PREGHIERA

Signore, a Te dinnanzi eccomi prosternato,

inchinato davanti alla Tua infinita bontà,

in questa orazione in versi io Ti supplico:

‘Donami o Signore, il senso della Bellezza!’

Signore, dinnanzi a Te eccomi prosternato.

Ero innocente, puro come rugiada,

e come il giglio allo sbocciare della primavera;

Signore la mia linfa e il mio frammento

hanno rubato,

uomini perversi dalla lingua melliflua

hanno messo veleno nella mia coppa d’ebbrezza,

quand’ero puro come rugiada.

E così, Signore, ho lasciato il Tuo cammino,

ed erro per un deserto tenebroso.

Ahimé, la passione incatena la mia ragione,

alla sua fiamma nera l’ha asservita

e dal Tuo cammino mi sono allontanato.

Signore la mia linfa e il mio frammento

hanno rubato,

il mio cuore ha perduto la fede e la speranza,

lasciando il peccato offuscare il mio amore….

Cerco adesso rifugio sotto la Tua ala,

presso il Tuo Libro, il Tuo Verbo eterno.

Assolvi i miei peccati, o Signore, Te ne supplico,

che dalla Tua bontà sia guarita la mia anima!

Vedi, vengo a cercar rifugio sotto la Tua ala.

Signore, Te ne prego, illumina la mia ragione,

il mio frammento e la mia linfa hanno rubato,

fortificami nella risoluzione,

possa io venire a capo di quei demoni impuri…

Vieni con la Tua grazia a rischiarare le mie tenebre,

o Signore, Te ne prego, dammi la luce!

Ravviva l’ardore della mia fede antica,

poiché il frammento e la linfa hanno rubato,

rendimi il Tuo amore e i Tuoi doni preziosi,

che io spezzi la mia coppa sulla pietra fredda

e dilani con l’unghia gli incatenamenti di Venere;

ravviva il fuoco della mia fede antica!

Signore, dinnanzi a Te eccomi prosternato,

piaccia il mio pentimento alla Tua bontà;

in questa orazione in versi io Ti supplico:

‘Donami, o Signore, il senso della Bellezza!’

..i tanta penosa bruttezza…

Signore, a Te dinnanzi eccomi prosternato!

(Musa Cazim Catic)

 

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L’INCONTRO (eremiti nella Taiga) (3)

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Su queste montagne le notti sono fredde.

Non avevamo tende.

Agaf’ja e suo padre, osservandoci mentre ci apprestevamo a stenderci vicino al

fuoco ‘con quanto ci aveva mandato Dio‘ ci invitarono a passare la notte nell’izba.

E con la descrizione di questa bisognerà terminare le impressioni della nostra prima

giornata.

Curvateci sotto lo stipite della porta sbucammo in un’oscurità quasi completa.

La luce azzurra della sera era visibile solo nella finistrella grande quanto due palmi.

Dopo che Agaf’ja ebbe acceso una scheggia di legno e l’ebbe fissata nel portaschegge

in mezzo all’izba ci fu possibile vedere alla meno peggio l’interno. Persino col lucignolo

le pareti erano scure – la fuliggine di molti anni non rifletteva la luce. Anche il soffitto basso

era nero come il carbone. Orizzontalmente sotto il soffitto erano appesi dei bastoni per

asciugare i panni. Alla stesa altezza lungo le pareti c’erano degli scaffali per le stoviglie

di scorza con le patate secche e i pinoli. In basso lungo le pareti c’erano delle grandi

panche. Su queste, come si poteva capire da alcuni stracci, dormivano e adesso si poteva

stare seduti. Alla sinistra dell’ingresso lo spazio principale era occupato dalla

stufa di pietra. Il camino della stufa, fatto anche quello di lastre di pietra tenute insieme

con l’argilla e rivestite con scorza di betulla, non usciva attraverso il tetto, ma

dal muro.

‘D’inverno ci si sarebbero potuti congelare i lupi. Allora abbiamo fabbricato per loro

questa stufa a legna. Ancora oggi mi chiedo come abbiamo fatto a trascinarla fin qui…’

– disse Erofej, che aveva già pernottato lì più di una volta.

In mezzo all’abitazione c’era un tavolino lavorato a colpi d’accetta. Era tutto quello che

c’era. Ma si stava stretti. Lo spazio di quella tana era all’incirca di sei passi per cinque,

e non si riusciva a capire come sei adulti di entrambi i sessi avessero potuto stringersi

lì tutti quegli anni.

Era la miseria…

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Il vecchio e Agaf’ja parlavano senza agitazione e con piacere. Ma spesso la conversazione

era interrotta dal loro bisogno improvviso di pregare. Voltatisi verso un angolo dove,

evidentemente, si trovavano delle icone rese invisibili dall’oscurità, il vecchio e la figlia

intonavano a voce alta le loro preghiere, gemevano, sospiravano rumorosamente,

sgranavano con le dita i grani della loro lestovka, il rosario usato dai vecchi credenti

per tenere il conto delle prosternazioni. La preghiera finiva all’improvviso così come

era iniziata, e la conversazione riprendeva dal punto dove era stata interrotta….

All’ora stabilita il vecchio e la figlia si misero a cena.

Mangiarono delle patate che intingevano nel sale macinato grosso. I chicchi di sale

caduti sulle ginocchia li raccoglievano con cura e li rimettevano nella saliera.

Agaf’ja chiese agli ospiti di portare le loro tazze e vi versò il ‘latte di cembro’.

La bevanda, preparata con acqua fredda, aveva un colore simile a quello del tè al

latte e forse anche più saporita.

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Agaf’ja lo aveva preparato di fronte ai nostri occhi: aveva macinato i pinoli in un

mortaio di pietra, li aveva mescolati all’acqua in un recipiente di scorza, poi li

aveva filtrati…Agaf’ja non aveva nessuna idea della pulizia. Il cencio color terra

attraverso cui la bevanda era stata filtrata serviva alla padrona di casa anche per

pulirsi le mani. Ma che fare, il ‘latte’ lo bevemmo e, procurando ad Agaf’ja un

evidente piacere, lodammo sinceramente la sua bevanda.

(Vasilij Peskov, Eremiti nella taiga)

 

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