LA PALLOTTOLA MAGICA (come se lo lavorarono)

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dettagli

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2

Pagine di storia

Da:

Frammenti in rima








L’esperto che convocammo                                              SMHolland.jpeg

per controbattere la spiegazione

ufficiale della commissione

Warren riguardante

le ferite da pallottole

subite dal presidente,

era il dottor John Nichols,

un professore associato

di patologia presso

l’università del Kansas,

il quale si era studiato

il film di Zapruder e

altre fotografie della

scena dell’assassinio.

La corte qualificò il

dottor Nichols esperto di patologia e di medicina legale.

Per favorire la comprensione da parte della giuria della

testimonianza del dottor Nichols, avevamo disposto la

presentazione come prove documentali del film di Za-

pruder e di 21 fotografie a grande ingrandimento del

settimanale Life.

Era la prima volta, dopo più di cinque anni, che il film

di Zapruder veniva finalmente reso pubblico. Per la ve-

rità, l’FBI aveva dato una copia del film alla commissio-

ne Warren, ma due fotogrammi decisivi erano stati mi-

steriosamente invertiti per suscitare la falsa impressione

che il colpo di fucile, che aveva colpito la testa di Kenne-

dy, fosse stato sparato da dietro.

Anche il National Archives ne avevano una copia per

quei cittadini che erano in grado di interrompere il loro

lavoro e farsi un viaggio nella capitale.

Comunque il film di Zapruder non era mai stato proiet-

tato pubblicamente. Per tutti quegli anni era stato tenuto

in una camera blindata nel Time-Life-Building in Avenue

of Americas a New York. 

A questo punto Al Oser, che stava conducendo l’interro-

gatorio del dottor Nichols, chiese alla corte il permesso di

mostrare il film di Zapruder. Mentre i miei viceprocurato-

ri stavano sistemando il proiettore e lo schermo, il pubbli-

co si spostò in massa da una parte all’altra dell’aula per

poter assistere alla visione della PRIMA del film della mor-

te del presidente.

La pellicola, che illustrava chiaramente con dettagli tre-

mendi il colpo fatale subito dal presidente Kennedy, venne

mostrata più di una volta, fino a quando tutti i membri del-

la giuria furono in grado di comprendere quello che era av-

venuto. Poi Oser chiese al dottor Nichols di stabilire in qua-

lità di esperto da quale direzione fosse venuto il colpo.

‘Avendo osservato queste diapositive, queste fotografie e il

film di Zapruder’, dichiarò il dottor Nichols, ‘ritengo che si-

ano compatabili con la tesi di uno sparo frontale’. 

Il dottor Nichols testimoniò inoltre che il presidente era sta-

to colpito non solo da davanti ma anche da dietro. A grandi

linee, descrisse come i proiettili sparati da dietro fossero en-

trati necessariamente nel corpo di Kennedy con angolazioni

diverse, il che significava che coloro che avevano sparato

lo avevano fatto da due differenti posizioni.

Speravamo che la testimonianza del dottor Nichols avesse

chiarito, una volta per tutte, alla giuria l’assoluta impossibi-

lità della VERSIONE UFFICIALE DELLA COMMISSIONE

WARREN, secondo cui sette ferite in entrata e in uscita del

presidente Kennedy e sul governatore del Texas John Con-

nally erano state causate da una sola pallottola. Il governo

assunse questa posizione ufficiale, che finì per essere nota

come la teoria del ‘PROIETTILE MAGICO’, dopo che il film

di Zapruder aveva permesso di stabilire un intervallo mas-

simo di durata della sparatoria di 5,6 secondi. 

In un tempo così breve, un assassino solitario avrebbe potu-

to sparare soltanto tre proiettili. Dal momento che il gover-

no aveva già concluso che un proiettile 


                                  tesina3.gif

era andato completamente

a vuoto e un secondo

proiettile aveva colpito

il presidente alla testa

fracassandone il cranio,

restava solo questo 

terzo proiettile 

‘magico’, il reperto

numero 399 della                                                                        wc.jpeg 

commissione, in grado

di spiegare le

rimanenti sette                                                          

ferite riscontrate su

Kennedy e Connolly. 

Stando alla versione del

governo, le sette ferite

sarebbero state inflitte nel

modo seguente: IL 

PROIETTILE penetrato nel

collo del presidente, si era 

diretto in giù con un’inclinazione

di 17 gradi.

Poi si era spostato all’insù uscendo dal corpo di Kennedy

nella parte anteriore del collo. 

Era proseguito entrando nel corpo di Connally sul retro

della sua ascella destra. Dal momento che il governatore

Connally si era trovato seduto direttamente di fronte al

presidente Kennedy, si doveva presumere che il proietti-

le in qualche modo si fosse spostato verso destra suffi-

cientemente per proseguire, con un’inclinazione rivolta

verso sinistra, dentro Connally.

A questo punto il proiettile si era diretto in basso con

un’inclinazione di 27 gradi, spezzando la quinta costo-

la di Connally e uscendo dal lato destro del suo torace.

Il proiettile proseguendo verso il basso sarebbe entrato

nel polso destro di Connally spezzandone l’osso. Poi sa-

rebbe uscito dall’altro lato del polso destro del governa-

tore e sarebbe entrato nella sua coscia sinistra, dove fi-

nalmente si sarebbe placato.

Stando alla versione ufficiale, questo proiettile venne in

seguito trovato in condizioni quasi perfette in un corri-

doio del Parkland Hospital evidentemente caduto da

una lettiga.

Il proiettile era praticamente privo di striature, legger-

mente deformato solo alla base. Curiosamente furono

trovati più frammenti del polso del governatore Connal-

ly di quanti risultò averne persi il proiettile numero 399. 

Non chiedemmo al dottor Nichols di addentrarsi in parti-

colari tecnici riguardanti la sostenibilità della teoria del

proiettile magico. Volevamo solo indicare ai giurati che

una simile spiegazione, decisiva per sorreggere lo scena-

rio dell’interpretazione governativa dell’assassino solita-

rio, era una sfida alle leggi della fisica e anche al buon

senso comune.

Una volta che la giuria avesse accettato che non poteva es-

sere stato il proiettile magico a causare ben sette differenti

ferite sul presidente Kennedy e sul governatore Connally,

si sarebbe dovuto concludere che ci doveva essere stato un

secondo uomo a sparare, e quindi anche una cospirazione.

Era chiaro dalle reazioni dei giurati che la presentazione

delle prove di una cospirazione dietro i fatti di Dallas ave-

va lasciato un’impressione profonda. 

(J. Garrison, JFK sulle tracce degli assassini)

 
 
 
 
 
 
 
 
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DETTAGLI (come se lo lavorarono)

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lo stato

Prosegue in:

la pallottola magica







Gli spari provenienti                                                       98978678.jpg

frontalmente rispetto

alla limousine

presidenziale mi

avevano convinto

sufficientemente

che Lee Oswald

non era stato

il solitario assassinio

di John Kennedy.

Il dottor Robert

McClelland descriveva

la causa della morte come ‘un’estesa ferita alla testa e al cervello

provocata da un colpo d’arma da fuoco alla tempia sinistra’, un

punto questo che solitamente si riferisce alla fronte di un indivi-

duo. Eppure veniva unanimamente sostenuto che, al momento

della

sparatoria, Oswald                                                 7867879.JPG

si trovava nel deposito

libri della scuola, cioè

alle spalle

del presidente.

Cominciai

a chiedermi:

ma Oswald ha

effettivamente

sparato

al presidente?

Mi studiai le

dichiarazioni

dei testimoni che

avevano sostenuto di avere notato dei movimenti insoliti nel

deposito libri e negli altri edifici raggruppati nella zona alle

spalle del presidente.

Più leggevo e più i miei dubbi crescevano.

Circa quindici minuti prima dell’arrivo del corteo, Arnold

Rowland, uno studente, e sua moglie Barbara stavano in Hou-

ston Street a fianco della Dealey Plaza.

Arnold diede un’occhiata al deposito libri e, presso lo spigolo

a est del sesto piano (dove si trovava il supposto covo dell’as-

sassino) scorse un uomo dalla pelle scura che descrisse come

un ‘anziano negro’.

Comunque presso lo spigolo a ovest del sesto piano (quindi

dall’altro lato della facciata dell’edificio) vide un uomo in

piedi, appena dietro la finestra, con un fucile nelle mani.

L’uomo lo teneva con la canna rivolta all’insù, a 45 gradi,

nella posizione che i militari indicano come quella del ‘pre-

sentare le armi’.

Barbara Rowland, in quel momento, era intenta a osservare

un uomo in preda a una crisi epilettica nella piazza diretta-

mente a fianco al posto dove si trovavano. Il tempo per Ar-

nold di richiamare l’attenzione della moglie e per lei di guar-

dare in alto e l’uomo col fucile si era già tirato indietro.

Entrambi avevano concluso che l’uomo col fucile doveva es-

sere un agente del Secret Service.

Arnold testimoniò che il giorno seguente, quando aveva

parlato della presenza del secondo uomo con la pelle scura

al sesto piano agli agenti dell’FBI, ‘questi mi dissero che tutto

ciò non aveva nessuna attinenza col caso in questione. In ef-

fetti furono proprio loro a dirmi di dimenticarlo’.

Carolyn Walther, un’impiegata del vicino edificio Dal-Tex

Building, si trovava anche lei sul lato est di Houston Street.

Stando alla sua dichiarazione rilasciata all’FBI, la Walther

osservava l’arrivo dell’ambulanza per la vittima dell’attac-

co epilettico e le capitò di dare un’occhiata in direzione  

 

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del deposito libri,

dove vide un uomo

con un fucile

a uno dei piani

superiori.

L’uomo col fucile

stava tenendo

l’arma con la canna

puntata in avanti

come in direzione

del corteo che       

avanzava nella

Houston Street.

La signora Walther                                                     897867.gif 

affermò che il fucile

era differente da 

quelli che aveva 

visto fino ad allora e

che aveva una canna

insolitamente corta.

L’uomo che lo

imbracciava era

vestito con una camicia

bianca e aveva i

capelli biondi o

comunque di una

tonalità chiara.

Stava nel mezzo della

finestra posta

all’estremità est,

sporto in avanti e

alla sua sinistra,

alla stessa finestra, poteva vedere un altro uomo in posizione

eretta, che sembrava indossare un abito scuro.

Poi arrivò il corteo e vi rivolse tutta la sua attenzione. Non le

capitò di dare una seconda occhiata alla finestra, tanto meno

dopo l’inizio della sparatoria. Non venne chiamata dalla com-

missione Warren a testimoniare.

Tony Henderson di Dallas era in attesa del corteo sul lato est

di Elm Street all’angolo con Houston Street. Dopo che l’ambu-

lanza ripartì con l’epilettico, diede un’occhiata al deposito.

Ricordava che numerose persone stavano alla finestra ai dif-

ferenti piani, guardando di fuori.

Poi, a uno degli ultimi piani, notò due uomini. Erano un po’

ritratti e guardavano in direzione del corteo. Uno di loro, un

uomo coi capelli scuri e con una camicia bianca, aveva la pel-

le scura, ‘probabilmente un messicano, ma poteva anche esse-

re un negro’. 

La signora Henderson non era in grado di descrivere l’altro

uomo, precisò solo che era il più alto dei due. Non sapeva

esattamente a quale piano i due uomini si trovassero.

Il verbale dell’FBI della sua dichiarazione non indicava a

quale della finestra avesse visto i due uomini.

Le affermazioni dei testimoni che avevano visto due uomini

al piano superiore del deposito mi avevano abbastanza scos-

so, ma una notte in cui mi imbattei nella testimonianza di un 

ragazzo di sedici anni di nome Amos Euins, venni talmente

turbato che in seguito non riuscii a dormire.

Mentre deponeva davanti alla commissione Warren disse che

stava  sbracciandosi in direzione del presidente mentre la lun-

ga decappottabile stava svoltando a sinistra in Elm Street.

Gli capitò di guardare all’insù verso il deposito libri e vide

quella che gli sembrò una ‘canna’ che sporgeva da una fine-

stra. In un primo tempo, interrogato dal sargente D.V. Har-

kness della polizia di Dallas, Euins aveva indicato la finestra

come quella più ad est al piano ‘sotto il cornicione’, cioè il fa-

moso sesto piano dell’edificio.

Dopo l’inizio della sparatoria, Euins fu in grado di vedere il

grilletto e il calcio del fucile. Inoltre notò che l’uomo, che sta-

va sparando aveva una distinta zona calva sulla testa che an-

dava dall’attaccatura dei capelli all’indietro per cinque, sei

centimetri, e che risaltava come se fosse quancosa di bianco

nella relativa oscurità dell’ambiente circostante.

Immediatamente dopo l’assassinio descrisse l’uomo come un

nero. In seguito nella sua testimonianza davanti alla commis-

sione, Euins affermò che non poteva essere certo se l’uomo fos-

se un bianco o un negro. Comunque si mostrò irremovibile su

due punti.

Il primo era che l’uomo aveva ‘UNA ZONA CALVA’ sulla testa.

Il secondo era che non aveva mai detto al delegato dello sceriffo

che l’uomo da lui visto, al sesto piano era un bianco.

Quello che aveva dichiarato, spiegò ai membri della commissio-

ne, era che la zona calva sulla testa dell’uomo sembrava essere

bianca.

(Tutto ciò non faceva che confermare la certezza di un complot-

to da parte della spettabile Compagnia….e i suoi fedeli cani….)

(J. Garrison, JFK Sulle tracce degli assassini)

 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
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LO STATO (…in ogni Stato…..)

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referti medici

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Dialoghi con Pietro Autier 2 &

Pagine di storia







IL PRIMO SPARO                                        CE716.jpg

Se fu il primo sparo

quello che mancò il

bersaglio, può darsi

che questo sia avvenuto

per la fretta che l’assassino

poteva avere di colpire

Kennedy prima che

passasse sotto la quercia

oppure perché l’assassino sparò

al presidente mentre questi transitava sotto di essa, e proprio

questa gli tolse la visuale.

La pallottola potrebbe aver colpito la pianta ed esser stata de-

viata lontano. D’altra parte però, si può fare una grossa obie-

zione a questa ipotesi: come mai un tiratore che avrebbe cen-

trato poi un bersaglio mobile per ben due volte, era stato così

impreciso al primo colpo, quando il bersaglio era più vicino,

da sbagliare non dico gli uomini ma persino l’automobile?

(questo è un enigma di non poco conto. Come mai sbaglia vo-

lutamente persona e macchina?) 

Abbastanza a favore di questa tesi sembra il rapporto dell’a-

gente del SERVIZIO SEGRETO Glen A. Bennet, seduto al mo-

mento del fatto, sul sedile posteriore destro della macchina

che seguiva immediatamente quella presidenziale.

Egli udì come un colpo di arma da fuoco mentre la sfilata

delle macchine percorreva Elm Street.

Così racconta:

” Guardai alla schiena del presidente. Udii un altro colpo d’ar-

ma da fuoco e m’accorsi che il presidente era stato colpito a

dieci centimetri dall’omero destro. Un secondo sparo seguì im-

mediatamente e colpì la parte posteriore destra, in alto della

testa del presidente”.

SECONDO SPARO

La possibilità che il colpo                                                                Dillard2.jpg 

mancato sia stato il secondo

è corroborata dal lasso di tempo

intercorso tra i due colpi che hanno

raggiunto il loro obiettivo.

Dal conteggio dei tempi

desunto dai fotogrammi

di Zapruder, risulta che

passarono da 4,8 a 5,6

secondi tra il colpo che

raggiunse il collo del

presidente Kennedy e

quello che gli trapassò il

capo.

Poiché il minimo tempo di sparo è di 2,3 secondi, una pallottola

poteva benissimo essere stata sparata, e mancata, nell’intervallo.

Tale punto di vista fu sostenuto da testimoni che affermano es-

serci stati degli intervalli regolari fra i tre spari; e un secondo spa-

ro sarebbe caduto proprio al centro dell’intervallo che separava

gli altri due.

La larga maggioranza dei testimoni sostiene tuttavia che i tre col-

pi non furono affatto regolarmente spaziati.

IL TERZO SPARO

L’ultima possibilità evidente, è che ad andare a vuoto sia stato il

terzo colpo. Era più facile che l’assassino sbagliasse il terzo colpo,

dal momento che l’auto presidenziale, dopo il colpo alla testa in-

ferto al presidente, aveva accellerato allontanandosi di più.

Inoltre essa aveva cambiato direzione seguendo la curva sulla de-

stra, mentre prima marciava quasi in linea retta col fucile che spor-

geva dalla finestra del sesto piano del Depository.

Bisogna tuttavia tener presenti le dichiarazioni dei testimoni secon-

do le quali il colpo alla testa mise fine alla sequenza dei colpi.

CONCLUSIONE                                                                    Dillard.jpg

In base alle testimonianze

esaminate in questo capitolo,

la Commissione ha concluso che

i colpi che uccisero il presidente

Kennedy e ferirono il governatore

Connally furono sparati dalla

finestra del sesto piano del

Texas School Book Depository

Building.

Due furono le pallottole che, probabilmente colpirono e provocarono

le ferite nel corpo del presidente e del governatore. Dal momento che

la maggior parte delle testimonianze indicano che gli spari sarebbero

stati tre, la Commissione ha concluso che probabilmente una terza

pallottola finì fuori del raggio dell’automobile, e che i tre colpi furo-

no sparati in un periodo di tempo variante da circa 4,8 a 7 secondi.

(Rapporto della Commissione Presidenziale del 35° Presidente degli

Stati Uniti J.F. Kennedy)



 

CommissioneWarren.jpg

REFERTI MEDICI

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il percorso

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

Pagine di storia







Dovremo ora discutere per                                          898789.jpg 

quanto possibile queste

ferite nei loro particolari.

E’ un argomento senza

dubbio spiacevole ma

essenziale per scoprire

la verità sull’assassinio:

la natura delle ferite

ci aiuterà a determinare

la FONTE DEGLI

SPARI.

I medici che esaminarono

il presidente a Dallas il

22 novembre constatarono

due ferite: una piccola alla gola e una grande nella parte posteriore

del cranio.

Parleremo prima della ferita alla gola.

Il presidente, al momento del primo sparo, stava guardando verso

la collina che aveva di fronte e leggermente sulla destra.

Se il proiettile che lo colpì fosse partito dalla collinetta, la ferita sa-

rebbe stata necessariamente una FERITA D’ENTRATA; se invece il

proiettile fosse partito dal Deposito dei libri, cioè da dietro la berli-

na, sarebbe stata una FERITA D’USCITA. 

Il dottor Charles Carrico, il primo che si sia occupato del presidente

ferito nella sala d’emergenza NUMERO UNO, compilò e firmò nel

pomeriggio del 22 novembre, un rapporto nel quale si diceva che la

ferita alla gola era una ferita d’entrata.

La polizia locale e federale, di fronte alle testimonianze dei medici

dalle quali risultava che il presidente era stato colpito di fronte, tro-

varono difficile insistere nella loro teoria. Se come sosteneva la poli-

zia, Oswald fosse stato l’assassino e si fosse trovato al quinto piano

del Deposito dei libri, non avrebbe potuto sparare il colpo che provo-

cò la ferita alla gola.

Il 29 novembre 1963 ‘Life’ pubblicò fotografie tratte da un film nelle

quali si vedeva il presidente nel momento in cui veniva colpito. Que-

ste fotografie dimostravano che  quando il primo proiettile gli entrò

nella gola la sua berlina aveva ormai superato il  Deposito dei libri

e lui stesso non si era voltato a guardare indietro ma teneva gli occhi

rivolti verso destra e di fronte a sé.

Era una prova indiscutibile.

Perché allora la polizia federale avallò una teoria indifendibile?

E perché ‘Life’ la pubblicò?

Le spiegazioni della ferita alla gola, già circoscritte dalla pubblica-

zione indiscriminata  delle scoperte della polizia e dei medici, lo

divennero ancora più dopo la pubblicazione dei fotogrammi di quel

film.

A questo punto sembra che la polizia si sia trovata nella necessità di

scegliere una di queste tre soluzioni:

1) Oswald aveva un complice. Il presidente era stato colpito da un al-

tro assassino appostato di fronte alla berlina.

2) Oswald non era nel Deposito dei libri ma sulla collinetta.

3) La ferita d’entrata era in realtà una ferita d’uscita.

Ognuna di queste soluzioni sarebbe stata difficilmente conciliabile

con le dichiarazioni fatte in precedenza dal governo. Ma poiché le

prime due, in quanto collocavano Oswald in un punto che non era la

finestra del Deposito dei libri o gli supponevano un complice, smenti-

vano completamente i preconcetti della Commissione, divenne quasi

inevitabile scegliere la terza. 

La Commissione si dice convinta che la ferita alla gola, ritenuta in ori-

gine una ferita d’entrata, fosse in realtà una ferita d’uscita. E poiché i

medici del Parkland avevano sostenuto pubblicamente tutto il contra-

rio, i membri della Commissione hanno dovuto puntare soprattutto

sui medici militari che avevano eseguito l’autopsia. Ma anche così il

loro compito non è stato facile. Poiché all’ospedale Parkland il dottor

Perry aveva eseguito una tracheotomia, alterando quindi la ferita, il

capitano di fregata Humes, che aveva condotto l’autopsia, non aveva

potuto determinare la natura della ferita alla gola.

Egli disse alla Commissione:

“Vedendo la ferita ho avuto l’impressione che fosse una ferita da tra-

cheotomia, del tipo di quelle che vengono frequentemente inflitte dai

chirurghi a pazienti che provano difficoltà nella respirazione per dar

loro modo di assorbire aria più facilmente….Parlandomi di quella fe-

rita al collo, il dottor Perry mi disse che, prima che lui l’allargasse per

fare la tracheotomia, aveva un diametro di pochi millimetri.

Naturalmente quando la vedemmo noi era notevolmente più grande

e non era più tanto ovvio che si trattasse di una ferita da proiettile”. 

Benché tutti i medici che avevano visto la ferita alla gola prima del-

la tracheotomia e avevano espresso immediatamente un’opinione si

fossero trovati d’accordo nel definirla una ferita d’entrata, la Com-

missione conclude:

” Immediatamente dopo l’assassinio molti giunsero a conclusioni er-

ronee sulla provenienza dei colpi, determinate dalle dichiarazioni del

dottor Perry alla stampa….Il dottor Perry affermò soltanto che era pos-

sibile che la ferita al collo fosse una ferita d’entrata”.  

Un altro fatto imbarazzante è che nessuno dei medici che esaminaro-

rono il presidente a Dallas abbia notato sulla sua nuca quel ‘foro più

piccolo’ che, secondo la Commissione, sarebbe stato il punto di entra-

ta.

‘Wound Ballistics’ compilato dal                                      hargis2.jpg

servizio medico dell’esercito degli

Stati Uniti, aiuta a spiegare come

ciò possa essere accaduto.

Fa cioè osservare che la cavità

cerebrale contiene tessuto in 

massima parte liquido e che

un proiettile che penetri nel

cranio, oltre a provocare una

grande distruzione del tessuto,

suscita una serie di onde esplosive

che possono a loro volta determinare

un’esplosione tale da distruggere gran parte del cranio compresa

l’area che circonda il punto d’entrata. Benché otto medici non sia-

no riusciti a individuare un foro più piccolo, e benché un testo di

medicina pubblicato dal governo, affermi che questo foro non è

sempre visibile, la Commissione si è sentita evidentemente costret-

ta per rafforzare la propria posizione a insistere sull’esistenza di

questa ferita d’entrata. 

Il dottor Clark disse di avere ‘esaminato la ferita alla nuca del pre-

sidente. Era una ferita alla parte posteriore destra grande e aperta

con tessuto cerebrale e del cervelletto danneggiato e scoperto’.

Ma non parlò di un foro più piccolo nella nuca del presidente. 

DOMANDA: Lei ha descritto la grande ferita al capo del presiden-

te dalla quale fuoriusciva il cervello.

Ha notato altri fori o ferite sulla sua testa?

DOTTOR CLARK: No, signore, non ho notato nulla. 

Il dottor Perry dichiarò a un rappresentante della Commissione di

non aver ‘visto altre ferite se non quella di cui le ho parlato, che era

una grande ferita lacerante dell’area occipito-parietale destra, non

ho però fatto un esame minuzioso del cranio’.

DOMANDA: Ha notato un foro da proiettile sotto la grande area

aperta?

DOTTOR PERRY: No, non l’ho notato. 

Questi otto medici hanno esaminato l’area occipitale-parietale destra,

e HANNO DICHIARATO DI NON AVER VISTO IL FORO DA PALLOT-

TOLA CHE SECONDO LA COMMISSIONE CI SAREBBE DOVUTO ES-

SERE!

(Mark Lane, L’America ricorre in appello)


 

 

 
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IL PERCORSO (…e il volantino….)

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j f k 3

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Dialoghi con Pietro Autier 2 &

Pagine di storia

Foto del blog:

il

volantino (di benvenuto)


 

il percorso






– Questo non è un foglio di carta qualsiasi, ragazzo mio,

risposi.

– Questa è la prima pagina del ‘Dallas Morning News’ del

22 novembre 1963.

– D’accordo, ma che cos’è che ti attrae tanto?

Additai la mappa in prima pagina che indicava il percor-

so del corteo presidenziale.

– Te l’avevo mai mostrato?

chiesi.

 

il percorso


Scosse la testa.

Girai il foglio verso di lui in modo che potesse osservarla.

Copriva i cinque sesti della prima pagina.

– Frank,

continuai,

– vorrei che tu seguissi il percorso del corteo insieme a me.

E qui sulla destra, sta muovendosi lungo Main Street e av-

vicinandosi alla Dealey Plaza. Ci sei?

– Sì,

annuì e con un dito seguì la linea tratteggiata.

– E qui è dove raggiunge la Dealey Plaza.

Si arrestò di colpo.

– Qual’è il problema?

domandai.

 

il percorso


– Questa cartina indica che si supponeva che il corteo del

presidente dovesse continuare in Main Street attraversan-

do il centro della Dealey Plaza, senza mai lasciare la Main.

Il suo sguardo era fisso e incredulo.

– Allora che cosa c’è che non va?

insistetti.

Il suo dito si era spostato dalla Main verso la Elm per arri-

vare all’area del deposito dove il presidente era stato colpi-

to.

– Se questo era il tragitto del corteo sulla Main….

Finii io la domanda per lui.

– Come fece dunque ad arrivare qui sulla Elm?

 

il percorso


– Qui dove stai guardando, il corteo fece una svolta a sini-

stra di 120°, il che ridusse la velocità della macchina del

presidente a meno di 20 chilometri all’ora….

Frank guardò la linea tratteggiata che indicava il cammi-

no del corteo che continuava sulla Main attraversando il

centro della Dealey Plaza in direzione della Stemmons

Freeway.

– Qui, in Main Steet, la strada prosegue in mezzo ai giar-

dini della piazza,

osservò,

– e non avrebbero potuto colpirlo. Mi stai dicendo forse che,

all’ultimo momento, hanno variato il percorso programma-

to del presidente degli Stati Uniti, verso l’area del deposito?

Tirò indietro la sedia e si alzò.

 

il percorso


– Diavolo, non ho mai letto una sola parola da nessuna par-

te riguardo a questo cambiamento. Come hanno potuto te-

nere nascosta una cosa del genere per tre anni?

Mi appoggiai allo schienale della mia poltrona.

– Ora hai capito perché non ti ho sentito bussare alla porta.

– Dove diavolo stava la polizia di Dallas quando hanno mo-

dificato il percorso all’ultimo minuto?

chiese.

– Davvero, dove stava?

ribadii.

 

il percorso


– E il Secret Service? E l’FBI?

– E l’amministrazione della città di Dallas,

Frank aggiunse.

– Non hanno anche loro un sindaco in quel dannato posto?

– Sì che ce l’hanno. Il sindaco, quando tutto ciò successe,

era Earle Cabell.

Schiacciai il bottone dell’interfono e arrivò la mia segreta-

ria, Sharon Herkes. Le chiesi di prendere un taxi, andare

alla biblioteca pubblica e cercare l’ultima edizione del

‘Who’s Who in the Southwest’.

– Sono sicuro che vi troverai Earle Cabell. Vedi se la voce

indica qualche collegamento con Washington.

– Con Washington?

chiese Frank.

 

il percorso


– Certo,

risposi.

– Non mi dirai che è possibile dirottare il presidente, col

mondo intero che assiste, senza una qualche forma di co-

operazione fra l’amministrazione cittadina e il governo

federale e i servizi segreti!

Frank agguantò la prima pagina del ‘Dallas Morning

News’ e indicò la mappa.

– Diavolo,

esplose,

– la commissione Warren era cieca? Non l’ha vista?

– Ah!

esclamai.

 

il percorso


– Ti piacerebbe vedere la prima pagina che è stata inviata

alla commissione Warren?

Aprii il cassetto centrale della mia scrivania e tirai fuori

una copia della prima pagina del ‘Dallas Morning News’

inviata come documentazione alla commissione. La pas-

sai a Frank e accesi la pipa.

– Che bastardi! Avevano eliminato il disegno del percorso

del corteo dalla prima pagina.

Era proprio così.

 

il percorso


Sui cinque sesti della pagina del ‘Dallas Morning News’,

dove doveva esserci la mappa del percorso del corteo, c’-

era soltanto un grande riquadro grigio scuro.

– E questa è stata stampata come documento ufficiale da

inviare alla Commissione Warren?

domandò.

Annuii.

– E come diavolo dovremmo chiamare una roba del gene-

re?

 

il percorso


chiese, sventolando quel foglio quasi bianco.

Diedi una o due aspirate alla pipa. Poi risposi:

– Questo è quello che tu chiami un colpo di stato!

Dopo un’ora o due, Sharon entrava dalla porta con una

grande fotocopia in mano.

– Non hanno niente sul sindaco Cabell nel Who’s Who,

mi riferì.

– Ma c’è un bel po’ di roba sul generale Charles Cabell.

Diedi un’occhiata all’articolo. Subito venni a sapere che

Charles Cabell era stato il vicedirettore della C.I.A..

Mi informai subito (circa questi due ospiti della compa-

gnia ed i loro segugi…) ….e VENNI A SAPERE CHE IL

GENERALE CHARLES CABELL ERA IL FRATELLO DI

EARLE CABELL,……ex sindaco di Dallas….

A questo punto……

(J. Garrison, JFK Sulle tracce degli assassini)



 

il percorso

J.F.K. (3)

Precedenti capitoli:

j f k &

j f k 2

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

Pagine di storia






Non sarà facile per gli storici paragonare John Kennedy ai

suoi predecessori e successori, poiché egli fu unico come

presidente: fu il primo ad essere eletto così giovane, il primo

di fede cattolica, il primo ad assumere la carica nell’era delle

grandi potenze nucleari, il primo a tendere letteralmente ver-

so la luna, il primo dell’epoca moderna a prevenire una nuo-

va recessione o l’inflazione in tempo di pace, il primo ad af-

fermare che ogni tipo di segregazione e di discriminazione

razziale dovesse essere abolito per legge, il primo a scontrar-

si coi nostri avversari in un potenziale confronto nucleare,

il primo a compiere un passo ufficiale verso il controllo del-

le armi nucleari, e il primo a morire così giovane.

Non fu il primo presidente a misurarsi con i colossi della si-

derurgia, né il primo a presentare al Senato un trattato di-

scusso, né il primo a rispondere alla sfida di uno stato con

forze federali, né il primo a cercar di riformare una branca

del governo pari per importanza alla presidenza.

Ma si può affermare che egli fu il primo a vincere tutte

queste battaglie.

In realtà, per tutta la sua vita, fino al novembre del 1963,

fu il vincitore.

In guerra diventò un eroe, in letteratura vinse un premio

Pulitzer, in politica raggiunse la presidenza. Il suo discor-

so inaugurale, sua moglie, i suoi bambini, la sua vita poli-

tica, la sua condotta delle crisi, tutto riflesse la sua ricerca

della perfezione.

La storia e i posteri dovranno giudicare.

Di solito essi riservano il manto della grandezza a coloro

che vinsero grandi guerre, non a coloro che le prevenirono.

Ma secondo il mio modo di vedere, che non può essere obi-

ettivo, sarà difficile misurare John Kennedy con un qualun-

que ordinario metro storico.

Egli fu un uomo straordinario, uno straordinario uomo po-

litico e uno straordinario presidente. Così come nessun gra-

fico può illustrare con esattezza l’avvento dell’atomo nella

storia delle armi così io credo che non si possa classificare

John Fitzgerald Kennedy in base a una scala di presidenti

buoni o cattivi.

Una mente così aliena dal timore, dai miti e dai pregiudizi,

così nemica dei luoghi comuni e dei clichés, così contraria

agli inganni, ad accettare o a riflettere la mediocrità, è rara

nel nostro mondo, e anche più rara nella politica americana.

La sua morte prematura e violenta influirà sul giudizio de-

gli storici, e vi è il pericolo che essa faccia della sua grandez-

za una leggenda. 

Benché anche da vivo fosse quasi una figura leggendaria,

Kennedy criticò sempre il mito. Sarebbe un ironico gioco del

destino se la tragedia di Dallas facesse ora un mito dell’uomo

mortale.

A mio giudizio, l’uomo fu più grande della sua leggenda.

La sua vita, non la sua morte, creò la sua grandezza.

Nel novembre del 1963 alcuni lo conobbero per la prima

volta. Altri capirono che lo avevano accettato con troppa

indifferenza.

Altri ancora si pentirono di averlo respinto.

In ogni caso egli fu un grande, e la sua grandezza appari-

rà sempre più chiaramente col passare degli anni.

(Theodore C. Sorensen, Kennedy)




 

kennedy.jpg

 

J.F.K. (2)

Precedente capitolo:

j f k

Prosegue in:

j f k 3 &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

Pagine di storia






Ma credo…..                                                        kennedy john.jpg

che la storia ricorderà

John Kennedy non solo

per quanto egli ha

compiuto, ma anche

per quello che ha

iniziato.

Le forze che egli

ha destate in questo

mondo saranno

avvertite per

generazioni.

L’esempio che

egli diede, agli

obiettivi che mostrò e gli uomini di valore che attrasse alla politica

e all’amministrazione dello stato influenzeranno la vita del nostro

paese per almeno un decennio.

Il popolo ricorderà non solo ciò che egli fece ma anche ciò che signi-

ficò, e anche questo può aiutare gli storici a giudicare la sua presi-

denza.

Egli significò la perfezione in un’era d’indifferenza, la speranza in

un’era di dubbio, l’anteposizione dell’interesse pubblico all’interes-

se privato, la riconciliazione fra Est ed Ovest, fra bianchi e neri,

fra manodopera e dirigenti.

Egli credette nell’uomo, e insegnò all’uomo a credere nel futuro.

Se i suoi sforzi furono ostacolati, questo fu essenzialmente dovuto

a un senso di sfiducia, al pensiero che le guerre, la recessione, la

povertà e i cattivi politicanti non si potevano evitare, e che tutti i

problemi del mondo erano troppo complessi per essere compresi

e risolti.

Penso che John Kennedy credesse che il suo compito di presiden-

te fosse quello di iniziare una nuova era di speranza: speranza in

una vita nella dignità e nell’uguaglianza, in un mondo in cui trion-

fassero la ragione e la pace e nel futuro …di tutti gli stati democra-

tici.

(Theodore C. Sorensen, Kennedy)




 

kennedy & king.jpg

J.F.K.

Prosegue in:

j f k 2 &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

Pagine di storia







Il 22 novembre il suo futuro si fuse col suo passato, e noi

non sapremo mai che cosa poteva accadere.

L’energia insita in lui, unita al dinamismo dei nostri tempi,

gli aveva promesso di compiere alla Casa Bianca in tre anni

una mole di lavoro superiore a quella che la maggior parte

degli uomini compie in ottanta, di vivere in 46 anni una vita

più piena di quella che la maggior parte degli uomini vive in

ottanta.

Ma questo non fa che rendere più grande la nostra perdita,

per quegli anni che gli furono negati.

Come lo giudicherà la storia?

E’ troppo presto per dirlo.

Io sono stato troppo vicino a lui per dirlo.

Ma la storia ricorderà certamente che le sue realizzazioni fu-

rono più grandi di quelle che ci si sarebbe potuto aspettare da

un uomo della sua età.

In una eloquente lettera al presidente Kennedy sugli esperi-

menti nucleari, il primo ministro Macmillan scrisse una volta:

“Non si rimpiangono le cose che non si sono compiute nella vi-

ta, me le occasioni che si sono perse”.

Si può affermare che John Kennedy perse pochissime occasio-

ni.

In meno di tre anni aprì una nuova era nelle relazioni russo-

americane, nelle relazioni coi paesi latino-americani, nella

politica fiscale ed economica e nell’esplorazione dello spazio.

La sua presidenza contribuì a lanciare il più lungo e solido

periodo di espansione economica e il più vasto e rapido pro-

gramma di difesa della nostra storia in tempo di pace, e ave-

va rinnovato e ampliato le funzioni del governo federale nei

settori dell’educazione superiore, delle malattie mentali, dei

diritti civili e della conservazione delle risorse umane e natu-

rali.

Alcune iniziative furono sensazionali, come quelle per la

crisi dei missili cubani, per il trattato per il bando degli espe-

rimenti nucleari, per il Peace Corps e per l’Alianza para el

progreso.

Alcune furono piccoli sforzi condotti giorno dopo giorno per

Berlino o per il Sud-Est asiatico, su cui non si poté registrare

nessun vero progresso, per l’integrazione nelle scuole o per i

parchi nazionali. 

Altre ebbero semplicemente lo scopo di mantenere le nostre

posizioni, e nessuna nazione scivolò nell’orbita comunista,

nessuna guerra nucleare abbatté la rovina sul mondo, nessu-

na recessione intralciò la nostra economia. Ma in genere Ken-

nedy non si accontentò di mantenere le nostre posizioni.

I suoi sforzi furono intesi ad apportare mutamenti nel nostro

paese, ad avviarlo in nuove direzioni e a farlo procedere sem-

pre più.

‘Credeva’, disse sua moglie ‘che ogni singolo uomo avesse un’-

importanza fondamentale, e che ogni uomo dovesse agire’.

Egli lasciò alla nazione tutta una corrente di premesse basila-

ri: sulla libertà immediata, anziché futura, per i negri d’Ame-

rica, sull’estinzione, anziché sulla – vittoria – della guerra fred-

da, sull’inammissibilità, anziché sull’inevitabilità, della guerra,

sulla lotta contro la povertà nei periodi di prosperità, sul com-

mercio, sui trasporti e su una quantità di altre questioni.

Il 22 novembre molti di questi problemi non erano stati ancora

risolti e i progetti non erano stati portati a termine. 

La sua opera desterà l’ammirazione degli storici della prossi-

ma generazione, ma solo se questa generazione ne saprà trarre

il massimo profitto.

(Theodore C. Sorensen, Kennedy)




 

jfk

 

IL GIORNO PRIMA (con rima allegata della trota pescata)

Capitolo precedente

un paio di giorni prima

Prosegue in:

( la bestia feroce

  si raccontò poi

  processi comunali

  il segugio meccanico)

Perfetti…(in):

eresia e ortodossia

gli eterodossi 2

eresia e ortodossia 3

Da:

Frammenti in rima


 

il giorno prima



Il gatto bracca la rima…

come fosse una trota impazzita…

(onesta creanza

nella materia che avanza…)            

e il lupo fin qui taciuto

guarda a distanza 

l’amico caduto….

E’ lui il perfetto 

compiuto

di un Dio 

giammai nominato….

nell’eterno loro peccato….

 


La Favola della Repubblica.pdf







Il piano aveva a                                     oswaldevidence.jpg

suo favore una

cosa che le

sottigliezze di

Win Everett non

avrebbero potuto

procurare.

La fortuna.

T-Jay guardò

Oswald togliere

l’insalata dal

pane e mangiarla

separatamente.

– Una volta che sei

sulla strada,

allontanati in fretta dalla zona.

Jefferson Boulevard, non lontano dalla casa dove abiti.

Vai a West Jefferson, dal lato nord della strada, numero

231.

E’ un cinema con una facciata in stile spagnolo.

Sarà aperto.

Aprono alle 12 e 45.

Entra, prendi un posto e guarda il film. 

E’ bello, non dimenticarlo…

Ti porteranno a Galveston al calar della notte e fuori

del paese per l’alba.

Mackey accartocciò la carta del sandwich e la buttò fuori

dal finestrino.

Prese dalla tasca quattro cartucce. Le agitò nella mano

chiusa a pugno e poi le lasciò cadere nel sacchetto della

colazione di Oswald.

– Pulisci il fucile, ricordi, quello di fabbricazione italiana…

– Non credo, in ogni modo, che avrai bisogno di più di quat-

tro proiettili.

– Non ce ne sarà tempo.

– Fai affidamento sulle tue mani.

– Ho manovrato l’otturatore migliaia di volte.

– Come si chiama la bambina? Lì in quel deposito, parla

ed è colma di ansia come un vulcano…

– Mia moglie l’ha chiamata Audrey, come Audrey Hepburn

in Guerra e Pace. Tolstoj. Comunque il suo secondo nome è

Rachel.

La chiamano Rachel.

– Ti piacerà moltissimo quest’operazione,

disse T-Jay.

Osservò Oswald uscire dal vicolo, immettersi nella Griffin

Street e poi dirigersi a sudovest, di ritorno al lavoro. Era a-

gitato, avrebbe voluto urlare… gridare… sparare…

….. E noi questo glielo stavamo insegnando…..

La cosa principale è Kennedy morto.

La seconda cosa è Oswald morto.

Una volta che le simpatie di sinistra di Oswald verranno

fuori, le autorità concluderanno, vorranno concludere,

che agenti di Castro lo hanno reclutato, usato, ucciso.

Guy Banister avrebbe messo in guardia l’FBI sullo pseu-

donimo Hidell.

David Ferrie avrebbe trascorso una notte solitaria a Galve-

ston.

Jack Ruby avrebbe continuato con il suo locale, le sue cele-

brità, finché non gli mettemmo una pistola in mano…

(Don Delillo, Libra)




oswald1.jpg

   

UN PAIO DI GIORNI PRIMA (con rima allegata della trota pescata)

Prosegue in:

il giorno prima


….La rima (che mai si dica a chi per mestiere

sparge ortica antica sulla nostra eresia…)


La Favola della Repubblica.pdf








Giovedì T.J. Mackey                                                         attentat.jpg 

era davanti al Country

Records Building.

Attraversò la strada

in direzione del

prato triangolare

fra la Main e la

Elm. Guardò verso

i binari della

ferrovia sopra il

sottopassaggio.

Poi attraversò

lentamente la Elm

e rimase sul prato

inclinato davanti al colonnato.

Si incamminò in direzione della staccionata che delimitava

il parcheggio. Si rivolse verso la Elm. Ritornò indietro verso

l’indicazione per la Stemmons Freeway. Auto, dappertutto,

sfreccianti.

Guardò il cielo e si asciugò la bocca.

Più tardi era seduto in una Ford scura in prossimità del centro

a scartare un sandwich.

Quella era una zona di vecchi depositi, coi binari del treno in

parte ricoperti dal lastricato, e pareti che mostravano mattoni

e malta resi visibili dalla demolizione delle strutture adiacenti.

Tutti gli spazi sfruttabili erano stati riservati al parcheggio – vi-

coli, aree polverose, vecchie zone di carico.

Era mezzogiorno e c’era un profondo silenzio, un distacco che

Mackey considerò strano, a un isolato e mezzo dalla folla e dal

traffico.

Osservò Oswald avvicinarsi con indecisione.

Era certo che Oswald volesse essere il killer solitario.

Le cose vanno così con i solitari, con quegli uomini che fanno

eternamente dei progetti in vista di un momento esclusivo.

Abbastanza facile da farglielo credere.

Tuttavia doveva anche assicurarsi che Oswald non avrebbe

fatto fuoco finché la limousine non si fosse allontanata da lui

in direzione del sottopassaggio.

T-Jay voleva un fuoco                                               jfk3.jpg

incrociato.

Se Oswald fa cilecca, il suo

secondo cecchino si trova 

in prima posizione; avrà 

l’auto quasi di fronte.

T-Jay non faceva

assegnamento sul colpo

di Oswald. Era lui il ragazzo

che aveva mancato il generale

Walker da una distanza di

37 metri – un uomo fermo,

in una stanza bene illuminata.

Inoltre il Mannlicher è una arma vecchia, rudimentale

e incerta. Se spara e fa cilecca mentre l’auto si trova an-

cora sulla Houston Street, diretta verso di lui, senza un

campo visivo libero per il secondo killer, allora ce ne

andremo tutti con un pugno di mosche in mano.

Come tiratore, Oswald era superfluo, era essenzialmen-

te una riserva. Il suo ruolo era quello di fornire prodotti

di interesse storico, un’arma rintracciabile, tutti i ritagli

e la miniera di notizie della sua carriera cubana.

T-Jay vide che aveva individuato l’auto, piegando leg-

germente la testa.

Si avvicinò ed entrò, portando con sé un sandwich e

una busta di latte da un quarto di litro.

– Come sta la nuova bambina?

– Bene. Sta benissimo.

– Verrà verso di te lungo la strada,                                         jfk2.jpg

girando per uscire dalla Main e

procedendo nella tua direzione

lungo la Houston, disse T-Jay.

– Non lo prenderai allora.

Non sarà quello il momento.

E’ un colpo facile, il più

facile che si possa pretendere,

ma staranno guardando proprio

verso di te. Ci sarà un’auto

pilota, circa 15 poliziotti sulle

moto, ci sarà un’auto del

servizio segreto con otto

uomini, di cui quattro fuori

sui predellini. Saranno

tutti raggruppati                                   kennedy1_1116744i.jpg

intorno alla

limousine del

presidente  

e guarderanno

nella tua

direzione.

Una volta cessata

la detonazione,

sapranno con esattezza 

da dove è venuto

lo sparo.

Quell’edificio verrà inondato dalla polizia.

E’ un consiglio che ti dò.

Non posso essere troppo enfatico.

Aspetta.

Aspetta finché non girano sulla Elm e si dirigono verso il

sottopassaggio e la Freeway.

Non è un colpo difficile.

Miri alla massa, alla zona centrale del suo corpo o a qua-

lunque parte visibile attraverso il cannocchiale. 

Aspetta.

Aspetta che si allontani da te verso la Elm. 

Poi aspetti che abbia superato la quercia. 

Deve oltrepassare quell’albero.

Calcolerai il primo sparo a meno di sessanta metri. 

Dopo di ciò, dipende dalla velocità di reazione dell’au-

tista.

Immagino che la detonazione rimbomberà nel sotto-

passaggio.

Non saranno sicuri della sua provenienza. 

In quel momento sarai dietro di loro e quindi sarà più

difficile individuarti.

Guadagnerai dei secondi extra. Forse dieci secondi sup-

plementari per scendere giù.

Potrebbero determinare la differenza. 

Aspetta.

Assicurati di aspettare. Non farti neanche vedere a quel-

la finestra finché l’auto non raggiunge la quercia. Poi a-

spetta che abbia superato l’albero. 

(Don Delillo, Libra)




theoswalds.jpg