LA DANZA DEGLI SPETTRI

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Io stavo vivendo pacificamente con la mia famiglia, avevo

cibo a sufficienza, dormivo bene, avevo cura della mia gen-

te e stavo benissimo.

Non so chi fu il primo a mettere in giro quelle brutte storie.

Ci stavamo comportando bene; e il mio popolo stava bene.

Io mi comportavo bene.

Non avevo ucciso né un cavallo né un uomo.

Essi sapevano come stavano le cose e tuttavia dissero che io

ero un uomo cattivo:

l’uomo peggiore del posto; ma che cosa avevo fatto?

Io stavo vivendo pacificamente qui con la mia famiglia sotto

l’ombra degli alberi, facendo proprio ciò che il generale Crook

mi aveva detto di fare e cercando di seguire il suo consiglio.

Io voglio sapere ora chi ha ordinato di arrestarmi.

Io stavo pregando la luce e l’oscurità.

Dio e il sole, di lasciarmi vivere tranquillamente qui con la mia

famiglia.

Non so per quale ragione quella gente parlava male di me.

Molto spesso si raccontano storie sui giornali che io sto per esse-

re impiccato.

Io non voglio che lo si dica più.

Quando un uomo cerca di fare il giusto, simili storie non dovreb-

bero apparire sui giornali.

Ora sono rimasti pochissimi dei miei uomini.

Essi hanno fatto alcune cose cattive, ma io non voglio che ven-

gano tutti cancellati e non si parli più di loro.

Sono rimasti così pochi di noi.

Goyathlay

(Dee Brown, Seppelite il mio cuore a Wounded Knee)






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ESAMI DI COSCIENZA (2)

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Da http://giulianolazzari.myblog.it

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L’autista del tassì indossava un cappotto di pelle nera,        berlin-darkest-chapter.jpg

e aveva la nuca tonda e rosea.

‘Una testa tedesca’ pensavo.

Chiacchierava volentieri, rideva con facilità.

– Per me Hitler è vivo…spiegava.

– Ogni volta che arrestano qualche pezzo grosso del partito,

gli trovano in tasca una decina di passaporti.

Il furbacchione ne avrà avuti almeno quaranta.

Passavamo davanti a case dai tetti rossi, a silenziose

villette nascoste dagli abeti.

– Niente male, è vero?…diceva

– Appartenevano a camerati di Himmler e di Gobbels; adesso ci stanno gli americani.

Il Waldfriedhof, il cimitero del bosco, è vicino allo stadio Olimpia.

– Ricordate?

Qui il negro Jesse Owens corse, provocando l’ira del Fuhrer,   default_riefenstahl_africa_interv_04_0706281504_id_60435.jpg

i cento metri in poco più di dieci secondi; qui Leni Riefenstahl

esaltò, con la macchina da presa, il culto della bellezza pagana.

Non cercavo parenti, no. Ecco, forse un amico.

– Vorrei vedere, dissi, la tomba di George Grosz.

Il cimitero era invaso dal sole; fischiava qualche merlo

sui rami spogli dei faggi, fra le siepi di sempreverde.

I becchini fumavano seduti su un sarcofago che raccoglieva

le ossa di un compianto ingegnere Mayer.

– Come si chiamava il ragazzo? domandò l’autista.

– Grosz, George Grosz.

Andò a chiedere informazioni.

Una sera, in un caffè dalle parti della Kurfurstendamm,   Leni.jpg

vidi una signorina che sfoggiava un abito di seta gialla,

dall’ampia scollatura, beveva cognac, e faceva ridere un grosso

signore dall’impermeabile sporco, molto occupato ad accarezzarle

una mano.

– Piacerebbero a Grosz, pensavo.

Sarebbe piaciuto a Grosz il gentiluomo che, al vagone ristorante,

sul rapido che mi portava ad Amburgo, ordinava un bicchierone di

birra riscaldata, aveva i capelli tagliati molto corti, doveva essere un

principe o un generale, gli mancava solo il monocolo.

Sarebbe piaciuto al vecchio George anche il conducente del tassì, quella nuca tonda,

quella pelle rosea.

Ricordava le teste degli affaristi di Grosz, di quella folla che Henry Miller ‘da mendicanti,

trafficanti al mercato nero, prostitute, ruffiani, ubriachi, ghiottoni, vagabondi, morti

di fame, seduttori e sedotti, TUTTI INDAFFARATI AD UCCIDERE, BERE, GODERE,

FORNICARE, IN UNA NAUSEA PERENNE’.

(Enzo Biagi, Germania)

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