veramente dirsi
benemerito nella
storia dei popoli,
poiché vide
sorgere ed affermarsi
le maggiori e le più
utili concezioni del
genio umano,
comprende certamente
tutto il periodo
storico del
‘velocipedismo’.
Il ciclismo, nel senso
preciso della parola,
venne assai più
tardi, e si affermò come
sport e come abitudine solo dopo l’invenzione della bicicletta.
L’invenzione del velocipiede, per quanto ci è noto, data da tempo relativamente non lontano.
Nulla ci conforta a ritenere che nei tempi antichi alcuno abbia avuta l’idea di creare un
veicolo direttamente posto in azione dalla forza muscolare dell’uomo, né gli archeologi
hannno voluto darsi fino ad oggi pensiero di ricercare nella notte dei tempi la prova
ipotetica di un simile avvenimento, affatto trascurabile da molti punti di vista, e
soprattutto da quello…..archeologico. E poiché nessuno papiro fino a noi giunse e nessun
venerabile monumento rimase ad attestare l’esistenza di un velocipiede assiro o
egizio, o semplicemente greco o romano, noi dobbiamo pure, risalendo a traverso i
tempi, arrestarci a poco più di due secoli da oggi, al 1693, per ritrovare la prima
notizia attendibile di una velleità
a ribellarsi al tardigrado destino
che la misura impose all’homo
sapiens, mentre tanti altri
animali della creazione nacquero
e nascono dotati di mezzi
sufficienti a concedere loro
naturalmente una facile e
notevolissima rapidità di
moto.
E se dalla antica invidia dell’uomo primitivo per l’aquila dal volo maestoso e per la
gazzella agilissima possono aver tratto origine, a traverso infinite creazioni e trasformazioni,
anche il pallone dirigibile e l’aeroplano che già oggi afferma la meravigliosa possibilità
di un principio che sovrasta – è veramente il caso di dirlo – alla vita intensa del ventesimo
secolo, è non meno certo che nella istoria del velocipedismo il primo timido tentativo
può essere paragonato anche alla più modesta delle attuali biciclette come la catapulta
e lo specchio ustorio agli odierni formidabili mezzi di offesa e di distruzione.
Nel 1300-1600 – poche ed incerte
sono le notizie che risalgono a
quell’epoca.
Si tratta generalmente di vetture
primitive a forza di braccia, con
bastoni o rudimentali congegni
di corde e leve.
Certo è che i primi tentativi
non sopravvissero ai loro
inventori specialmente per
l’enorme peso e l’eccessiva
complicazione.
Tuttavia nella biblioteca di Wolfenbuttel,
in Germania, si conserva un manoscritto,
che farebbe risalire fino al XIV secolo, e che
descrive una specie di velocipiede a quattro
ruote, guidato per mezzo di un
E nella cronaca della città di Meiningen
esumata dal dott. Schozer, si ricorda che
al 9 di gennaio del 1447 ‘venne per la
Kalchsthor fino al mercato, e di nuovo
se ne andò, una carrozza perfetta nelle
sue parti, non tirata da cavallo o da bue;
essa era coperta, e dentro vi si vedeva
il ‘maestro’ che l’aveva costruita e che
con meccanismo interno la dirigeva’.
Del 1625 abbiamo, più che una memoria,
una leggenda.
Secondo l’inglese Henry Fetherstone, il
gesuita Ricius avrebbe discesa la riva
del Gange, da Chinchiang-fu a Checkiang-ham-tcheu,
a cavalcioni di un apparecchio da lui inventato, composto di tre ruote ineguali complicate
con leve e barre.
Una cronaca di Norimberga ricorda pure che verso il 1649 un tal Hans Hautsch abbia
inventato un congegno mosso da ingranaggi che percorreva duemila passi l’ora e poteva
arrestarsi e mettersi in moto a capriccio di chi lo guidava. Si dice pure che tale congegno
sia stato venduto a Stoccolma al principe Carlo Gustavo e che l’inventore abbia provvista
anche una berlina di gala, del sistema medesimo, alla Corte Danese.
Sembra al contrario veramente storico il tentativo di certo dott. Richard, francese, medico
alla Rochelle, nato nel 1645 e morto nel 1706, vittima della sua medesima invenzione.
L’illustre Ozanam, membro della
Academie Royale des Sciences,
citava, in un suo rapporto alla
Accademia medesima una sorta
di macchina, sufficientemente
pesante, che aveva in compenso il
difetto di non potersi muovere che
se un terreno liscio e piano.
Della moderna automobile questo
apparecchio può dirsi precursore –
ben che azionato dalla sola forza
umana – poiché la storia dice che
esso finì fracassato, in fondo a una
ripida discesa, in uno col suo inventore.
Vogliamo riportare testualmente
la descrizione di questa macchina,
data da Ozanam nella relazione citata:
‘Un valletto, collocatosi sulla parte
posteriore della vettura, la spingeva avanti appoggiando i piedi alternamente su due pezzi
di legno, collegati a due ruote che agiscono sull’asse della vettura stessa’.
Si ha poi una vaga nozione di uno Stefano Farfler o Tarflersh orologiaio d’Aldorft che
nel 1703, essendo sciancato, avrebbe costruito per recarsi alla chiesa una specie di triciclo
velocimane. Si dice che l’arcivescovo abbia concesso molte indulgenze al pio inventore.
Ma anche questa notizia deve accogliersi con ogni riserva, non essendo essa provata o
suffragata da disegni o documenti attendibili.
(Umberto Grioni, Il ciclista, 1910)