L’ASINO (2)

Già ho detto quando avvenne l’addomesticamento; quanto al luogo, si trattò dell’Egitto,

forse anche della Nubia, ma comunque è in Egitto che lo troviamo ampiamente rappresentato,

ed è da lì che poi l’asino è partito per conquistare il mondo e sempre come animale da lavoro.

Penso a lui come un motore per mille usi, per trasportare pesi e persone , per muovere le

mole dei molini, le ruote per cavare l’acqua, i carrelli nelle miniere. Un produttore di energia

a buon mercato, aiuto dell’ambulante, del contadino, della gente più misera, perché tutti

potevano permetterselo. 

Ma, si sa, la frugalità, la modestia, la resistenza alla fatica non sono mai state qualità degne

di grande ammirazione. Così l’asino è stato, salvo rare eccezioni, concepito come uno

schiavo. Forse per questo è nata la convinzine che quasi le bastonate gli sono dovute.

E ciò mi fa pensare a un’altra frase, ben più acuta questa, di Peter Jean Medewar:” La

proverbiale cocciutaggine di asini e muli non va attribuita a niente di più profondo del

loro uso da parte di persone abitualmente insensibili agli animali e indifferenti al loro

benessere”.

Frase che la dice lunga.

Ben raramente infatti l’uomo s’è chiesto se non c’era qualche modo più intelligente, oltre

che pigliarlo a bastonate, per comunicare con questo, anche per ciò così simpatico animale.  

Le cose comunque, almeno in qualche parte del mondo, stanno un poco cambiando e,

diciamolo, migliorando. Prendiamo il caso dell’Italia. Da quando l’asino v’è arrivato è

passato un tempo sufficiente perché s’evolvessero caratteristiche razze locali, che mi

piace enumerare. Così ecco gli asinoni neri e forzuti di Martina Franca e di Ragusa,

quello morello o baio di Pantelleria, il grigio asino dell’Amiata, e infine i piccolissimi

della Sardegna, di colore sorcino colla scura croce dorsale, e dell’Asinara, albini e con

sconcertanti occhi azzurri. Grande fortuna hanno avuto fino a non molto tempo fa queste

razze, allevate in gran numero e perfino esportate. Poi la ricchezza, il progresso, la

motorizzazione le hanno rese sempre meno utili per i tradizionali lavori; s’è così arrivati,

in qualche caso, fino quasi a vederle scomparire. Esempi: l’asino di Pantelleria è

praticamente estinto; quello di Martina Franca, di cui sono rimasti ben pochi esemplari

tipici, fu censito nel 1907 e nella sola Puglia ne erano presenti ben 128.026 individui.

Gravissimo declino, dunque, ma da ciò, fortunatamente, è scaturito l’allarme.

Qualcuno s’è accorto che le antiche nostre razze rappresentavano un valore, sia genetico

che culturale. Era un peccato che dopo tanta storia di civiltà contadina, tanto biologico

lavoro d’adattamento, dovessero scomparire.

Così enti privati hanno iniziato a raccogliere i nuclei superstiti, a curare gli standard, ad

allevare con attenzione. 

(Danilo Mainardi, Dalla parte degli animali)

9854erds.jpg

L’ASINO

Devo parlarvi dell’asino vero e invece mi viene da pensare a l’Asino, il mensile satirico e

anticlericale che nacque a Roma alla fine dell’Ottocento. Ma un perché c’è. Il suo fondatore,

Podrecca, aveva coniato uno slogan che così stabiliva: ‘Il popolo è come l’asino, sempre

bastonato, sempre contento’.

Frase su cui meditare, ma io non so né voglio dirvi del popolo, so però dell’asino.

So che di bastonate ne ha prese tante da quando gli è capitata la disgrazia, sei o settemila

anni fa, di divenire ‘servitore dell’uomo’. Infatti non sempre è un guadagno, per un animale,

essere addomesticato; almeno non l’è sotto il punto di vista, come si dice oggi, della qualità

della vita.

Sì, occorre distinguere. 

Gli animali addomesticati hanno tutti guadagnato quanto a sopravvivenza della specie.

Loro, i domestici, sono numericamente esplosi hanno conquistato il mondo; i selvatici 

progenitori sono invece andati quasi sempre estinguendosi. Non esistono più, o quasi,

gli antenati dei nostri bovini, equini, polli e così via. Ma che vita fa un pollo da batteria?

E un vitello da ingrasso? E fin qui il discorso è generale. Se poi si parla dell’asino, e proprio

di lui voglio parlare, allora davvero ci si accorge che il suo addomesticamento l’ha tirato giù

molto, come modo di vita. Se guardo indietro alla sua storia un po’ di pena la sento.

E mi chiedo: perché proprio a lui è capitato d’essere il più maltrattato?

Perché la sua sorte è stata, tanto per fare un paragone, così più dura di quella del cugino

cavallo?

Credo che, per avere una risposta, occorra tornare alle origini, all’asino selvaggio che ormai,

e anche qui la storia si ripete, quasi non esiste più.

E’ del Nordafrica l’antenato.

Qualche piccolo gruppo galoppante – costituito da un po’ di giumente, uno stallone focoso

e possessivo, i puledri – fortunatamente ancora esiste, e così può servirci da pietra di paragone.

Inoltre, rifacendoci al gruppo selvaggio, possiamo finalmente ammirare l’asino in tutta la

sua bellezza. E scopriamo un’animale elegante, sensibile, coraggioso. Ma scopriamo anche

altro: l’asino è animale quasi deserticolo, vive in zone aride, sa gettarsi giù per pendii

scoscesi senza mai farsi male; inoltre gli bastano, per nutrimento, rade mimose, cespugli

irti di spine, poca erba coriacea. Sopporta a lungo il digiuno e la sete, e non gli nuoce né

il gran caldo né il gelo. L’adattamento a quell’ambiente difficile l’ha insomma fatto una

stupenda macchina economica e resistente. E qui, proprio qui sta il guaio.

Il guaio sta qui perché l’uomo presto se ne accorse. Puledri selvaggi, figli verosimilmente

di giumente cacciate per procurarsi carne, vennero imbrigliati e portati vivi a casa. Poi

assoggettati, ammansiti, domati. Mi immagino la difficile caccia, l’aiuto consistente dei

cani, i bei cani egizi di colore fulvo, alti e slanciati, dalle lunghissime orecchie dritte e

puntute. Mi immagino la difesa della mandria facente fronte comune, collo stallone

sparante calci cogli arti anteriori, coi posteriori. E mi immagino la giovane età dei puledrini

catturati, indispensabile per la socializzazione coll’uomo. Così quei prigionieri, seppure

selvaggi di nascita e per genetica caratterizzazione, crebbero sviluppando uno specifico

attaccamento per il padrone, una generica confidenza per la specie umana.

Erano la generazione numero uno degli asini domestici.

(Danilo Mainardi, Dalla parte degli animali)

uijhnb87u.jpg