L’HANNO PRESO IN CASTAGNA (3)

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salustio

sugli dei

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Le castagne hanno ispirato alcuni modi di dire e proverbi, da

cui il più frequente, ‘Prendere in castagna’, significa ‘cogliere in

fallo qualcuno’.

Invece ‘Cavar le castagne dal fuoco con la zampa del gatto’ al-

lude a chi fa qualcosa a suo vantaggio esponendo altri al rischio.

Ormai desuete o rare sono le locuzioni ‘Far le castagne’, ovvero

produrre schiocchi premendo e strisciando con forza il dito pol-

lice contro il medio, e ‘Meno di una castagna’, cioè poco o nulla,

cui si riallaccia il detto ‘Gli è avanzato men d’una castagna’.

Anticamente, come testimonia l’Ariosto, la scorza di castagna

indicava quella particolare tonalità del marrone: ‘Un destrier

baio a scorza di castagna’.

A sua volta la ‘castagna’ di un pugile può sconfiggere l’avversa-

rio; a meno che chi la possiede non si faccia ‘incastagnare’, cioè

mettere in difficoltà.

Una bona ‘castagna’ è anche il tiro secco e violento di un calcia-

tore.

‘Castagnola’ è invece il termine che designa un piccolo petardo,

nell’Italia meridionale, come in Spagna, indica al plurale le

nacchere con il loro suono secco che ricorderebbe quello di due

castagne vivacemente percosse l’una contro l’altra.

‘Marrone’ è detto il frutto di una varietà di castagno; esso è ova-

le, non schiacciato da un lato come la castagna comune perché se

ne forma uno solo per riccio.

Oltre ad avere dato il nome a un celebre dolce, il ‘marron glacé’,

si è trasformato nell’aggettivo che indica quel particolare colore.

Ha ispirato infine alcune locuzioni che hanno assunto significato

negativo: si pensi, per esempio, a ‘marrone’ o ‘smarronare’, nel

senso di dire spropositi, o a ‘marronata’ come clamoroso spropo-

sito.

Fare o commettere un marrone, oppure un ‘marrone madornale’,

significa commettere un grosso errore dovuto a IGNORANZA O,

meno frequentemente, a disattenzione. 

(Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante)




 

castagno miraglia.jpg

 

L’HANNO PRESO IN CASTAGNA (2)

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frutti di stagione: il castagno generoso (2)

                                                     

 






Le castagne, infatti hanno un alto valore nutritivo, conosciuto

fin dall’antichità.

Ma Plinio non mostrava di apprezzarle molto, tant’è vero che

scriveva:

‘Esse sono protette da una cupola irta di spine, ed è veramente

strano che siano di così scarso valore dei frutti che la natura ha

con tanto zelo occultato.

Sono più buone da mangiare se tostate, vengono anche macinate

e costituiscono una sorta di surrugato del pane durante il digiu-

no delle donne’.

Nonostante le sue riserve, erano consumate abbondantemente

dai Romani, come testimoniano Columella e Apicio. Quest’ulti-

mo offriva anche la ricetta di un piatto di castagne che poteva

sostituire le lenticchie.

A sua volta Marziale, nell’elenco delle vivande servite all’amico

Toronio, ricorda del pranzo ‘castagne a lento fuoco abbrustolite’,

provenienti dalla ‘dotta Napoli’.

Nell’alto Medioevo le castagne entrarono nel patrimonio alimen-

tare del popolo come alimento integrativo o sostitutivo del grano

grazie alla farina che se ne ricavava, o come frutti da minestra al

pari dei legumi o abbinati ai legumi, specialmente alla fava.

‘Appaiono poi le castagne’ scrive Bonvesin de la Riva ‘quelle co-

muni e quelle nobili, vendute per l’intero corso dell’anno, in

quantità immensamente abbondante, tanto ai cittadini quanto ai

forestieri.

Cucinate in diverse maniere, esse rificillano abbondantemente le

nostre famiglie.

Si fanno cuocere verdi sul fuoco e si mangiano dopo gli altri cibi

al posto dei datteri, e a mio giudizio hanno un sapore migliore di

quello dei datteri. Spesso si lessano senza guscio e, cotte,  molti le

mangiano con i cucchiai; oppure, buttata via l’acqua della cottura,

spessissimo le masticano senza pane, o anzi al posto del pane.

Si danno ai malati dopo averle dissecate al sole e poi cotte a fuoco

lento’. 

I naturalisti del Rinascimento, dal Mattioli al Durante, non manca-

vano di sottolinearne i limiti accanto ai pregi, fra cui quello sorpren-

dente di essere afrodisiache.

Scriveva il Durante: ‘Le castagne arrostite sotto la cenere, e mangia-

te con pepe, con sale, o con zuccaro, son meno dure a digerire, me-

no stiticano il corpo, generano ventosità e fanno minor dolore di

testa.

Se si digeriscono danno notabile nutrimento, ma non però buono:

e per essere molto ventose provocano al coito’.

Fin dal Medioevo questi frutti sono stati considerati anche cibo

per i morti, e come tali simbolicamente omologhi alla fave e ai ceci.

A Marsiglia si consigliava di metterne sotto il cuscino per far sì che

gli spiriti non venissero a tirare per i piedi di notte.

Nella Vienne, in Francia, durante la notte che precedeva la Com-

memorazione dei Defunti ci si riuniva nei castagneti per cuocervi

le castagne.

In Piemonte, come a Venezia, venivano consumate, secondo il ri-

to, nel giorno dei Morti, ma anche a San Martino, tant’e vero che

un proverbio rammenta: ‘Oca, castagne e vino, tieni tutto per San

Martino’.

In Val d’Aosta, nel pomeriggio di Ognisanti, nei caffè e nelle

osterie venivano offerte caldarroste agli avventori, mentre nel- 

le famiglie si era soliti cospargerle di grappa e di zucchero e

servirle in tavola alla fiamma.

In Liguria, ricorda il Mantovano, nel giorno dei Defunti si

mangiavano i ‘bacilli’ (fave secche) quanto i ballotti (castagne

fresche bollite con la scorza).

In Brianza si consumavano lesse sia a Ognisanti sia nella festa d

ella Giubianna, che si svolgeva il giovedì grasso ed era dedicata

alle donne.

Infine divennero cibo voluttario venduto dagli ambulanti nelle

vie cittadine, come accade ancora oggi, sebbene in misura mino-

re rispetto al passato. Lo testimonia un’incisione, pubblicata alla

fine del XVI secolo nel repertorio degli ambulanti: ‘Nuovo et ul-

timo ritratto di tutte le arti che vanno vendendo per la città di

Roma’, con le seguenti didascalie in funzione d’imbonimento:

 

‘Maron francesi, delicati e buoni,

mangiarli dopo il pranzo sono buoni.

O là chi è di voi che sia affamato,

eccovi i castagnacci a buon mercato.

Io vo vendendo talora i marroni

un giulio il scorzo, ma son tutti buoni.

Ecco castagne arrosto cotte adesso,

chi le vuol calde mandi presto il messo.

Gridando vo’ per Roma calde alesse

le mani spesso mi scaldo con esse.

E di giorno, e di notte vado a torno

vendendo le castagne cotte al forno.

Chi vuol mangiare dopo pasto marroni

mangi de’ miei, che son tutti buoni.

(Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante)



 

 

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L’HANNO PRESO IN CASTAGNA (sapori di stagione)

 l'hanno presso in castagna

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Giungono a maturazione in Ottobre le castagne, soprannominate

dai latini ‘ghiande di Zeus’ perché anche quest’albero evocava il 

dio supremo, reggitore dell’ Universo, grazie al suo tronco corto 

possente e ai rami che si allargano in tutti i sensi rendendone la

chioma possente.

Un albero cosmico, forse?

Il suo nome è la traduzione del latino ‘Castanea’, identico al gre-

co che a sua volta deriva da ‘Castanis’, una città del Ponto, in

Asia Minore, dalla quale la pianta passò in Grecia e poi in Italia. 

Il Castagno (Castanea sativa), originario dell’Iran, è una specie

che può facilmente acclimatarsi in ogni regione del nostro conti-

nente, tranne nei terreni calcarei.

Può raggiungere i 30 metri di altezza e i 15 di circonferenza e 

vivere 1000 anni. Celebre per le sue dimensioni fu in Sicilia il

‘castagno dei cento cavalli’ situato sulle pendici dell’Etna, nel

territorio di Sant’Alfio, così detto perché nel XVI secolo Gio-

vanna d’Aragona, sorpresa da un temporale mentre si stava

recando a Napoli dalla Spagna, trovò riparo con tutto il segui-

to, composto di cento cavalieri, sotto le sue fronde.

Sebbene il tronco principale sia bruciato nel 1923, quel casta-

gno appare ancora gigantesco:

suoi attuali quattro polloni hanno una circonferenza comples-

siva di 50 metri. A quest’albero Giovanni Pascoli dedicò in My-

ricae una poesia, in lode del legno e dei frutti che hanno scalda-

to e sfamato generazioni di contadini e montanari:

‘Per te i tuguri sentono il tumulto or del paiolo che inquieto

oscilla;

per te la fiamma sotto quel singulto

                                  crepita e brilla;

tu, pio castagno, solo ti, l’assai

doni al villano che non ha che il sole;

tu solo il chicco, il buon di più, tu dai

                                      alla sua prole;

ha da te la sua bruna vaccherella

tiepido il letto e non desia la stoppia,

ha da te l’avo tremulo la bella

                         fiamma che scoppia.

Scoppia con gioia, stridula la scorza

de’ rami tuoi, co’ frutti tuoi la grata

pentola brontola.

Il vento fa forza

nell’impannata’.

(Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante)



 

 
 
 
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