L’UOMO E LA NATURA (9)

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Per un momento ho pensato di                                           lupo lupi svezia.jpg

raccontargli del bosco e della lupa

magra, per mettergli paura, ma

tanto lui avrebbe detto che è solo

il cinematografo della febbre,

così sono rimasto rannicchiato e

muto, e dopo poco il professore

se n’è andato.

C’è la festa stasera, ha ripetuto

prima di riaccostare la porta.

Difatti per tutto il pomeriggio

c’è stato un gran trambusto,

su e giù per le scale, nei

corridoi, nelle stanze.

Sentivo trascinare mobili sul pavimento della sala, e anche accordi di chitarra, rullate

di batteria, attacchi di canzoni ripetuti mille volte, grida. Io non mi sono mai mosso

da sotto al letto, tremavo accucciato sulle mattonelle fredde e pensavo a te Mimosa,

a quando ti ho incontrata al bar davanti scuola, che avevi il giobbotto nero e in testa

il colbacco peloso di tua madre, le prime unghie aguzze, rosse, la peluria bionda accanto

alle orecchie, il viso lungo. Stavi da una parte, lontana dalle compagne e dai ragazzi, come

una forestiera in una stazione.

Ho sentito subito l’odore forte delle mestruazioni e della solitudine.

Eri sola come me, Mimosa, per questo eri bella.

Verso sera la festa è partita decisamente: la musica era per ballare, e li immaginavo nella

luce calata, tutti a fare le loro mossette con la bocca piena di patatine, noccioline, salatini,

le scarpe nella cocacola rovesciata, i professori che vergognosi e porci ballavano con le

carine, toccandole sui fianchi: e i ragazzi grassi appoggiati al muro, con la sigaretta fissa

in bocca.

Ma sentivo anche il vento fischiare, fuori, raffiche tese, libere, e la neve che danza, che

scende dal cielo e sale dalla terra, e le lepri che muovono musi e orecchie sotto la luna.

Sono uscito dal mio nascondiglio e ho spalancato la finestra. Mi sembrava di essere

dimagrito di venti chili, d’avere la pelle incollata ai muscoli e alle ossa, e una forza

moltiplicata, scattante, tutta gomiti e ginocchia.

L’ho vista immediatamente, anche se era avvolta dall’ombra: stava seduta sul bordo

del bosco, dritta come una sentinella, e mandava nell’aria il profumo dell’attesa.

Ha alzato la testa e un mugolio, è tornata a nascondersi tra gli alberi.

Mimosa, non sai come correvo sulla neve, che balzi in avanti: il desiderio mi trasformava

e non ero più malato, non ero più io. La lupa appariva tra i tronchi, s’allontanava,

s’avvicinava, stringeva il cerchio attorno a me. Potevo sentire il suo affanno, e lei il mio.

Mi sono messo a quattro zampe per farle capire che ero come lei.

E per lei, Mimosa, ho ricoperto la mia pelle d’un pelo ispido, ho estratto la coda dal

dorso e ho sospinto in avanti il muso, ho affilato i denti e drizzato le orecchie, ho ululato

alla luna. E la lupa mi è strisciata contro, calda e tesa, ha mescolato il suo fiato fumante

al mio, mi ha accettato. Abbiamo galoppato inseme tutta la notte, fino sui monti più

alti, spalla a spalla. Per lei ho ucciso un animaletto. Scappava in diagonale nel campo,

ma l’ho raggiunto in un attimo e l’ho azzannato: il sangue mi colava sul collo e nella

bocca, sentivo le convulsioni finali di quella bestiolina, le zampette che s’agitavano

nell’aria, gli squittii, e poi era solo carne da offrire alla mia lupa.

Abbiamo bevuto la neve e giocato a rotolarci giù da un pendio: io l’ho morsa dietro

le orecchie, non troppo forte. Quello che lei mi diceva, io lo capivo, storie di uomini

con il fucile, di terrore, ferite, nascondigli, buche, solitudine, e altre parole che ora

mi vagano nella testa come i sogni quando sono svaniti.

Ci siamo accoppiati all’alba, rapidamente, sul bordo di un lago ghiacciato, con un

vento furibondo che ci sollevava il pelo. Ma dentro di lei s’apriva una notte umida,

sospirosa, la prima notte del mondo, e io ho sentito le stelle che mi uscivano dal

corpo e entravano nel suo, come da cielo a cielo. Con i fianchi obbedivamo a qualcosa

di più grande di noi, la forza che ci teneva avvinghiati era quella che solleva le maree

e le foreste, che inghiotte le navi e i vecchi. Ma quando ci siamo staccati, lei mi ha

girato uno sguardo pieno di indifferenza: ho provato a leccarla sul muso e m’ha

ringhiato con i denti lucidi, è andata via per sempre.

Tra me e lei s’è alzato un volo di corvi, centinaia di punti neri che gracchiando

strappavano l’aria…..

Questo è successo, anche….

(Marco Lodoli, Cani e lupi)

un intervento contro l’orrore in:

orrore-senza-fine-lettera-aperta-al-direttore-del-parco-monti-sibillini-1

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