SONO MORTO! MAMMA MIA! (3)

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Faccio, quindi, aprire di nuovo il fuoco con le mitragliatrici.

Il terreno davanti a noi viene battuto metro per metro.

Il sudore stilla da tutti i miei pori, i denti battano come se avessi una febbre

da cavallo.

Ci vuole del tempo prima che riesca a trovare la forza di risalire nell’osservatorio.

La nebbia si dirada a poco a poco.

Sul pendio davanti al forte si aggira un cappellano militare.

Egli va da un caduto all’altro.

Dalla foresta escono soldati della Sanità con le barelle.

Anche i nostri vanno a raccogliere i feriti e dopo lunghe ricerche trovano l’uomo

la cui voce io udrò fino all’ultimo giorno della vita.

Egli giace in una buca, mezzo sepolto sotto un mucchio di terra, di fili di ferro e

di paletti.

La pallottola di shrapnel gli è entrata nel cranio, la sua mano destra è ridotta a 

brandelli.

Sull’orrenda ferita al capo il sangue coagulato forma una enorme macchia nera.

I suoi occhi sono semispenti e dalle labbra esce un rantolo fioco.

Quattro uomini riescono a stento a trasportare l’italiano nel fortino.

Il primo assalto è stato respinto.

Esso fu sferrato quasi esclusivamente dagli alpini del battaglione Bassano ed era

diretto contro il settore compreso tra il forte di Cima Vezzena e Verle.

Lungo il pendio, gl’italiani riuscirono a penetrare in uno dei punti di appoggio non

occupati da noi.

Ne vennero però ricacciati poco dopo.

Più tardi, vi trovammo abbandonati numerosi strumenti musicali: gli alpini erano

venuti all’attacco al suono di una delle loro canzoni……

Santo Dio sono musicisti…..!

(Fritz Weber, Tappe della disfatta in 1915/18 La guerra sugli Alti-piani)

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SONO MORTO! MAMMA MIA! (2)

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Un attendente mi porta del caffè, che bevo con voluttà.

Il liquido ci scuote e ci scalda, poiché anche se i nostri corpi sono 

madidi di sudore, abbiamo freddo.

L’entusiasmo è svanito e rimane solo un senso di raccapriccio.

Rimarrà sempre.

Albeggia e, di nuovo, squilla l’allarme. Sleghiamo le membra dal sonno e saliamo

di corsa su per le scalette di ferro, avvicinandoci alle feritoie. 

Una fitta cortina di nebbia nasconde quasi tutta la linea degli sbarramenti, ma gli

spari si susseguono senza interruzione.

Gl’italiani sono di nuovo sotto i reticolati.

Una mitragliatrice entra in azione, seguita subito da una seconda.

Delle urla fanno loro eco, ma non è possibile vedere nulla.

Il nemico si trova nella zona esterna e lavora con le tenaglie a tagliare i fili dei reticolati.

Alcuni ‘Kaiserschutzen’ sopraggiungono dal fortino, dopo avere attraversato l’antifosso.

Trasportano mazzi di bombe a mano.

Ognuno ne prende un paio e incominciamo il lancio.

Adesso, i primi italiani emergono dalla nebbia.

Sono alpini.

Si fermano incerti nella zona battuta, quando li coglie una nuova valanga di piombo

e ferro. 

Qualcuno grida non so che cosa, fa dei gesti, cade a terra colpito. 

Un’altro si piega in due e cade sui reticolati, tenendo sempre in mano il fucile.

Un’intera fila è falciata dalle mitragliatrici.

Stramazzano, tenendo ancora strette in pugno le lunghe tenaglie.

– SONO MORTO….SONO MOORTO, MAMMA MIA.

Non c’è dubbio: è la stessa voce di questa notte.

Anche il secondo uragano di fuoco non è riusciuto a soffocarla.

Con una energia sovrumana essa urla il suo strazio, come se esprimesse quello di

milioni di anime.

Questo sorpassa, però, quello che un principiante può sopportare.

(Fritz Weber, Tappe della disfatta, in 1915/18 La guerra sugli Alti-piani)

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SONO MORTO! MAMMA MIA!

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Il fuoco cessa a poco a poco.

Ed ecco una voce, due voci, tre, cento, lacerare l’oscurità.

Voci di dolore, voci terrorizzate, voci strazianti.

Alcuni shrapnels spengono rapidamente l’agonia dei moribondi.

Una voce sola non si spegne. Essa proviene dai nostri reticolati.

Le mine devono aver fatto compiere allo sciagurato un volo di una ventina di metri.

– Sono morto, grida un ferito.

– Mamma mia!

Uno sharapnel copre per un attimo, col suo scoppio, le parole dolorose.

La voce tace, l’infelice è stato certo colpito e quel po’ di vita che gli rimaneva

se n’è andato.

Una liberazione.

Ormai attaccato ai reticolati, c’è soltanto un cadavere.

Il cielo sia ringraziato!

Ma la voce si leva di nuovo, più forte, più straziante di prima:

– SONO MORTO! MAMMA MIA!

– Scovatelo, scovatelo, per Dio! Non si può resistere.

– Cercatelo tra i paletti di ferro o in quella buca, laggiù.

Due uomini avanzano nell’antifosso. Ci domandano dove possa essere l’italiano.

Sono tirolesi

– Deve trovarsi a sinistra, più a sinistra! rispondiamo.

Sotto la luce dei razzi, i due soldati si gettano a terra e cercano di giungere, carponi,

sotto i reticolati. Ma dopo pochi minuti, ci gridano qualcosa che non riusciamo a

comprendere e tornano indietro.

Adesso il poveretto tace.

Questa volta non vi è più dubbio che sia morto.

Rimango, tuttavia, ancora in ascolto per un certo tempo, mentre il fuoco si smorza

quasi del tutto. Quindi rientro nel forte.

(M.R. Stern, 1915-18 La guerra sugli Alti-piani)

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