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Realejo Nicaragua 16 aprile 1579
Salpai dal porto di Acapulco il 23 marzo e navigai sino al sabato 4
aprile: giorno in cui, un’ora prima dell’alba, avvistammo al chiaror
lunare una nave vicinissima alle nostre.
Il nostro timoniere le gridò di togliersi dalla nostra rotta e di non
affiancarsi al nostro bordo, ma non ebbe alcuna risposta; sembra-
va che tutti dormissero.
Il timoniere allora gridò ancora più forte, chiedendo questa volta
alla nave il porto di provenienza.
“Siamo del ‘Miguel Angel’ e veniamo dal Perù”, fu la risposta.
La nave avversaria mise in mare un battello di prua quasi voles-
se esserne rimorchiata; poi, improvvisamente, ci passò di poppa
ordinandoci di ammainare le vele e sparandoci sette o otto colpi
di archibugio.
Dapprima ritenemmo non fosse che un gioco, ma in breve la cosa
volse al serio. Da parte nostra non vi fu resistenza alcuna; a bordo,
se si accettuano cinque o sei uomini svegli, tutti dormivano, sì
che quelli poterono salire sulla nostra coperta senza correre
rischio, come se fossero stati nostri amici.
Non usarono violenze personali ad alcuno; si limatarono a privare
i passeggeri delle spade e dei denari che portavano su di sé.
Avuta la certezza di quanti erano a bordo, a me ordinarono di
passare sulla nave ove era imbarcato il loro generale, e ne fui
contento poiché in tal modo avrei avuto più tempo per raccomanda-
re la mia anima a Dio. Ma in breve giungemmo da lui, a bordo di
un ottimo galeone, così potentemente armato che in vita mia mai mi
era capitato di vederne uno simile.
Il generale passeggiava in coperta; avvicinandomi a lui, gli baciai le
mani. Mi accolse con atti di cortesia, mi accompagnò nel suo alloggio
e mi pregò di sedermi.
“Coloro che dicono la verità”, soggiunse, “possono contare sulla mia
amicizia, ma il mio umore si fa pessimo con i mentitori.
Sicché dovrete dirmi: quanto oro e argento trasporta la vostra nave?”.
“Punto”, risposi.
Mi ripeté la domanda.
“Né oro né argento abbiamo”, insistetti, “ad eccezione di qualche
piatto e qualche tazza come può ben vedere, siamo povera gente
di bordo; non vi è altro, eccetto scritti, libri e poesie…”.
Il generale tacque per qualche istante, poi, riprendendo la conversa-
zione, mi domandò se conoscevo Vostra Eccellenza.
“Sì”, risposi.
Questo generale inglese è nipote di John Hawkins ed è lo stesso
che, cinque anni or sono, conquistò il porto di Nombre de Dios.
Si chiama Francissco Drac, e ha circa 35 anni.
E’ di bassa statura, con barba bionda, è uno dei più grandi marinai e
pirati (per non usare altro aggettivo offensivo a sua Eccellenza) che
solchino le onde, e come navigatore e come capitano.
Il suo vascello è un galeone di circa 400 tonnellate, un veliero
perfetto; il suo equipaggio è composto da circa 100 uomini, tutti
validi e in età da poter combattere; il loro addestramento è tale che
si possono paragonare a veterani d’Italia. Ognuno prende particolar
cura di tener pulito il proprio archibugio.
Il generale tratta amorevolmente i suoi soldati, e ne è ricambiato
con il massimo rispetto. Al suo fianco vi sono sempre nove o dieci
cavalieri, cadetti di nobili famiglie inglesi.
Questi fanno parte del suo consiglio privato che viene convocato
anche per motivi più futili, sebbene il generale non segua che i
propri consigli: ma si diverte ad ascoltare ciò che dicono gli altri,
per ordinar poi solo ciò che più gli aggrada.
Non ha alcun favorito.
(Francisco da Zaratei, Incontro in mare con Drake)