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Ciò che vediamo,
in quanto opposto
a ciò che percepiamo
(con gli occhi dell’anima),
‘è una sfida al senso comune’….
(René Magritte)
Il fatto che io avessi perseverato con tante fatiche, nella mia decisione
di raggiungere quella illimitata catacomba, oggi mi sembra del tutto
fantastico: dopo tutto quello che avevo visto, difficilmente potevo
sperare di imbattarmi in altri sopravvissuti come me; sebbene serbas-
si, lo ricordo, la speranza (irrazionale) di trovare, nonostante tutto,
nascosto da qualche parte, un cane o un gatto, e spesso ricordavo a-
maramente Reinhardt il mio cane artico, che avevo ucciso con la mia
propria mano.
Ma in realtà ci doveva essere in me il desiderio di accertare come si
erano svolte veramente le cose, o almeno quel che gli uomini erano
riusciti a capire o a indovinare, per cupidamente godermi tutta quel-
la tragedia, quel calice di fremiti, quel riversarsi delle fiale della col-
lera, nel corso dei mesi precedenti l’arrivo della fine dei tempi.
Questa curiosità aveva in ogni luogo reso preminente tra i miei pen-
sieri quello di dar la caccia ai giornali; ma fino a quel giorno ne avevo
trovati soltanto quattro, tutti in data anteriore a quella del giornale
letto a Dover.
Le date mi permettevano comunque di farmi un’idea del momento
in cui i quotidiani avevano interrotto la pubblicazione, probabilmen-
te il 17 luglio, ossia tre mesi prima dopo il mio arrivo al Polo; perché
non ne trovai uno che portasse una data posteriore, e neppure vi tro-
vai informazioni di carattere scientifico, soltanto preghiere e dispera-
zione.
Perciò, non appena arrivato a Londra, mi diressi subito verso la reda-
zione del ‘Times’; mi fermai soltanto un attimo davanti alla farmacia
di Oxford Street, per prendere una bottiglietta di antisettico da tene-
re sotto il naso, sebbene una volta uscito dai dintorni di Paddington
questa precauzione fosse diventata piuttosto superflua.
Così raggiunsi la piazzetta presso la quale il giornale veniva stampato;
anche lì il pavimento era cosparso da vesti esotiche, calpac e pugarì,
neri abiti e frangiati scialli da preghiera, scarpe con chiodi e sandali,
sete a striscie e lungi con figure stampate, tutto mescolato alla rinfusa
e molto mal ridotto.
Attraversai la piazza buia per raggiungere il doppiamente buio impo-
nente edificio, nel quale trovai aperta la porta di un ufficio di inserzio-
ni; ma quando accesi un fiammifero mi accorsi che c’erano solamente
lampade elettriche, così dovetti tornare indietro, inciampando dapper-
tutto, finché non scoprii in un vicolo un negozio dove vendevano lumi;
e adesso mi movevo con speciale cura di non offendere nessuno, perché
in quella piazzetta chiusa cominciavo a sentire brividi; accendevo un
fiammifero dopo l’altro, e così immobile era l’aria nera che la fiamma
nemmeno vacillava.
Quando ritornai all’ufficio del ‘Times’ con una piccola lanterna accesa,
vidi su un tavolo una ‘collezione’ del giornale; poiché là dentro c’era
una quantità di morti, e volevo stare solo, preso il grosso pacco sotto
un braccio, nell’altra mano la lanterna, saltai dietro un banco e salii per
una scala che mi portò nell’interno di un grande edificio; un labirinto
di gradini e corridoi, che percorsi con occhi attenti alla luce di quella
lanterna ovviamente tremante nella mia mano, perché anche qui c’erano
dei morti.
Finalmente arrivai in una maestosa sala, come quella di un consiglio
di amministrazione, con ampie poltrone allineate lungo un tavolo co-
perto di stoffa spessa e morbida, e su questo tavolo c’erano mucchi
di manoscritti cosparsi di polvere rossiccia, e tutt’intorno scaffali con
libri.
Questa stanza era stata chiusa a chiave, dall’interno, da un uomo che
indossava una cerimoniosa giacca lunga a doppio petto; un uomo
alto dalla barbetta grigia, a punta, il quale poi a un certo momento a-
veva deciso di scappare via, perché giaceva sulla porta, come se fosse
morto nell’atto di aprirla; lo presi per le scarpe e lo trascinai fuori, poi
mi chiusi io stesso a chiave nella camera, mi sedetti davanti al mio pol-
veroso mucchio di giornali, vi posai la lanterna accanto, e cominciai
a investigare e a leggere fino al mattino inoltrato: ma soltanto il cielo
può dire….
Non avevo riempito bene di petrolio il piccolo serbatoio della lampada;
così accadde che verso le tre del mattino cominciò ad oscurarsi e ad
abbassarsi, a fare scintille e a sporcare di fumo il vetro; e nel mio cuore
c’era la domanda: ‘Se per caso la lanterna si spegne prima che faccia
giorno….’.
Conoscevo il Polo e il freddo, li conoscevo, ma sentirsi gelare dal terrore….
Leggevo, come ho detto, studiavo, non volevo fermarmi; ma quella not-
te fui straziato da terrori panici quali mai il mio cuore si è sognato di
immaginare; la mia carne mortale si agitava e fremeva come uno stagno
sulla cui superficie, qua e là, spira una brezza di vento.
A volte per lo spazio di tre, quattro minuti, il profondo interesse di ciò
che leggevo assorbiva la mia mente; poi mi capitava di percorrere un’
intera colonna, o due, senza capire il senso di una sola frase, tutto il
mio cervello era come succhiato dalle truppe innumerevoli accampate
intorno a me, sedotto dall’idea che a un certo punto si sarebbero sve-
gliate, e alzate, per accusarmi: perché il verme era diventato il mondo,
e nell’aria c’era un muoversi di sudari, e il sapore del grigio dei fantasmi
sembrava infettare la mia gola, e gli odori dell’abominevole fare del mio
naso una tomba, e vibrazioni profonde di campane riempivano le mie
orecchie.
Verso la fine il lume divenne piccolo, sempre più smorto, e la mia im-
maginazione da ossario ormai piena zeppa di bare che si schiodavano,
di cancelli di camposanto e di becchini, dell’attrito stridente delle cor-
de che calano la bara nella fossa, del primo tonfo di terriccio sul coper-
chio di quella dimora sparuta e buia dei mortali.
Quell’immagine letale di dita fredde e morte, mi sembrava vederla da-
vanti a me, l’insipidezza delle lingue morte, il broncio delle labbra
degli annegati e le spume svaporate che le orlano; finché il mio corpo
non divenne madido, come bagnato dalle acque di scolo degli obitori,
e dai sudori che i cadaveri traspirano, e dalla lacrima nauseante che
si ferma sulle gote dei morti: perché, che può fare un unico insignifi-
cante uomo, avvolto nella sua veste di carne, davanti a moltitudini di
eserciti ….. (prosegue in: la nube purpurea)