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Mettesse pure le mani sul suo tesoro, quella gente avidissima, e con
quell’oro si saziasse della sua lunga fame, tanto ben presto sarebbe
diventata sua preda: aveva appreso dall’esperienza come un corredo
di raffinatezza, concubine e una processione di eunuchi altro non
fossero che pesi e impacci: trascinandosi dietro quelle stesse cose,
Alessandro sarebbe risultato più debole proprio in quello che era
stato prima il suo punto di forza.
Questo discorso appariva colmo di disperazione a tutti, poiché
vedevano la resa di Babilonia, città imbolo di opulenza: il vincitore
stava per occupare già Susa, già le altre perle del reame, che erano
state causa della guerra.
Ma Dario continuò a spiegare che nelle avversità occorre seguire non
le belle parole, ma le necessità concrete: le guerre si conducono con il
ferro, non con l’oro, con gli uomini, non con gli edifici delle città.
Tutto va dietro chi è in armi: così i suoi antenati, sconfitti nelle vicende
iniziali, avevano ben presto recuperato la primitiva fortuna.
E poi, sia che avesse realmente confortato i loro animi, sia che si
fossero conformati ai suoi comandi più che alle sue argomentazioni,
passò il confine della Media.
Poco dopo Arbela si consegna ad Alessandro, stipata di arredi regali
e di ricchi tesori – per un valore di 4000 talenti -, e inoltre di preziose
vesti, essendo state accumulate in quella località, come si è detto
prima, le risorse dell’intera armata.
Alessandro anticipò quindi la propria partenza sotto la minaccia delle
epidemie, diffuse dai miasmi dei cadaveri abbandonati per tutte le
campagne. Nel loro itinerario si lasciavano sulla sinistra l’Arabia,
paese rinomato per l’abbondanza delle spezie odorose.
Si tratta di un percorso attraverso i campi (della regione) distesa tra
il Tigri e l’Eufrate, tanto feconda e grassa che le greggi si dice vengano
spinte via dalla pastura perché la sazietà non le uccida. Causa di tale
fertilità è l’acqua che proviene da entrambi i fiumi, giacché quasi
tutto il suolo è umido per le vene d’acqua che vi sgorgano.
I due fiumi discendono dalle catene montuose dell’Armenia e, dopo
un’ampia divergenza proseguono il loro corso iniziale: la massima
distanza tra essi, all’altezza dei monti dell’Armenia, è stata calcolata,
da chi ha proceduto alle misurazioni, in 2500 stadi.
Quando cominciano ad attraversare il paese dei Medi e dei Gordiei,
a poco a poco si accostano l’uno all’altro, e quanto più si spingono
oltre, tanto più esiguo è lo spazio che lasciano tra loro.
Sono soprattutto vicini nei campi che gli abitanti chiamano Mesopotamia:
infatti la chiudono in mezzo da entrambi i lati.
Attraversato infine il territorio babilonese, sfociano nel Mar Rosso.
Alla quarta giornata di marcia, Alessandro arrivò alla città di Mennis.
C’è lì una caverna da cui una fonte emette una massa così grande di
bitume da convalidare l’opinione 
che le mura di Babilonia, opera
enorme, siano state spalmate del
bitume di questa scaturigine.
Comunque sia, mentre
Alessandro stava avanzando su
Babilonia, venne a consegnarli sé
stesso e la città, insieme con i figli
e in atto di supplice, Mazeo, che
aveva trovato lì rifugio dal
campo di battaglia.
Al re fu gradito il suo arrivo, giacché l’assedio di una città ben fortificata
avrebbe comportato grande impegno.
Oltre a ciò, un guerriero illustre e ardito come lui, celebre anche per il
comportamento tenuto nell’ultimo scontro, sembrava che avrebbe potuto
con il suo esempio incitare anche gli altri alla resa.
Perciò lo accoglie benevolmente insieme ai suoi figli; poi fa marciare in
formazione quadrata, come se andassero a combattere, i soldati di cui era
personalmente alla guida. Gran parte dei Babilonesi si era assiepata sui
bastioni avida di conoscere il nuovo sovrano, più ancora gli si erano mossi
incontro.
Tra questi Bagofane, responsabile della cittadella e del tesoro reale, per non
essere vinto in zelo da Mazeo, aveva lastricato l’intero percorso di ghirlande
di fiori e disposto sui due lati altari d’argento, sui quali aveva ammucchiato
non solo incenso, ma ogni genere di balsami. Lo seguivano, in segno di
omaggio, mandrie di bestiame e di cavalli, e, in gabbie, eano trasportati
addirittura leoni e leopardi.
Dei Magi cantavano litanie nel loro modo tradizionale, dopo di essi venivano
dei Caldei e, fra i Babilonesi, non solo i sacerdoti, ma anche i musicisti,
con gli strumenti a corda loro propri: questi ultimi esperti nel tessere
panegirici ai principi, i Caldei nella conoscenza dei movimenti degli
astri e del regolare avvicendarsi delle stagioni.
Per ultimi venivano cavalieri babilonesi, bardati, loro e le cavalcature, più
per ostentazione di lusso che di grandiosità.
Il re, stretto da guardie armate, ordinò alla folla degli abitanti di camminare
dietro le ultime file della fanteria, poi, su un carro, entrò in città nel
palazzo reale.
Il giorno seguente esaminò il corredo di Dario e tutti i suoi tesori.
Furono però la bellezza e l’antichità della città ad attirare su di sé, non
immeritatamente, gli sguardi non solo del re, ma di ognuno. L’aveva fondata
Semiramide, non, come i più hanno ritenuto, Belo, del quale si mostra la
reggia. Il muro di cinta è costruito in mattoni cotti con uno strato di
bitume e comprende in larghezza uno spazio di 32 piedi: si dice che
due quadriglie provenienti da direzioni opposte possano incrociarsi
senza pericolo.
(Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno)
(Qualcuno in silenzio e senza rumore….disse…Sono solo assassini…., forse e
sicuramente non aveva torto.)