L’UOMO E LA NATURA (5)

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Consideriamo senz’altro assurda la convinzione di quanti affermano che l’uso

di mangiare la carne abbia un’origine naturale. Che l’uomo non sia carnivoro per

natura, è provato in primo luogo dalla sua struttura fisica. Il corpo umano infatti

non ha affinità con alcuna creatura formata per mangiare la carne: non possiede

becco ricurvo, né artigli affilati, né denti aguzzi, né viscere resistenti e umori caldi

in grado di digerire e assimilare un pesante pasto a base di carne.

Invece, proprio per la levigatezza dei denti, per le dimensioni ridotte della bocca,

per la lingua molle e per la debolezza degli umori destinati alla digestione, la natura

esclude la nostra disposizione a mangiare la carne.

Se però sei convinto di essere naturalmente predisposto a tale alimentazione, prova

anzitutto a uccidere tu stesso l’animale che vuoi mangiare. Ma ammazzalo tu in persona,

con le tue mani, senza ricorrere a un coltello, a un bastone o a una scure. Fa’ come i

lupi, gli orsi e i leoni, che ammazzano da sé quanto mangiano: uccidi un bue a morsi

o un porco con la bocca, oppure dilania un agnello o una lepre, e divorali dopo averli

aggrediti mentre sono ancora vivi, come fanno le bestie. Ma se aspetti che il tuo cibo

sia morto e se la vita presente in quelle creature ti fa vergognare di goderne la carne,

perché continui a mangiare contro natura gli esseri dotati di vita?

Eppure, neanche quando l’animale è morto lo si potrebbe mangiare così come si

trova, ma si lessa, si arrostisce, si modifica la sua carne per mezzo del fuoco e

delle spezie, alterando, trasformando e mitigando con innumerevoli condimenti

il sapore del sangue, affinché il sapore del sangue, affinché il sapore del gusto,

tratto in inganno, possa accettare quanto gli è estraneo.

Davvero spiritosa è la battuta dello Spartano, che comprò in un’osteria un piccolo

pesce e lo diede da preparare all’oste; quando costui gli chiese formaggio, aceto e olio,

lo Spartano replicò:’Ma se avessi tutto ciò, non avrei comprato un pesce’.

Noi invece, viviamo così mollemente sprofondati nella nostra sete di sangue da

chiamare la carne una prelibatezza; ma poi abbiamo bisogno di intincoli prelibati per

la carne stessa, mescolando olio, vino, miele, garo e aceto a spezie siriane e arabiche,

come se preparassimo effettivamente un cadavere per la sepoltura. Dopo che le carni

sono state così macerate, ammorbidite e, in un certo senso, fatte imputridire prima

del tempo, è realmente arduo per la digestione avere la meglio; e una volta che

quest’ultima ha perduto la battaglia, le carni sono fonte di fastidi terribili e di

malsane indigestioni.

(Plutarco, Del mangiar carne)

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L’UOMO E LA NATURA (4)

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Innanzi tutto, dunque, gli avversari                                             2005-03-n2-pitagora.gif

dicono che la giustizia è violata e

che l’immoto è mosso, se estendiamo

il diritto non solo al genere razionale

ma anche a quello irrazionale:

perché così non riteniamo legati

da parentela soltanto gli

uomini e gli dei, ma abbiamo

familiarità anche con le altre

bestie, le quali non hanno

nessun legame di parentela

con noi, e, servendoci di

alcune per i lavori, di altre

per il nutrimento, non le

consideriamo estranee e

indegne della nostra

comunità come di una

cittadinanza.

Chi infatti usa le bestie come se fossero uomini, risparmiandole e non offendendole,

attribuendo così alla giustizia una funzione che essa non può avere, non soltanto

ne distrugge la forza, ma rovina anche quel che è a noi proprio con l’introduzione

di quel che ci è estraneo.

‘Poiché ci capita o che siamo necessariamente ingiusti se non risparmiamo le bestie

o che viviamo una vita impossibile e impraticabile se non ci serviamo di esse, e in

un certo senso vivremo una vita di bestie se rinunziamo all’uso delle bestie.

Tralascio le multitudini incalcolabili dei Nomadi e dei Trogloditi, i quali come

alimento conoscono la carne e nient’altro: ma anche a noi che crediamo di vivere in

maniera civile ed umana quale occupazione rimane sulla terra, quale sul mare, qual

arte produttiva, quale raffinatezza se assumiamo nei riguardi degli animali un

atteggiamento inoffensivo come se fossero della nostra stessa razza e se ci comportiamo

con prudenza nei loro confronti?

Non c’è alcun bisogno di dirlo.

Noi non abbiamo altro aiuto né altro rimedio per questo dilemma che ci priva e della

vita o della giustizia se non conserviamo quest’antica legge e norma, per la quale,

secondo Esiodo, Zeus, distinguendo le specie naturali e dando a ciascuna un suo

specifico dominio, diede ‘ai pesci, alle bestie, agli uccelli alati di divorarsi l’un l’altro,

perché fra essi non c’è giustizia, ma agli uomini diede la giustizia’ ..fra loro.

E nei confronti di coloro ai quali non è possibile praticare la giustizia nei nostri

riguardi neppure a noi capita di essere ingiusti. Sicché coloro i quali hanno respinto

questo argomento non hanno lasciato alla giustizia altra strada né larga né stretta in cui

essa possa infilarsi’.

Come infatti abbiamo già osservato, poiché la nostra natura non è sufficiente a se stessa

ma ha bisogno di molte cose, se la si tiene lontano dall’aiuto derivato dagli animali,

ciò significa distruggerla completamente e ridurla ad una vita senza risorse, priva

di strumenti e sfornita del necessario. Dicono che i primi uomini non vivessero una

vita felice: poiché la superstizione non si ferma agli animali ma usa violenza anche

alle piante. Infatti, chi scanna un bue o una pecora qual ingiustizia maggiore compie

di colui che taglia un ulivo o una quercia, se anche in questi è insita un’anima,

secondo la metensomatosi?

Questi dunque, sono i principali argomenti degli Stoici e dei Peripatetici.

(Porfirio, Astinenza dagli animali)

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