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Il buco del’ozono, fu scoperto nel 1985 e stupì la comunità scientifica.
Stupì il fatto che si sviluppasse a quote basse, comprese tra 12 e 22
chilometri, ben al di sotto dei 25 chilometri prevedibili in base agli
studi di Molina e Rowland del 1974. E la ragione fu chiara dopo
alcuni anni: i processi di distruzione dell’ozono stratosferico erano
più complessi di quanto si potesse aspettare.
Il buco dell’ozono si è formato sopra il Polo Sud e non ha interessato
tutto il pianeta perché le reazioni che attivano il cloro, e lo rendono
un distruttore dell’ozono, avvengono soltanto in presenza di luce,
sulla superficie dei microcristalli di ghiaccio e dell’acido nitrico congelato
che costituiscono le nuvole stratosferiche.
Queste ultime si formano soltanto a temperature, inferiori agli 80 gradi
sotto lo zero, nelle zone più fredde della stratosfera: sopra l’Antartide e,
in misura minore, sopra il Polo Nord.
Senza questi nubi, l’ozono si salverebbe.
Preso da solo, l’ossido di cloro prodotto dai Cfc ne catalizza la distruzione,
ma se si combina con il biossido di azoto, un’altro catalizzatore nella
stratosfera, la molecola che ne risulta non reagisce con l’ozono.
Come clan mafiosi contrapposti, quello degli ossidi d’azoto sono entrambi
pericolosi per l’ozono, ma quando si incontrano si annullano a vicenda e
l’ozono riesce a scamparla.
Sui microcristalli delle nubi polari, però, i clan si separano.
Alla distruzione dell’ozono, tuttavia, sono necessari anche i raggi ultravioletti
del Sole, e infatti il buco si espande tra la fine dell’inverno e l’inizio della
primavera polare, quando la temperatura è abbastanza bassa perché si
formino le particelle di ghiaccio e, al contempo, c’è abbastanza Sole da
attivare le reazioni fotochimiche di distruzione.
Forse stupisce che modeste emissioni di Cfc bastino a produrre un fenomeno
di portata talmente ampia. Bisogna però ricordare che il cloro agisce
semplicemente da catalizzatore e rimane inalterato: una singola molecola
di cloro può portare alla distruzione di migliaia di molecole di ozono e
rimanere comunque nella stratosfera.
Quando il cloro raddoppia, inoltre la quantità di ozono distrutto quadruplica:
negli anni Ottanta, l’ossido di cloro in stratosfera aumentava del 5% all’anno,
l’ozono distrutto del 10%.
Quando Molina e Rowland sostennero che il cloro dei Cfc catalizzava la
distruzione dell’ozono, i produttori dichiararono che era un’ipotesi fra tante,
da non prendere sul serio. Con il tempo fu sempre più evidente che la
comunità scientifica aveva ragione: le concentrazioni di Cfc misurate nella
stratosfera concordavano con i modelli teorici.
Bisognerà aspettare almeno cinquant’anni prima che l’ozonosfera si ricostituisca
interamente. Gli atomi di cloro che sono stati prodotti finora, infatti, rimarranno
ancora in circolazione sino a quando saranno modificati dalla luce solare
per formare un gas, l’acido cloridrico, che è solubile nella pioggia e viene lavato
via …dalle nuvole….
(P.J. Crutzen)