Io ero convinto che i capi Galilei
sarebbero stati più riconoscenti
a me che a colui che governava
l’impero prima di me.
Infatti, sotto di lui la maggior
parte di loro furono esiliati,
perseguitati, imprigionati e
un gran numero di uomini
definiti eretici furono uccisi,
cosicché a Samosata, a Cizico,
in Paflagonia, in Bitinia ed in Galazia ed in molte altre comunità interi villaggi furono
saccheggiati e completamente distrutti; sotto il mio impero avviene il contrario: gli
esuli sono stati richiamati, le vittime delle confische hanno ottenuto per mezzo della
nostra legge di riacquistare tutti i loro beni. Ma essi sono giunti a tal punto di esaltazione
e di follia che, poiché non possono più tiranneggiare né compiere gli atti ostili che
compivano gli uni contro gli altri e poi contro noi adoratori degli dèi, in preda al furore,
non lasciano nulla di intentato ed osano provocare disordine tra la folla e sollevarla,
mostrandosi empi verso gli dèi e disobbedienti alle nostre leggi, che pure sono così
improntate ad umanità.
Orbene non permettiamo che alcuno di essi venga trascinato agli altari contro la sua
volontà, ma dichiariamo in termini precisi che se qualcuno vuole partecipare con noi
spontaneamente ai riti di purificazione ed alle libazioni, per prima cosa deve sottoporsi
a cerimonie espiatorie ed implorare gli dèi che allontanano i mali; tanto siamo lontani
dal voler e dal supporre che qualcuno di quegli empi partecipi ai nostri pii sacrifici
prima di aver purificato l’anima con pubbliche preghiere agli dèi ed il corpo con le
purificazioni rituali.
Ora è evidente che le folle, ingannate dal cosiddetto clero, si ribellano, perché appunto
esso è stato privato di questi arbitri. Infatti coloro che sono stati tiranni finora non si
contentano di non scontare la pena per le azioni malvage che hanno commesso, ma
rimpiangendo l’antico potere, ora che non è più loro consentito pronunziare sentenze,
scrivere testamenti, appropriarsi illegalmente delle eredità altrui, e prendere tutto per
sé, rimuovono ogni freno al disordine e, come si suol dire, gettano fuoco sul fuoco e
osano sovrapporre ai mali passati mali più grandi, conducendo le folle al dissenso.
Ho deciso, dunque, di proclamare e di rendere manifesto a tutti i popoli con questo
decreto, che non si deve partecipare alla ribellione del clero, né lasciarsi convincere
da lui a gettare pietre, né a ribellarsi ai magistrati; ma possono riunirsi finché vogliono
e dire tutte le loro preghiere secondo la consuetudine; ma se quelli tenteranno di
persuaderli alla rivolta nel proprio interesse, non devono collaborare per non essere
puniti.
Non si verifichino contrasti, né ingiustizie: coloro che hanno errato non devono offendere
chi venera rettamente e giustamente gli dèi secondo i principi trasmessi a noi da secoli;
e voi che venerate gli dèi, da parte vostra, non rovinate e non saccheggiate le case di
coloro che sono caduti in errore, più per ignoranza che in modo consapevole.
Bisogna convincere ed educare gli uomini con la ragione, non con le sferzate, né con
gli oltraggi, né con le torture fisiche.
Di nuovo e ripetutamente esorto coloro che tendono alla vera fede a non fare ingiustizia
alle moltitudini dei Galilei, a non assalirle, a non oltraggiarle. Bisogna compatire, piuttosto
che odiare, coloro che si comportano male negli argomenti più rilevanti: il più grande dei
beni, in verità, è la pietà verso gli dèi; al contrario il massimo dei mali è l’empietà.
Accade che coloro che hanno lasciato il culto degli dèi per quello dei morti e delle reliquie
scontino questa punizione.
Noi partecipiamo al dolore di chi è colpito da un qualche male, alla gioia di coloro che sono
liberati e salvati dagli dèi.
Pubblicato alle calende di agosto anno 362 in Antiochia.
Giuliano Imperatore.