IL ROSSO E IL NERO 2

Da paginedistoria.myblog.it

 

E’ un sistema ben congegnato.                                                   

Lo hanno creato senza fretta, in decine d’anni.

Lo hanno creato uomini ben pasciuti, ben equipaggiati,

che sanno che pensare. Nei giorni dispari la scorta di

Kinesma deve accogliere alle17.00 alla Stazione Nord di

Mosca i convogli dei cellulari provenienti dalle prigioni di

Butyrki, di Presnja, di Taganka. Nei giorni pari la scorta di 

Ivanovo deve giungere alle sei del mattino alla stazione, far

scendere e tenere in custodia chi cambia treno diretto a Nerechta,

Bezeck, Bologoe. Tutto questo avviene accanto a voi, gomito a

gomito, ma voi non lo vedete (potete anche chiudere gli occhi).        

Nelle grandi stazioni il carico e lo scarico dei sudicioni lontano

dalle pensiline dei passeggeri, li vedono solo i ferrovieri.

Anche nelle stazioni più piccole viene prescelto un remoto vicolo

fra due depositi, il cellulare vi giunge a marcia indietro, il 

predellino poggiato contro la scaletta del carro-detenuti.

Il detenuto non ha il tempo di voltarsi a guardare la stazione,

voi, il treno, riesce solo a scorgere i gradini, mentre i soldati

di scorta allineati lungo lo stretto passaggio fra cellulare e       

cellulare ringhiano, incitano: – Presto! Presto! Dai!…

E, magari, agitano le baionette.

Voi che vi affrettate lungo i binari con bambini, valigie e borse,

non avete il tempo di osservare come mai hanno attaccato un 

secondo bagagliaio al treno. Non vi è scritto nulla, assomiglia

molto a un carro-bagagli : le stesse sbarre trasversali, la stessa 

oscurità dietro a queste. 

Tuttavia, chissà perché, vi viaggiano soldati della patria, e alle 

fermate un paio di essi, fischiettando , camminano ai due lati,     

sbirciano sotto il vagone.

Il treno si muoverà e cento destini di detenuti pigiati lì dentro,

cento cuori tormentati sfrecceranno lungo le stesse serpeggianti      

rotaie, dietro allo stesso fumacchio, lungo, gli stessi campi, pali

e pagliai, forse qualche secondo avanti a voi, ma di là dai vetri

del vostro sportello rimarrà nell’aria meno traccia del dolore 

balenato di quanto ne lascino le dita sull’acqua.  

(A. Solzenicyn, Arcipelago Gulag) 

  

kljmnhg.jpg

    

IL ROSSO E IL NERO

Dimentichiamo tutto.                                   

Ricordiamo, non i fatti, non la storia, ma soltanto quei punti   hjhnbhfg.jpg

stampigliati che ci hanno voluto imprimere nella memoria

mediante un incessante martellamento.

Non so se sia proprio a tutta l’umanità, ma è certamente un tratto

del nostro popolo.

Un tratto sgradevole.

Forse è dovuto a bontà, ma ciò non toglie che è sgradevole.

Ci rende facile preda di mentitori.

Così se non vogliono che ricordiamo i processi pubblici, noi non jkhnbmhj.jpg

li ricordiamo.Venivano celebrati ad alta voce …..  

Le migliaia di isole del fatato Arcipelago sono disseminate

 dallo stretto di Bering fino

quasi al bosforo.

Sono invisibili, ma esistono, e occorre trasferire

altrettanto  invisibilmente, ma di continuo, da isola a isola,

invisibili schiavi che hanno un corpo, un volume e un peso.                  lkjhnbhjg.jpg

Come trasportarli, attraverso che cosa?

Esistono a tale scopo grandi porti, le prigioni di transito, e

porti più piccoli, i lager di transito.

Esistono a tale scopo navi d’acciaio chiuse (come enormi città),

i carri detenuti.                                                                              

Agli attracchi, invece di

scialuppe e motoscafi, le accolgono i cellulari, anch’essi

d’acciaio, anch’essi chiusi e ben studiati.                                          ujmnjhgft.gif       

I carri detenuti viaggiano secondo gli orari prestabiliti.

All’occorrenza si spediscono da porto a porto, lungo le 

diagonali dell’Arcipelago, interi convogli di carri bestiame 

rossi. 

( A. Solzenicyn, Arcipelago Gulag )

                                     

                                                           

I
lkmnjhgy.jpg

IL VERBALE 4

paginedistoria.myblog.it

 

E soprattutto il signor Momus nella sua veste di funzionario non

vi potrà mai fare la minima allusione.

Per lui si tratta soltanto, come ha già detto, di una relazione, in

ossequio alla regola, sugli avvenimenti di oggi ; egli non dirà di

più anche se lei lo interroga subito a proposito delle mie parole.

– Signor segretario, chiese K., – Klamm leggerà quel verbale?

– No, rispose Momus, a che scopo?

Klamm non può leggere tutti i verbali, anzi non ne legge mai 

nessuno.

– Lasciatemi in pace coi vostri verbali!, dice sempre.

– Signor agrimensore, si lamentò l’ostessa, -lei mi sfinisce con le

sue domande. E’ forse necessario, o soltanto desiderabile, che 

Klaus legga questo verbale e sia informato di tutte le futilità della

sua vita? Non farebbe meglio, lei, a pregare a mani giunte che si

nascondesse a Klamm quel rapporto, preghiera che d’altronde sarebbe

stolta quanto la prima- chi potrebbe nascondere qualcosa a Klamm?

– ma che rivelerebbe in lei qualche tratto più simpatico?

E poi è necessario, per quel che lei chiama la sua speranza, che Klamm

legga il verbale? Non ha dichiarato lei spesso che si acconteterebbe di 

poter parlare davanti a Klamm, anche se lui non la guardasse nè

l’ascoltasse? E grazie al verbale lei non ottiene almeno questo, e 

forse molto di più?

– Molto di più? chiese K., e in che modo?

– Lei è come un bambino bisogna spiegarle tutto per filo e per segno.

Chi può rispondere a una domanda simile?

Il verbale sarà passato agli archivi di Klamm e, gliel’hanno detto or 

ora, altro con sicurezza non si può affermare.

Ma lei, capiscel’importanza del verbale, e del signor segretario, e 

degli archivi del villaggio?

Sa cosa significa esser interrogato dal signor segretario?

Forse, anzi probabilmente, non lo sa neanche lui stesso.

Se ne sta lì, seduto tranquillo, e compie il suo dovere, per la regola,

 come ha detto.

(F. Kafka, Il Castello)

ujhnbhg.jpg