GLI ALBERI SON SPOGLI

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La trovo giù dalle scale, mezzo                           98iuj89.jpg

addormentata in una poltrona,

che guarda il ‘terzo uomo’.

Ha le gambe raccolte sotto

il suo bel sedere; un sedere

davvero notevole che non

manca mai di procurarmi un

fremito.

Le faccio scivolare la mano

attorno alla vita.

Lei dice ‘Ciao tesoro’ con

voce un po’ sognante da

bambina. Mi siedo sul

bracciolo della poltrona e le accarezzo i capelli ossigenati.

– Non è bello questo film?

dice mentre guarda la scena fnale in bianco e nero in cui Joseph

Cotten supera Ingrid Bergman sulla lunga strada di campagna e

poi scende dalla jeep e l’aspetta.

– Guarda quelle foglie finte che cadono in primo piano’

dico io. – Mi viene spontaneo.

– Gli alberi sono spogli ma in primo piano ci sono delle foglie che

cadono.

Lei fa un mormorio di assenso e io mi sento un idiota ad ever rotto

l’incantesimo emotivo del film con un banale commento intellettuale.

Ingrid Bergman continua a camminare verso la macchina da presa

con lo stesso passo regolare. Ha una gran camminata, piena di forza

femminile, alta, eretta e composta. Joseph Cotten si accende una

sigaretta e attende.

C’è un che di arrogante in quella sua attesa, un che di tipicamente

maschile. Le foglie continuano a cadere in primo piano, proprio da-

vanti all’obiettivo. Mi metto a pensare a quella parte della regia che

non si vede.

Gli attrezzisti appollaiati in cima alle scale accanto alla macchina

che lanciano foglie autunnali in modo che cadano dove devono

cadere. La macchina del vento. Qualcuno che ne regola la forza.

Mi perdo in queste considerazioni. Nessun coinvolgimento col

filo narrativo e nessuna empatia con i personaggi.

Lei l’ha guardato dall’inizio, sonnecchiando di tanto in tanto.

Ingrid Bergman si avvicina e oltrepassa Joseph Cotten senza de-

gnarlo di un’occhiata.

Passa accanto alla macchina da presa, senza rallentare né accellerare,

e scompare lasciandolo lì con la sigaretta.

La sua arroganza svanisce.

La segue con lo sguardo.

Nei suoi occhi si legge un senso di perdita         

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e di desiderio; quegli

occhi da segugio che

sembrano non avere mai

avuto tutto il sonno di

cui hanno bisogno.

A un tratto mi trovo

dentro il film senza

nemmeno sapere che

cosa mi ha sedotto.

Sono esattamente là

dove mi vuole il regista.

Mi faccio intenerire dalla

musica struggente della cetra.

Mi convinco che le foglie cadenti sono vere.

Compio l’impossibile salto emotivo e supero il divario fra uomini

e donne. Sono contento di essere qui con la persona che amo, di

accarezzarle i capelli biondi tinti.

Scorrono i titoli di coda.

– Perché Ingrid Bergman non si è fermata quando ha visto lui che

l’aspettava? Si capiva benissimo che la stava aspettando,

le chiedo.

– Quella non era Ingrid Bergman,

dice lei.

– No? Sembrava proprio lei.

– E chi era allora?

– Qualcuno che assomiglia molto a Ingrid Bergman.

– Ma non era lei?

– No, non era lei.

– Sei sicura?

– Assolutamente.

– Beh, ma perché non si è fermata?

– Penso perché ce l’aveva con lui.

– Per cosa?

– Per la morte di Orson Welles.

– Ah.

– Ti ricordi.

– Sì

mento.

Non mi ricordo niente a parte una scena di inseguimento nelle

fogne di Parigi. Era Parigi?

– Non ti ricordi? L’avevano incastrato. IL VACCINO, SAI?

– Ah, sì,  

mento ancora.

– Tutti quei bambini che morivano per il finto vaccino?

– Certo.

– Beh, sono sfinita. Vado a letto. Chiudi tu qui?

dice.

– Va bene,  

dico io.

Esce dalla stanza sbadigliando e stirandosi.

Schiaccio un tasto del telecomando e la TV si oscura con un ronzio.

La seguo con gli occhi.

Dietro il grande bow-window un lampo rischiara il cielo.

Vedo il fiume illuminato a giorno. Il tuono si allontana nella vallata.

Si sente odore di pioggia e di pesce.

I cani grattano alla porta.

Quando si tratta di tuoni sono tutti codardi.

Quanto tempo è passato dalla prima volta che l’ho baciata e chi fingevo

di essere allora?

(Sam Shepard, Il grande sogno)







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