LA MUMMIA

Da  http://pietroautier.myblog.it

      http://giulianolazzari.myblog.it

      lazzari.myblog.it

 

Il sangue mi dice, bisogna che io ascolti il mio sangue, usa dire questo

lottatore pur così lucido.

“E’ inutile, io sono come le bestie: sento il tempo che viene.

Se dò retta al mio istinto, non sbaglio mai”.

Più tardi, un maestro di altro calibro, Vilfredo Pareto, dalla cattedra

dell’Università di Losanna gli confermò il valore ” della somma degli

imponderabili” anche quando si tratta di discipline scientifiche, basate

sugli uomini, attingono la bestia e sfiorano Iddio.

Difatti, agli imponderabili egli fa la parte larga, nel prevedere gli

avvenimenti; e forse per questo sbaglia di rado, la sola logica non basta

a tanto, la fantasia devia e travia, occorre la immaginazione creatrice,

propria degli artisti.

L’uomo che prepara e prevede l’azione per via di ragionamenti

serrati, e al momento di oltrepassarne la soglia chiude gli occhi e si

abbandona dai fondi oscuri, non è solo un tattico ma uno stratega,

è un uomo di Stato singolarmente vigile, singolarmente intuitivo.

Una notte, nella quiete della sua alta casa dove i rumori di Roma

giungono come confusa marea, il Presidente si divorava le sue

consuete dozzine di giornali di ogni paese.

Il Times, e le altre gazzette di giornali di ogni paese.

Il Times e le altre gazzette d’Inghilterra e d’America riboccavano

allora di fotografie e notizie su re Tutankhamen e la vana lotta di

Lord Carnarvon contro le esoteriche maledizioni egiziane.

A un tratto, il condottiero balzò al telefono chiamò, tempestò una fila

d’ordini secchi e concitati.

La mummia, fresca, scavata dalla tomba mille e donatagli poche

settimane prima, gli grandeggiava innanzi, nelle sottili bende e nelle

dipinte casse che la ospitavano, laggiù in un angolo del salone della

Vittoria, fra gli arazzi di Palazzo Chigi, accanto al suo monumentale

tavolo di lavoro.

Telefonò al tocco, ritelefonò alle due, di dieci in dieci minuti, per

assicurarsi che venissero subito eseguiti gli ordini.

Gran trambusto, nel placido mondo burocratico degli uscieri e

custodi dei ministri di Roma impassibile, dove il tempo ha un valore

orientale e storico: chi se ne incarica? Ma l’ombra di Benito era terrorizzante,

specie in quei primi mesi del 923, per molte leggende e una parte di storia.

Non era stato lui a inaugurar l’uso del registro, che alle 8,30 viene

ritirato con le firme dei presenti all’ufficio, per cominciar a distinguere

gli “IMBECILLI” che si sacrificano a mandar avanti la macchina burocratica,

dai furbi che la sfruttano?

E un mattino alle 10, si narrava, dopo una firma di presenza, il commendatore

X, scendendo le scale del suo ministero, lucido di pancetta e di soddisfazione,

aveva incontrato un giovane che saliva.

– Lei che fa, ad andarsene dall’ufficio appena venuto?

– E lei che centra? Pensi agli affari suoi.

– Centro proprio, e son Mussolini (in bianco camice) non si vede? Fili al mio 

gabinetto a spiegarsi; e si vergogni!

Perciò ai ministeri si rassegnarono a ubbidire.

E alle 3 di quella notte, sacra ai faraonici mani, il furgonr, requisito in

fretta ai depositi del ministero della Guerra, si fermava alla porta di

uno dei musei etnografici di Roma. 

Come in un cattivo romanzo d’appandice, tinnivano campanelli,

accorrevano guardiani, si svegliavano custodi e ispettori.

– Ordine di ricoverare questa mummia, di urgenza, al sicuro e subito.

Gli egizii tenevano il teschio al banchetto, come mònito all’alacre gioia,

contro la vana tristezza, e contro l’orgia bestiale, simili entrambe

alla morte.

Ma chi, non gaudente né asceta, non scettico né trappista, opera nello

spazio pel tempo, non può venir turbato da sottili, maligne influenze

dall’al di là; né dal macabro simbolo della breve vita e della fatica inutile.

E dall’inutil strombazzar di un imbecille…e la sua mummia!

(Margherita Sarfatti)

iujhnb.jpg

      

 

UN REO DE MUERTE 2

Da http://giulianolazzari.myblog.it

    http://pietroautier.myblog.it

    http://storiadiuneretico.myblog.it

    paginedistoria.myblog.it

 

Un re sulla scena, quando va a letto, depone lo scettro e la

corona, mentre nel mondo chi la possiede ci dorme, e un’infinità

di quelli che non la posseggono la sognano.

Sulle tavole del palcoscenico si può fischiare il tiranno; nel mondo 

bisogna sopportarlo.

Lì lo si va a vedere come una cosa insolita, come una belva che 

viene mostrata per denaro; nella società ogni preoccupazione è

un re, ogni uomo un tiranno, e della sua catena non ci si può 

liberare. 

Ogni individuo si tramuta in un suo anello; ciascuno degli uomini

è una catena per l’altro.

Da questi due teatri, l’uno peggiore dell’altro, tuttavia, venne a 

sloggiarmi una farsa che invase tutto: la politica.

Chi avrebbe ancora letto un lieve schizzo dei nostri costumi,

tracciato forse in maniera tenue e maldestra, quando si stavano 

delineando sulla grande tela della politica scene, se non migliori,

di interesse certamente più immediato e concreto?

Risuonò il primo archibugio della fazione, e tutti volgemmo la testa

da dove veniva. 

In questa nuova rappresentazione, simile fantasmagoria di Mantilla,

dove si comincia col vedere una strega, dalla quale ne nasce un’altra

e un’altra ancora, ‘fino a moltiplicarsi all’infinito’, vedemmo prima un 

fazioso, e poi ‘un altro fazioso’, e poi dietro di lui l’affollarsi di faziosi

sul palcoscenico.

Lanciatomi sul mio nuovo terreno, impugnai la penna contro le pallottole

e, rivolgendomi all’una e all’altra parte fronteggiai due nemici: il fazioso

esterno e il ‘giusto mezzo’, l’intera meschinità.

Sforzi ben deboli!

Il mostro della politica era gravido e partorì ciò che aveva mal concepito;

ma di seguito dovevano venire i suoi fratelli minori, e uno di quelli,

novello Giove, era destinato a soppiantare suo padre.

( Mariano José De Larra, Un condannato a morte, Colonnese ed.)    

    

uyjhnmjkh.jpg