un’invenzione tedesca, come
si è talvolta affermato nel
fervore della lotta contro
il nazismo, il ‘pensiero
tedesco’ avrebbe dominato
larghi settori dell’attività
intellettuale già molto
prima che i nazisti
iniziassero il loro
tragico tentativo di
conquistare il mondo.
In realtà è vero
il contrario.
Il razzismo politicamente
organizzato del regime
hitleriano esercitò negli
anni trenta un’attrazione
così straordinaria in Europa,
e fuori d’Europa, perché le
tendenze razziste anche se non traspiravano dal linguaggio ufficiale dei governi, erano
diffuse nell’opinione pubblica di ogni paese. Nell’offensiva politica nazista, che precedette
e accompagnò la seconda guerra mondiale, tali tendenze furono considerate alleate ben
più valide e sicure di qualsiasi agente segreto o quinta colonna.
Forti delle esperienze europee di quasi un ventennio, i nazisti ritennero che la migliore
‘propaganda’ sarebbe stata la loro politica razziale e, malgrado i molti altri compromessi
e indietreggiamenti, non se ne lasciarono mai allontanare da calcoli di opportunità.
Il razzismo non fu una nuova arma segreta; semplicemente esso non era mai stato applicato
prima con una simile radicalità.
La verità storica è che il razzismo, le cui origini risalgono all’inizio del XVIII secolo, durante
il XIX fece la sua comparsa contemporaneamente in tutti i paesi dell’occidente e all’inizio
del nostro secolo divenne poi l’autentica ideologia della politica imperialista. Esso certamente
resuscitò e assorbì i vecchi schemi razziali; ma questi difficilmente avrebbero dato vita da
soli, senza le esigenze imperialistiche, a una concezione unitaria.
Alla metà del secolo scorso le teorie in materia venivano ancora giudicate col metro della
ragione politica. Solo alla fine del secolo le teorie razziali vennero prese sul serio, come
se fossero realmente il frutto
della ricerca scientifica o
un importante
contributo intellettuale.
Fino allora, fino al
fatale decennio della
corsa alla conquista
dell’Africa, esse avevano
fatto parte della folta
schiera delle libere
opinioni che, nel quadro
del liberismo, si
contendevano il
consenso del pubblico.
Solo alcune di tali
opinioni divennero ideologie in piena regola, sistemi basati su una singola ipotesi atta a riuscire
plausibile a un gran numero di persone e abbastanza larga da condurle relativamente
imperturbate attraverso le varie esperienze e situazioni di una normale vita moderna.
L’ideologia differisce dalla semplice opinione perché pretende di possedere o la chiave della
storia, o la soluzione di tutti gli ‘enigmi dell’universo’, o l’intima conoscenza delle leggi
segrete che dominano la natura e l’uomo. Poche ideologie sono sopravvissute alla dura
concorrenza per la persuasione, e due hanno avuto il sopravvento su tutte le altre:
l’una interpreta la storia come una lotta economica di classi, e l’altra vede in essa una lotta
naturale di razze. Entrambe hanno esercitato un fascino così intenso sulle masse da
assurgere nel corso del XX secolo a dottrine ufficiali di certi stati. Ma oltre i confini di
questi la libera opinione pubblica le ha adottate in misura tale che, a parte le masse
popolari, persino gli intellettuali non accettano più una presentazione dei fatti del
presente che non concordi, almeno implicitamente, col sistema di categorie di una
di esse.
La plausibilità in tale materia non deriva da fatti scientifici, come vorrebbero farci
credere le varie specie di darwinisti, né da leggi storiche, come pretendono gli
storici, nel loro sforzo di spiegare l’ascesa e il declino delle civiltà.
Ogni ideologia che si rispetti E’ STATA CREATA ED ELABORATA COME ARMA
POLITICA, NON COME DOTTRINA TEORICA.
(prima parte)
(H. Arendt, Le origini del totalitarismo)
Da http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/09/01/i-roghi-dei-libri-2.html
http://www.repubblica.it/esteri/2010/09/09/news/risoluzione_rom-6898982/