INTANTO IN GERMANIA…LA FARSA DIVENTA DELIRIO

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” Noi siamo contrari a un matrimonio postumo. Anche se Betty rinunciasse a ogni

pretesa sull’eredità di Willy, noi continueremmo a trovare estremamente singolare

un matrimonio postumo con nostro figlio, deceduto 15 mesi fa. Giacché celebrare un

matrimonio con una persona morta da così tanto tempo sarebbe un’azione inaudita e

anche un atto contrario alla pietà. Vi troveremmo una mancanza di tatto e tutto ciò

offende i nostri sentimenti. In fin dei conti, un matrimonio è una cosa sacra, attraverso

la quale due persone si scambiano una promessa di eterna vita comune”.

Questo caso sopra riportato sembra confermare l’opinione popolare, ampiamente

riflessa nel rapporto del SD, secondo cui il matrimonio postumo lascia il campo libero

all’avidità delle giovani nubili che, incuranti delle sofferenze del popolo e dell’onore,

desiderano ‘godere della pensione di vedova e dell’eredità del morto’.

Lo stato esita, tuttavia, a scontentare la fetta di opinione pubblica femminile da cui

dipendono a un tempo l’industria degli armamenti e, a più lungo termine, il futuro

biologico del popolo.

Per meglio conservare il suo ruolo di arbitrio tra le famiglie, il REICH si pone nel ruolo

del defunto e si autodesigna esecutore della sua presunta volontà, non esitando a

sostituirsi d’autorità ai genitori vivi dell’eroe. Lo scambio di ruoli, operato dallo stato

in nome del defunto considerato come temporaneamente incapace, viene spinto fino al

suo termine ‘logico’ ultimo con l’istituzione, il 18 marzo 1943, del divorzio dei morti.

Questa volta i giuristi procedono rispettando scrupolosamente le forme.

Il soldato morto è autorizzato a divorziare dalla vedova ‘infedele o indegna’ del marito e

del popolo tedesco. La nuova disposizione è contenuta nel regolamento di attuazione

della ‘legge sul matrimonio’.

Il comando supremo della WEHRMACHT, la cancelleria del Reich e il quartier generale

del Fuhrer sottolineano, in perfetto accordo, che le ‘mogli senza onore le quali, mentre il

marito si trovava al fronte, si sono date all’adulterio in condizioni abiette non devono

potersi fregiare, dopo la morte da soldato del marito, del titolo di vedove di guerra’.

La norma elimina l’ambiguità dello stato giuridico della donna che ha sposato un soldato

morto. Il matrimonio è considerato concluso 24 ore prima della morte del marito, e ciò

implica, in via di principio, che la donna che esce dall’ufficio di stato civile è già vedova.

Ma si può divorziare da una vedova? Oppure bisogna considerare che la vedova indegna,

nel momento in cui lo stato avvia, in nome di suo marito, una pratica di divorzio contro

di lei, è ancora, per il tempo di una finzione giuridica, ‘MOGLIE’?

Il 28 ottobre 1942, al ministero della Giustizia si tiene una riunione per affrontare il problema

da un punto di vista ‘pratico’: COME CONSTATARE LA VOLONTA’ DI DIVORZIO DEL

MORTO?

Difficoltà meno inestricabile di quanto non sembri, dal momento che lo stato sembra conoscere

i sentimenti di ognuno dei ‘CAMERATI UCCISI CHE MARCIANO IN SPIRITO NEI SUOI

RANGHI’. La sua ‘volontà verrà considerata come certa, dal momento che il morto avrebbe

espresso quella volontà nel caso in cui avesso preso conoscenza delle circostanze se si

può essere certi che il defunto avrebbe chiesto il divorzio ma vi è stato impedito unicamente

in ragione della sua morte’.

Il divorzio viene allora pronunciato con efficacia retroattiva e considerato effettivo dal

giorno precedente la morte del marito. Ciò facilita la discussione sulla legittimità dei

figli della donna nati più di 9 mesi dopo l’ultimo permesso del defunto.

La ‘vedova di eroe indegna del sostegno della collettività’ viene quindi considerata alla

stregua di una divorziata, ritenuta colpevole della rottura, e si vede pertanto privata

di tutti i diritti in fatto di pensione e di eredità. Si spera così di contenere al tempo stesso

l’avidità e la promiscuità di queste donne spregevoli.

(Conte/Essner, Culti di sangue, Antropologia del nazismo)

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IL SOLDATO MORTO COME SPOSO (fra delirio e farsa)

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L’unione POST MORTEM riconosce di fatto, in un numero di casi sempre maggiore,

la reale natura della ‘distanza’ che separa gli sposi.

Quando la fidanzata pronuncia, solitaria, il suo consenso davanti all’elmetto d’acciaio,

agli occhi dell’amministrazione non importa granché che la donna sappia se il suo

promesso sposo faccia ancora parte dei vivi.

L’unica cosa che importa è che la dichiarazione d’intenti dello sposo sia stata compilata

entro i tempi regolamentari, cioè entro i 9 mesi che precedono la data del matrimonio.

Agli occhi dei contemporanei, l’innovazione introdotta dal decreto del FUHRER, che

consiste nel rendere superflua la dichiarazione del fidanzato, appare minima, mentre

invece essa è di portata notevolissima, dal momento che il defunto, prima di raggiungere

gli EROI che lo hanno preceduto, non ha consegnato la sua volontà rispettando la forma

dovuta.

Ormai tocca alla donna, e solo a lei, convincere l’amministrazione della volontà del fidanzato

disperso o morto di prenderla in moglie.

Temendo gli abusi cui potrebbe dar luogo una situazione siffatta, il segretario di stato alla

Giustizia Schegelberger esprime alcune riserve sulle ‘NOZZE DEL CADAVERE’.

Uomo di legge fino al midollo, e offeso per non essere stato consultato, Schegelberger

disapprova la SURRETTIZIA ‘MODIFICA MATERIALE E FORMALE DEL DIRITTO

MATRIMONIALE’.

Come premunirsi contro una ‘captazione’ della procedura a fini illeciti o inammissibili?

Che cosa succede se un soldato compassionevole manda a una qualsiasi SGUALDRINA,

prima di ripartire per il fronte, una lettera in cui si trova espressa la sua pretesa volontà

di matrimonio?

E cosa fare nel caso in cui la fidanzata, mentre il promesso sposo si trova al fronte, ha

rapporti sessuali con altri uomini e il bambino concepito per opera di uno di questi e

nato dopo la morte del suo promesso diventa, come lo autorizzerebbe la situazione

giuridica, ora istituita, figlio del soldato caduto?

Anche altri funzionari manifestano apertamente il loro sconcerto.

Al ministero degli Interni del WURTTENBERG ci si chiede se sia possibile sposare, oltre

che i morti della guerra in corso, uomini caduti nel conflitto del 1914-18.

Il dubbio persiste, dal momento che la risposta di Berlino non ha nulla di redibitorio:

si ‘TENDEREBBE A CREDERE’ che il decreto del FUHRER si riferisca soltanto ai soldati

morti nel corso del presente conflitto.

NON E’ RETROATTIVO!!

(Conte/Essner, Culti di sangue antropologia del nazismo)

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