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Zingara di un Rozzo recitata da un contadino
in ottava rima.
Canzona
Zingar siamo sfortunati
che patiamo affanni e stento,
sempre stiamo all’acqua e ‘l vento
e per tutto siam scacciati,
zingar siamo sfortunati.
Non avià casa né tetto,
né villaggi né contrade;
paglia e fieno è ‘l nostro letto,
acqua e pan per povertade,
regn’ in noi poca bontade
questo ci è maggior dispetto;
di far mal aviam diletto
ma siam spesso castigati,
zingar siamo sventurati.
Il villano comincia.
Chi fece il Cielo, e ‘l mondo tutto quanto
salvi e mantenga la nostra sciellentia
e la faccia salir di grado tanto
quant’è maggior d’ognun nostra prudenza
che d’ingegno et valor portate il vanto
Signor benignio e Padre di crementia,
governatore e general pregiato
ch’ illustre sete a sì felice stato.
Voi siate tutti quanti e ben trovati
uomini, donne, citole e garzoni
e anco tutti chiesti innamorati
stien sempre in feste in canti balli e suoni,
e certi ch’ al dir mal sono sempre usati
gli sie cotte le lengue in su’ carboni
certe lenguacce che filan capechio
siegli ogni sempre bruciato il parechio.
So’ de Rozzi Strillozzo da Scanzano
che vo’ cercando il mondo in ogni parte
so’ fatto delli zincari capitano
per far girar mia fama in mille carte,
e perché il lagorar mi pare strano
io vo’ provar un poco a far chest’arte
potrò con loro furar alla sicura
senza aver delle scope paura.
Or sì ch’io sguazzo com’un beraiuolo
et ho sempre un biancon nel mio borsello
posso far ora il furbo e ‘l mariolo
tagliar le borse quand’io veggo il bello
ma chest’arte so ch’io non so’ solo
ch’apro le casse senza grimaldello
e perché io non vo’ far tante ruine
lasso i pollai e furo le galline.
E se venir con noi donne volete
v’insegnaremo a far nostri lagori
a furbachiar le genti impararete
e certi incanti da trovar tesori
e poi all’altre insegnar potarete
cose da far corsire gli amadori
e insegniaremvi per maggior contento
a fare a che gli è fuore, a che è dentro.
Noi andarem, potta di guinci, a valle
per case come le golpi e faine,
furarem porci, troie, asine, cavalle,
votiarem forni e scassarem cantine;
e quand’arem po’ ben carche le spalle
darem gambe per cheste colline
scorrendo sempre, acciò che ognun tarpi,
a Mirandola il dì, la notte a Carpi.
Or se venir con noi pigliate cura,
farete delle nostre mascalcie,
potrete dar a gli uomini la ventura
e far incanti, fatture e malie;
ladroncelle voi sete di natura
avvezze a gabbar altri e dir bugie
ch’embroglierete altrui per parer belle
e votiarete a gli uomini le scarselle.
(Biblioteca comunale degli Intronati, Siena, Raccolta di diverse
rime delli più dotti Rozzi)