comunque, una politica che entusiasmò tutti.

Un anno più tardi, le autorità rovesciarono la loro retori-

ca di sterminio, annullarono le taglie e, nello sforzo di ve-

nire incontro anziché sopprimere gli Indiani, aprirono

delle trattative di pace a Fronteras.

I saccheggi si spostarono nel Chihuahua e, nel settembre

1836, fu quindi questo stato a mettere delle taglie sugli

scalpi indiani.

 

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Queste politiche nascevano in risposta a un governo federa-

le che non poteva sprecare truppe o stanziamenti di alcun

genere per stroncare il commercio illegale e per proteggere

i coloni ai margini settentrionali del suo territorio.

Le taglie sugli scalpi perdurarono in tutto il Messico del

nord fino al 1891, soprattutto nel Chihuahua ma anche nel

Durango e nel Sonora. Fu con queste politiche vigenti che

nel 1880 la commissione preposta da Chihuahua avrebbe

pagato 2.000 pesos per lo scalpo di Victorio e 15.000 pesos

per quelli di 61 guerrieri che erano con lui a Tre Castillos.

 

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Nel corso del tempo, ovviamente, le taglie sugli scalpi gene-

rarono un odio fortissimo nei popoli indiani del Sudovest.

Se questo non ridimensinò i traffici illegali, provocò però

atti di estrema crudeltà da entrambe le parti per il resto

del secolo XIX.

Le gesta di John James Johnson, del Kentucky, illustrano

bene la ferocia che quella politica incoraggiò. Johnson,

come Benjamin Wilson, arrivò in Messico cercando for-

tuna nel settore delle pellicce.

 

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Come richiesto, si dichiarò cittadino del Sonora, teorica-

mente si convertì al cattolicesimo e partì per arricchirsi.

Come Wilson, si accorse rapidamente che il commercio

era molto più redditizio. Due dei suoi soci commerciali

preferiti erano capi nednhi, Juan Diego e Juan José Com-

pà, che avevano molti contatti con i Chihenne.

Insieme a Johnson, nel 1837, viaggiavano due americani,

James, o Santiago, Kirker e Charles ‘il re’ Woosley, nomi

che più tardi diventeranno sinonimi di cacciatori di scal-

pi.

Il 20 aprile 1837, Johnson si mise in contatto per la prima

volta con i fratelli Compà, che si trovavano accampati vi-

cino alle miniere di rame, probabilmente insieme a Man-

gas Coloradas.

 

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Come era consueto, le due parti si riunirono e mercanteg-

giarono per parecchi giorni. Né Juan né Juan Diego aveva-

no alcuna ragione per dubitare di quegli americani più del

solito.

Scambiarono il loro bestiame e i loro prigionieri con coltel-

li e altri strumenti, ma era la riserva di fucili americani che

i due fratelli volevano davvero e che li spinse a continuare

i traffici……

 

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Un uomo che Victorio arrivò a odiare fu James Kirker, un

altro cacciatore convertito al commercio.

Nel 1821, Kirker lavorava per McKnight & Brady, la più

fiorente attività di commercio di Saint Louis. Quella pri-

mavera, Kirker e John McKnight ammassarono nei loro

carri i prodotti da smerciare e partirono per il territorio

del New Mexico nella speranza di poter approfittare del-

l’indipendenza del Messico e della prolungata penuria

di beni tra gli abitanti di Santa Fe.

Lungo il cammino, i Comanche intercettarono i carri e

saccheggiarono gran parte della mercanzia e, più avanti,

i soldati messicani li fermarono e li minacciarono di im-

prigionarli.

 

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Kirker e McKnight errarono fino a Santa Fe con i pochi

beni rimasti. Erano il terzo gruppo di venditori america-

ni che arrivava e se fossero riusciti a raggiungere la città

con la merce intatta avrebbero fatto una fortuna.

Kirker intuì comunque le potenzialità del territorio mes-

sicano. Lasciò Saint Louis nel 1822 e andò all’Ovest, man-

tenendo però forti legami con il Missouri.

Avendo ottenuto dal nuovo governo messicano il permes-

so di cacciare i castori, usò le carovane che entravano e 

uscivano da quel territorio per portare le sue pellicce a

Saint Louis.

 

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Intanto iniziò a scavare attorno a Santa Rita e dal 1828

usò il rame anche come merce di scambio per procurarsi

materiali per l’estrazione. Poi acquistò una tenuta vicino

 a Santa Rita e nel 1834 ne fece il suo quartiere generale

per trafficare illecitamente con gli Apache e i Comanche.

Offriva pistole, polvere da sparo e munizioni in scambio

di cavalli e muli rubati che poi rivendeva alle carovane

dirette a sud, in Messico, o a nord, verso Santa Fe.

Dopo il 1849, i convogli sarebbero andati anche in Cali-

fornia e quasi tutti con un disperato bisogno di bestiame.

(K. P. Chamberlain, Victorio)

 

 

 

 

 

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I VIGILI DEL FUOCO

Precedente capitolo:

Il segugio meccanico

Prosegue in:

Il prodotto dell’officina dell’essere

Foto del blog:

Il colloquio della preghiera &

Il prodotto dell’officina dell’essere

 

 

  

 

– Quando ha avuto origine 

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questo nostro lavoro, tu vuoi sapere, non è vero?

Come si determinò e dove e quando?

Bene, a dirti la verità, sembra che abbia avuto inizio

dopo un certo evento chiamato Guerra di Secessione.

Ma il nostro Regolamento sostiene che la milizia del fuoco sia sta-

ta fondata anche prima.

Il fatto è che la società non ha vissuto bene che quando la fotografia

ha cominciato a vivere di vita propria.

Poi…. il cinematografo nella prima metà del ventesimo secolo. 

La radio, la televisione…. Le cose cominciarono allora ad avere

massa.

Montag, sempre seduto nel letto, non si mosse.

– E poiché avevano massa, divennero più semplici, riprese il

capitano.

– Un tempo, i libri si rivolgevano a un numero limitato di persone,

sparse su estensioni immense. Ed esse potevano permettersi di es-

sere differenti. Nel mondo c’era molto spazio disponibile, allora.

Ma in seguito il mondo si è fatto sempre più gremito di occhi, di

gomiti, di bocche. La popolazione si è raddoppiata, triplicata,

quadruplicata.

Film, radio, riviste, libri si sono tutti livellati su un piano minimo,

comune, una specie di norma dietetica universale, se mi intendi.

– Mi intendi?

– Credo di sì.

– E ti piace giocare alle bocce, vero Montag?

– Oh, le bocce, sì molto.

– E a golf?

– Anche.

– Pallacanestro?

– Un gioco bellissimo.

– Biliardo! Boccetta? Palla ovale?

– Giochi magnifici, tutti!

– Più sport per ognuno, spirito di gruppo, divertimento, svago, distra-

zioni, e tu così non pensi, no? Organizzare, riorganizzare, superorga-

nizzare super-super-sport! Più vignette umoristiche, più fumetti nei

libri! Più illustrazioni, ovunque!

La gente assimila sempre meno.

Tutti sono sempre più impazienti, più agitati e irrequieti.

Le autostrade e le altre strade d’ogni genere sono affollate di gente che

va un po’ da per tutto. Ovunque, ed è come se non andasse in nessun

posto. 

I profughi della benzina, gli erranti del motore a scoppio.

Le città si trasformano in auto-alberghi ambulanti, la gente sempre più

dedita al nomadismo va di località in località, seguendo il corso delle

maree lunari, passando la notte nella camera dove sei stato tu oggi e io

la notte passata. 

– Consideriamo ora le minoranze in seno alla nostra civiltà.

– Più numerosa la popolazione, maggiori le minoranze. Non pestare i

piedi ai cinofili, ai maniaci dei gatti, ai medici, agli avvocati, ai pezzi

grossi, ai mormoni, battisti, unitarii, cinesi della seconda generazione,

oriundi svedesi, italiani, tedeschi, nativi del Texas, brooklyniani,

irlandesi, oriundi dell’Oregon o del Messico.

I personaggi di questo libro, di questa commedia, di questo program-

ma della TV non rappresentano il benché minimo riferimento o illusio-

ne a reali pittori, cartografi, meccanici di qualsiasi città o paese.

Più vasto il mercato, Montag, meno le controversie che ti conviene

comporre, ricordalo! Tutte le minoranze, fino alle infime, vanno tenute

bene, col loro bagnetto ogni mattina.

Scrittori, la mente pullulante di pensieri malvagi, chiudono a chiave

le loro macchine per scrivere. 

Tutto questo è avvenuto!

Le riviste periodiche divennero un gradevole miscuglio di tapioca

alla vaniglia. I libri, così i critici, quei maledetti snob, avevano procla-

mato, erano acqua sporca da guarire. Nessuna meraviglia che i libri

non si vendessero più, dicevano i critici; ma il pubblico, che sapeva

ciò che voleva, con una felice diversione, lasciò sopravvivere libri e

periodici a fumetti. Oltre alle riviste erotiche a tre dimensioni,

naturalmente.

Ecco, ci siamo, Montag, capisci?

Non è stato il Governo a decidere: non ci sono stati in origine editti,

manifesti, censure, no! ma la tecnologia, lo sfruttamento delle masse

e la pressione delle minoranze hanno raggiunto lo scopo, grazie a

Dio!

Oggi, grazie a loro, tu puoi viver sereno e contento per 24 ore al

giorno, hai il permesso di leggere i fumetti, tutte le nostre care e

vecchie confessioni con i bollettini e i periodici commerciali.

– Daccordo, ma, i vigili del fuoco? disse Montag.

– E’ la cosa più logicamente conseguente, che diamine! A misura

che le scuole mettevano in circolazione un numero crescente di cor-

ridori, saltatori, calderai, malversatori, truffatori, aviatori e nuotato-

ri, invece di professori, critici, dotti e artisti, naturalmente il termine 

‘intellettuale’ divenne la parolaccia che meritava di diventare. 

Si teme sempre ciò che non ci è familiare.

Noi dobbiamo essere tutti uguali.

Non è che ognuno nasca libero e uguale, come dice la Costituzione,

ma ognuno ‘vien fatto’ uguale. Ogni essere umano a immagine e

somiglianza di ogni altro; dopo di che tutti sono felici, perché non

ci sono montagne che ci scoraggino con la loro altezza da superare,

non montagne sullo sfondo delle quali si debba misurare la nostra

statura! 

Ecco perché un libro è un fucile carico, nella casa del tuo vicino.

DIAMOLO ALLE FIAMME!

Rendiamo inutile l’arma.

Castriamo la mente dell’uomo.

Chi sa chi potrebbe essere il bersaglio dell’uomo istruito?

Cosicché, quando le case cominciarono a essere costruite a prova di

fuoco, non c’è più stato bisogno di vigili del fuoco, dei pompieri,

che spegnevano gli incendi coi loro getti d’acqua. Furono assegnati

loro i nuovi compiti, li si designò custodi della nostra pace spirituale,

il fulcro della nostra comprensibile e giustissima paura di apparire

inferiori, giudici, esecutori.

Tu Montag, sei tutto ciò, io sono tutto ciò.

– …. Ora devo andarmene.

– La lezione per oggi è finita.

– Spero di avere un po’ chiarito la situazione. Ma la cosa che devi ricor-

dare, Montag, è che noi siamo gli ‘Happiness Boys’, i militi della gioia,

tu, io, gli altri incendiarii. Noi ci opponiamo alla meschina marea di

coloro che vogliono rendere ogni altro infelice con teorie e ideologie

contraddittorie. Siamo noi che abbiamo posto mano alla diga.

Teniamo duro.

Non lasciamo che il torrente della tristezza e del pessimismo inondi

il pianeta. Noi contiamo su di te. 

Non credo che tu ti renda conto di quanto sei importante, di quanto

lo siamo noi tutti, per il nostro mondo felice quale è oggi.

– Un’ultima cosa, disse ancora Beatty.

– Almeno una volta, nella sua carriera, ogni milite del fuoco sente un

prurito: che cosa dicono i libri? si chiede. Oh, la voglia di grattarsi,

per amor di quel prurito, eh, Montag? 

Bene, ti do la mia parola, Montag, ne ho letto qualcuno, ai miei tempi,

per sapere che cosa dovessi combattere, e ti posso assicurare che non

dicono NULLA!

NULLA che tu possa credere o insegnare. 

Parlano di persone che non esistono, frutto dell’immaginazione,

quando si tratti di narrativa.

E se non si tratta di narrativa, sono cose ancora peggiori, diatribe tra

professori che si danno reciprocamente dell’idiota, urla di filosofi al-

la gola l’uno dell’altro. E tutti corrono affannati qua e là, a spegnere

le stelle e ad offuscare il sole.

Ne esci, alla fine, perduto.

– E se un milite del fuoco, per caso, senza averne realmente l’inten-

zione, si porta un libro a casa? che succede in questo caso?

Montag ebbe un guizzo del collo. La porta spalancata lo fissava col

suo grande occhio vuoto.

– Errore naturale, umano. 

– Curiosità, soprattutto, rispose Beatty.

– Noi capi non ci impressioniamo e tanto meno ci irritiamo per così

poco. Lasciamo al milite il libro per 24ore. Se in capo a 24ore non

l’ha bruciato, noi semplicemente ci rechiamo a casa sua e glielo bru-

ciamo noi.

– Naturalmente, disse Montag, con la gola secca.

– Bene Montag. Allora, vuoi, per oggi, prendere servizio con una

delle squadre dell’ultimo turno? Ti vedremo probabilmente stasera?

– Non so, disse Montag.

(R. Bradbury, Fahrenheit 451)

  

 

 

 

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