CONFRONTO

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Intervenne a questo punto Dirac che, appena venticinquenne, non

apprezzava appieno la virtù della tolleranza.

– Non capisco perché mai stiamo a parlare di religione? disse.

– Se siamo onesti , e in quanto scienziati l’onestà è un nostro preciso

dovere, non si potrà fare a meno di ammettere che qualsiasi religione è una

congerie di asserzioni false, prive di ogni fondamento reale. L’idea stessa di

Dio è un prodotto dell’immaginazione dell’uomo.

Capisco perfettamente che l’uomo primitivo, più esposto alle incontrollabili

forze della natura, abbia personificato queste forze mosso dalla paura.

Ma oggi sappiamo di più sull’universo, e non abbiamo più bisogno di questi

espedienti.

Vi assicuro che non riesco a capire in cosa può esserci utile postulare l’esistenza

di una divinità onnipotente; capisco che un postulato del genere non porta ad

altro che a sterili interrogativi: perché Dio permette l’esistenza del male e del

dolore, o lo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi, o altri mali che Egli

avrebbe potuto facilmente evitare? Se oggi eiste ancora un insegnamento religioso,

sappiamo benissimo che ciò avviene non perché la religione ci convinca, ma per

tenere tranquille le classi subalterne. E’ più facile governare dei sudditi disarmati

e pacifici ed ignoranti, piuttosto che individui insoddisfatti che protestano; ed

è più facile sfruttarli, anche. 

E’ già stato detto: la religione è come l’oppio: i popoli si cullano con sogni visionari

dimenticando le ingiustizie e lo sfruttamento reali.

Di qui l’alleanza tra le due grandi forze politiche dello stato e della Chiesa.

Entrambe trovano comoda l’illusione che un Dio buono ricompensi, se non in questo

mondo, nell’altro, coloro che non si sono levati contro l’ingiustizia ma che si 

sono sottomessi docilmente e magari con gratitudine ai doveri che vengono loro

imposti.

E questo è il motivo per cui dire onestamente e francamente che Dio è solo una 

creazione dell’immaginazione è considerato il più nero di tutti i peccati mortali.

( W. Heisenberg, Fisica e oltre, Bollati Boringhieri) 

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VERITA’

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Fatte tali distinzioni, bisogna pensare le cose che vengono dopo.

Come infatti si può dividere una linea in due parti ugualmente ciascuna

di esse ancora in due secondo lo stesso rapporto, così si divide anche

l’intelligibile rispetto al visibile, e a sua volta si divida ciascuno di questi sì

che differiscano tra loro in chiarezza e oscurità; allo stesso modo, del sensibile

una sezione è costituita dalle immagini riflesse nelle acque e negli specchi,

l’altra invece è costituita dalle cose di cui queste sono immagini, e cioè piante

e animali; dell’intelligibile la sezione che corrisponde alle immagini è costituita

dai generi matematici: i geometri, infatti, una volta stabiliti come presupposti il

dispari e il pari e le figure e le tre specie di angoli, partono da questi elementi per

trattare il resto, e trascurano, come se le conoscessero, le cose reali, e non hanno da

rendere di ciò né a se stessi né ad altri; dei sensibili, invece, si servono, sì, ma senza

indagarli, e costruiscono i loro ragionamenti non già in funzione di questi, bensì del

diametro e del suo quadrato. 

L’altra sezione è infine quella dell’intelligibile, su cui si esercita la dialettica.

Questa infatti pone delle ipotesi nel senso vero del termine, cioè non come

presupposti, ma come punti di partenza e di appoggio per arrivare a quell’

incondizionato che è il principio di tutto, e una volta raggiuntolo rifare il percorso

in giù sino alla fine senza utilizzare nessun sensibile, ma solo forme pure 

dei sensibili. 

In queste quattro sezioni bisogna ben distribuire anche le affezioni, e chiamare

intellazione quella che sta al punto più alto, ragione che viene subito, credenza

la terza e immaginazione la quarta. 

Ebbene, io ritengo che anche ciò risulti evidente che quattro sono le differenze

tra gli enti, e quattro i princìpi per giudicarli, e che il ragionamento nel mezzo tocca

i due estremi, cioè gli intelligibili e i sensibili, giacché si colloca in posizione 

terminale rispetto all’intelletto e alla sensazione che sono come suoi princìpi e

di cui esso è realizzazione finale.

Esiste anche il seguente assioma generale relativamente ad ogni facoltà conoscitiva,

cioè che i simili si conoscano col simile.

E’ possibile dunque anche apprendere ambedue, intelligibili e sensibili, da 

ambedue e i diversi dai diversi, e fare uguali differenze sia in senso generale che 

in senso particolare come se fossero in essi, e ordinare il passaggio dai diversi

ai diversi, cioè da inferiori ai superiori; e Archita stabilisce come si deve compiere,

a proposito dell’intelletto, l’elevazione e la combinazione di ogni cosa. 

(Giamblico, Matematica comune)

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SAGGEZZA 3

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Ancora più chiaramente Archita nel suo libro ‘Sull’intelletto e la sensazione’

distingue i criteri di conoscenza degli enti e presenta quello proprio delle

matematiche con queste parole: ” In noi stessi, egli dice, in rapporto alla 

nostra anima, ci sono quattro tipi di conoscenza: intelletto, scienza, opinione

e sensazione; due di essi, intelletto e sensazione, stanno all’inizio del ragionamento,

gli altri due, scienza e opinione, al termine del ragionamento; il simile 

conosce sempre il simile.

E’ chiaro dunque che il nostro intelletto è facoltà conoscitiva degli intelligibili,

la scienza lo è degli scibili, l’opinione degli opinabili, il senso dei sensibili.

E’ per questo, dunque, che la ragione deve passare dai sensibili agli opinabili,

dagli opinabili agli scibili, e da questi ultimi agli intelligibili: una volta che 

queste cose sono accordate fra loro, con esse è possibile contemplare la 

verità”. 

(Giamblico, Matematica comune)

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