IL RACCONTO DELLA BALENA (quando e perché) (7)

Precedente capitolo:

il-racconto-della-balena-quando-e-perche-6.html

Breve premessa…

“Salomone nei Proverbi esorta dicendo:’Non volgerti a una donna cattiva,

perché stillano miele le labbra della meritrice, e a tempo opportuno essa

unge la tua gola, ma in seguito la troverai più amara del fiele e aguzza più

di una spada a due tagli. Poiché i piedi della follia conducono coloro che

vi si affidano alla morte nell’Inferno’.

C’è un mostro del mare detto balena: ha due nature.

La sua prima natura è questa: quando ha fame, apre la bocca, e dalla sua

bocca esce ogni profumo di aromi, e lo sentono i pesci piccoli e accorrono

a sciami nella sua bocca, ed esso li inghiotte; non mi risulta invece che

i pesci grandi e adulti si avvicinino al mostro. Così anche il demonio

e GLI ERETICI, con un soave profumo adescano i piccoli e coloro

che non hanno il senno adulto; quelli invece che hanno l’intelletto: tale

fu Giobbe, tali Mosè, Isaia, Geremia, e tutta la schiera dei profeti; così

Giuditta scampò ad Oloferne, Ester ad Artaserne, Suanna ai vecchioni,

Tecla a Tamiri.

L’altra misura del mostro: esso è di proporzioni enormi, simile a un’isola;

ignorando, i naviganti legano ad esso le loro navi, come in un’isola, e

vi piantano le ancore e gli arpioni; quindi vi fanno fuoco sopra per

cuocersi qualcosa, ma non appena esso sente caldo, s’immerge negli abissi

marini e vi trascina le navi. Se dunque anche tu, o uomo, ti tieni sospeso

alla speranza del DEMONIO, questi ti trascina con sè IN NERI ABISSI

DI SPAZI PROFONDI.

…Ben dunque il FISIOLOGO ha detto della balena…”

(Il Fisiologo)

blackhole.jpg

Se è vero che, come fanno pensare le prove molecolari, gli animali più

affini alle balene sono gli ippopotami, si è tentati di cercare i loro progenitori

tra i fossili dalle tendenze erbivore. Tuttavia nessun odierno delfino o balena è

erbivoro. A proposito, i dugonghi e i lamantini, che non hanno alcuna parentela

con le balene e ippopotami, dimostrano che è possibilissimo, per un mammifero

esclusivamente marino, seguire una dieta esclusivamente erbivora. Ma i cetacei

si nutrono di crostacei planctonici, pesci e calamari o grosse prede come le

foche. Così si sono cercati gli antenati delle balene tra i mammiferi di terra

carnivori. Il primo ad avere l’idea fu lo stesso Darwin, in un brano che,

non so per quale motivo, suscita a volte ilarità:’Hearne ha visto nell’America

settentrionale l’orso bruno nuotare per ore con la bocca spalancata, prendendo

gli insetti nell’acqua, quasi come una balena. Anche in un caso così estremo

come questo se la riserva degli insetti fosse costante, e se non esistessero

nel paese competitori meglio adatti, non vedrei nessuna difficoltà nel fatto

che una razza di orsi per effetto della selezione naturale potesse diventare

più acquatica per struttura e abitudini, con la bocca sempre più larga

fino a un essere mostruoso come una balena’.

Questa disgressione di Darwin illustra un importante concetto generale

inerente all’evoluzione. L’orso visto da Hearne era senza dubbio un

individuo intraprendente, che si cibava in maniera insolita per la sua

specie. Credo che, in campo evolutivo, molte nuove tendenze partano

proprio così, dall’idea geniale di un individuo che scopre una tecnica o

un espediente nuovo e utile e impara A PERFEZIONARSI.

Se l’abitudine viene imitata da altri, compresi magari i figli dell’individuo

in questione, inizierà una nuova pressione selettiva: la selezione favorirà

la predisposizione genetica a essere bravi nell’apprendimento della nuova

tecnica e le conseguenze saranno rilevanti. E’ possibile che proprio da

fenomeni del genere traggano origine abitudini alimentari ‘istintive’ come

quelle del picchio che martella sul tronco, o del tordo e della lontra marina

che schiaccia molluschi.

spirale1.jpg

Gli scienziati che cercano tra i fossili esistenti un antecedente plausibile

degli archeoceti, si sono orientati per molto tempo verso i mesonichidi,

un vasto gruppo di mammiferi terrestri che fiorirono nel Paleocene, subito

dopo l’estinzione dei dinosauri. I mesonichidi erano perlopiù carnivori o

onnivori come l’orso di Darwin, e parevano degni antenati delle balene

prima che spuntasse l’ipotesi dell’ippopotamo. Un’altra loro bella

caratteristica era la presenza di zoccoli. Erano carnivori con gli zoccoli:

simili ai lupi, m con gli zoccoli.

Che abbiano dato origine sia agli ungulati artiodattili sia alle balene?

Purtroppo, l’ipotesi non si sposa con la teoria dell’ippopotamo.

Benché i mesonichidi siano parenti degli odierni ungulati artiodattili,

non sono più imparentati con gli ippopotami di quanto lo siano con il

resto degli animali dotati di piede fesso. Torniamo ancora una volta alle

prove molecolari e alle incredibili scoperte cui hanno condotto: le balene

non sono cugine di tutti gli artiodattili, ma sono ‘incluse’ negli artiodattili,

e più affini agli ippopotami di quanto questi non siano affini alle vacche.

Mettendo insieme i dati raccolti, possiamo abbozzare la seguente cronologia

progressiva. Dalle prove molecolari risulta che i cammelli si divisero

dal resto degli artiodattili 75 milioni di anni fa, all’epoca in cui scomparvero

gli ultimi dinosauri. A proposito, non si pensi che l’antenato comune

somigliasse a un cammello: allora tutti i mammiferi avevano l’aspetto di

toporagni. Ma, 75 milioni di anni fa, i toporagni che avrebbero dato

origine ai cammelli si separarono dai toporagni che avrebbero dato origine

al resto degli artiodattili. La divisione fra maiali e gli altri ruminanti ebbe

luogo 60 milioni di anni fa. La divisione tra ruminanti e ippopotami avvenne

55 milioni di anni fa. Non molto tempo dopo, circa 54 milioni di anni fa,

la linea ancestrale delle balene si divise dalla linea ancestrale degli

ippopotami, dando a una balena primitiva come il Pakicetus semi-acquatico

il tempo e il modo di evolversi, 50 milioni di anni fa.

Le balene con i denti e le balene con i fanoni,  si separarono solo 34 milioni

di anni fa, all’epoca a cui risalgono i primi fossili di balene con i fanoni.

Forse ho calcato la mano quando ho spiegato quale sorpresa sia stata per

un zoologo tradizionale come me apprendere della parentela ippopotami-

cetacei, ma sono rimasto sconcertato, qualche anno fa quando lessi di

tale ipotesi (……..), ma a prescindere ciò si noterà che la scoperta della

connessone ippopotamo-balena mette a dura prova ogni certezza.

Riacquisteremo fiducia se ci venisse in mente un buon motivo per cui

le balene avessero qualcosa di speciale che le distinguesse sotto questo

particolare riguardo. Per esempio potrebbe essere artiodattili con una

marcia in più, che d’un tratto hanno decollato dal punto di vista evolutivo,

lasciandosi alle spalle il resto della categoria.

I loro più stretti cugini, gli ippopotami, non sarebbero invece progrediti

granché, restando normali, simili ai maiali, rispettabili artiodattili.

In poche parole, nella storia delle balene è magari successo qualcosa che

le ha fatte EVOLVERE a un ritmo così veloce da rendere impossibile,

con mezzi non molecolari, individuare in esse l’antica origine di artiodattili?

Che cosa potrebbe essere questa caratteristica così speciale?

Quando si imposta il problema in questo modo, la soluzione salta agli occhi.

Abbandonare la terraferma e diventare totalmente acquatici equivalse ad

andare nello spazio.

mare.jpg

Nello spazio siamo senza peso.

La balena galleggia.

Diversamente dalla foca o dalla tartaruga, che continuano a riprodursi sulla

terraferma, la balena non smette mai di galleggiare.

Non subisce mai le costrizioni della gravità.

L’ippopotamo passa del tempo in acqua, ma ha sempre bisogno di zampe

muscolose e robuste come tronchi per camminare sulla terraferma.

La balena non ha bisogno di zampe e, di fatto, non ne ha.

galassia.jpg

In fondo, è quello che vorrebbe essere un ippopotamo se solo potesse affrancarsi

dalla tirannia della gravità. Poi, naturalmente, vivere tutto il tempo in

mare procura molti altri vantaggi, sicché non c’è da stupirsi più se l’evoluzione

dei cetacei è stata così rapida e gli ippopotami, come i maiali, sono rimasti

indietro, arenati sulla terraferma in mezzo agli artiodattili.

Circa lo stesso era accaduto trecento milioni di anni prima, quando i nostri

ANTENATI pesci erano emersi dall’acqua per stabilirsi sulla terraferma.

Se i cetacei sono ippopotami con una marcia in più, noi siamo dipnoi con

una marcia in più.

L’emergere di balene senza zampe dalla moltitudine degli altri artiodattili

rimasti ‘indietro’ non dovrebbe sorprendere più dell’emergere di animali

terricoli a quattro zampe di un particolare gruppo di pesci rimasti, rispetto

a loro, ‘indietro’.

In ogni caso, così cerco di spegarmi razionalmente la connessione balena-

ippopotamo e di riacquistare la perduta sicurezza di zoologo tradizionale.

(R. Dawkins, Il racconto dell’antenato)

…Un sito www.seashepherd.org

Da giulianolazzari.myblog.it

www.giulianolazzari.com

to death.jpg

 

IL RACCONTO DELLA BALENA (quando e perché) (6)

galassia.jpg

Precedente capitolo:

parentesi-della-caccia-storia-e-informazioni.html

Quando, da ragazzo, studiavo il greco, imparai che hippos voleva dire

‘cavallo’ e che ‘potamos’ voleva dire ‘fiume’.

Gli ippopotami erano i ‘cavalli del fiume’.

In seguito, quando abbandonai il greco per la zoologia, non mi stupì troppo

apprendere che gli ippopotami non erano imparentati con i cavalli, ma erano

della stessa classe dei maiali, fra gli ungulati paradigitati, o artiodattili. Ora ho

saputo una cosa incredibile a cui stento ancora a credere, ma a cui pare proprio

debba rassegnarmi a credere: per gli ippopotami, i cugini viventi più prossimi

sono le balene!

Naturalmente, siccome le balene non hanno zoccoli e nemmeno dita, pari o

dispari che siano, sarà meglio adottare il termine scientifico ‘artiodattili’ (che

in greco, però significa appunto ‘paradigitati’, per cui siamo al punto di

partenza). Per amore di completezza, dovrei aggiungere che il nome scientifico

per gli ungulati come i cavalli è perissodattili. Da numerose prove molecolari

le balene risultano essere artiodattili, ma poiché in precedenza erano state messe

nell’ordine Cetacea e poiché gli artiodattili sono un ordine ormai consolidato,

è stato coniato un nuovo ibrido: Cetartiodactyla, cetartiodattili.

Le balene sono meraviglie della natura; nel loro novero rientrano le creature

più grandi che si siano mai mosse su questa Terra. Nuotano con movimenti

dall’alto verso il basso della spina dorsale, che derivano dal galoppo dei

mammiferi, e tale movimento si contrappone a quello ondulatorio dei pesci

che nuotano o di una lucertola che corre. Gli arti anteriori sono usati per

navigare e mantenere la stabilità. Non vi sono arti posteriori visibili,

ma alcune balene hanno piccole ossa vestigiali della pelvi e delle zampe

nascoste in profondità nel corpo.

Non si fatica a credere che le balene siano strette cugine degli artiodattili

che di qualsiasi altro mammifero. Può sembrare strano, ma non certo

incredibile che la ramificazione a sinistra di un remoto antenato abbia

dato origine a un trasferimento in mare e alle balene, e una ramificazione

a destra a tutti gli ungulati artiodattili. Sbalordisce invece apprendere che,

secondo le prove molecolari, le balene sono incluse negli artiodattili.

ippopotamo.jpg

Gli ippopotami sono più imparentati con le balene che con qualsiasi

altro animale. Proprio alla balena mi riferivo, presentando i cetartiodattili,

ho detto che questo gruppo riservava una sorpresa.

E’ chiamata ‘ipotesi Whippo’, da whale e hippo, ‘balena’ e ‘ippopotamo’.

Tutto questo, naturalmente, se crediamo alle prove molecolari.

Che cosa dice la documentazione fossile?

All’inizio mi sono stupito di vedere che pareva confermare la nuova teoria.

late cretaceous1.jpg

La maggior parte dei grandi ordini di mammiferi risalgono all’epoca dei

dinosauri, come si è visto a proposito della grande catastrofe del Cretaceo.

Ma all’epoca, che i loro discendenti fossero destinati  a diventare topi o

ippopotami, i mammiferi erano tutti piccoli come toporagni.

toporagno.jpg

Cominciarono realmente a diversificarsi subito dopo l’estinzione dei

dinosauri, 65,5 milioni di anni fa: solo allora presero a prosperare nelle

nicchie rimaste vacanti. Poterono raggiungere dimensioni corporee

ragguardevoli solo dopo la scomparsa dei dinosauri. Il processo di

evoluzione fu rapido e una vasta gamma di mammiferi di ogni forma

e dimensione vagò per la Terra durante cinque milioni di anni di

‘leberazione’. Dai cinque ai dieci milioni di anni dopo, in un’epoca

paleocene2.gif

compresa fra il tardo Paleocene e il primo Eocene, abbondano i

fossili di ungulati artiodattili. Altri cinque milioni di anni dopo,

tra l’inizio e la metà dell’Eocene, troviamo un gruppo chiamato

archeoceti, ossia ‘antichi cetacei’.

Gli scienziati perlopiù convengono che al suo interno si trovino gli

antenati delle odierne balene. Uno dei più antichi, il Pakicetus del

Basilosaurus.jpg

Pakistan, trascorreva parte del tempo sulla terra. Tra gli archioceti

successivi si conta un esemplare dal nome infelice di Basilosaurus,

aveva un corpo lunghissimo e, se solo non fosse stato da tempo

estinto, avrebbe recitato a meraviglia il ruolo del gigantesco serpente

marino delle leggende. All’epoca in cui le balene erano rappresentate da

creature come Basilosaurus, gli antenati dell’ippopotamo erano forse membri

di un gruppo chiamato antracoteri, che in alcune ricostruzioni appaiono

molto simili agli ippopotami.

Tornando al problema delle ‘origini’, quali erano gli antenati delle balene

precedenti gli archioceti, prima del ritorno in mare?

(continua…)

(R. Dawkins, Il racconto dell’antenato)

Da  giulianolazzari.myblog.it

www.giulianolazzari.com

 

mare.JPG

 

 

PARENTESI DELLA CACCIA (mar dei massacri) (5)

balena_occhio.jpg

Precedente capitolo:

la-caccia-4.html

Verso la fine del 700, quasi tutte le balene delle ‘qualità migliori’ erano

state allontanate dagli approdi nordorientali dell’America. Ciò non toglie

che quelle acque fossero ancora piene delle varie specie che i primi

balenieri chiamavano ‘di qualità peggiore’ perché questi animali erano

in genere troppo veloci e agili per lasciarsi prendere, dopo la morte

difficilmente ricuperabili o irrecuperabili, in quanto andavano a

fondo, oppure poveri di olio in paragone alle balene franche.

La qualità inferiore comprendeva l’animale più grande mai

esistito sul pianeta: la balenottera azzurra. Certe balenottere

azzurre senz’altro eccezionali arrivavano a lunghezze di circa 30

metri e più e pesavano oltre un centinaio di tonnellate. Oggi ne

sopravvivono probabilmente alcune, lunghe più di 24 metri.

Ma poi, le superstiti sono così poche…

Benché di dimensioni quasi inimmaginabili, la balenottera azzurra

è un gigante gentile. Si nutre di Krill, piccoli organismi simili a

krill.jpg

gamberetti che l’animale filtra dall’acqua con l’aiuto di uno schermo

di 300-400 fanoni contenuti in una bocca enorme. Di forme

idrodinamiche perfette, la balenottera azzurra possiede un vigore

fisico quasi incredibile. Si sposta nonostante l’enorme corpo a

una velocità media di 8 o 9 nodi, ma può raggiungere, accellerando

l’andatura, di 20 nodi.

balena azzurra.2jpg.jpg

La balenottera azzurra è il membro più eminente della famiglia delle

balenottere. La rassomiglianza tra le singole specie di balenotteri si

confonde a tal punto che gli scienziati sono riusciti solo recentemente

a mettersi d’accordo sulla suddivisione del genere. Di esso fanno

parte le balenottere azzurre, seguite dalle balenottere comuni che

raggiungono una lunghezza di circa 24 metri, e due specie quasi

identiche, le banenottere boreali e le balenottere di Byrde che

bryde1.jpg

arrivano fino a 18 metri. Infine abbiamo la relativamente piccola

balenottera minke, detta anche balenottera minore o rostrata, di

circa 10 metri.

Le balenottere rappresentano il gruppo più recente (cioè più

evoluto) di tutte le balene in possesso di fanoni. Ci sono tutti

i motivi per sospettare che la capacità del loro cervello non

sia molto lontana da quella del cervello umano, benché

sicuramente le balenottere non se ne servano per gli scopi ai

quali lo riserviamo noi. E prima di subire la nostra condanna a

morte, le balenottere furono anche la specie più abbondante delle

balene di grandi dimensioni. A prescindere dalle dimensioni e

dal colore, le varie specie di balenottere sono quasi indistinguibili

da un osservatore superficiale. Effettivamene, la balenottera minke

ebbe questo nome quando un baleniere norvegese chiamato Meincke

scambiò un gruppo vicino di queste balene di dimensioni piuttosto

ridotte con un branco di balenottere azzurre, molto lontane, un

equivoco che conferì al distratto personaggio un’immortalità non

desiderata.

Anche il comportamento e le vicissitudini di tutte le balenottere

sono essenzialmente simili, solo che la balenottera azzurra si nutre

esclusivamente di krill, mentre le altre possono anche mangiare certi

pesci piccoli come capelan, aringhe e così via se si presenta l’occasione.

Vivono molto a lungo, talvolta anche oltre gli 80 anni, sono eccezionalmente

veloci e graziose nei movimenti quando nuotano. Le balenottere boreali

sono capaci di raggiungere sott’acqua velocità prossime ai 25 nodi.

balena azzurra.jpg

Si aggirano un po’ dappertutto nel mare aperto, trascorrono l’inverno in

acque temperate o tropicali e migrano in primavera verso climi più freddi,

persino polari. A causa della loro estrema adattabilità alle condizioni dei

vari mari, non hanno bisogno di acque particolarmente protette per la

prole, e la loro prole, e le loro femmine partoriscono quasi tutte in mare

aperto. Molte, comunque, si avvicinano alla terraferma durante la primavera

e l’estate per approfittare della grande abbondanza di cibo esistente sui

banchi continentali e su quelli racchiusi nelle insenature. Quando il loro

destino era ancora roseo, erano molto socievoli e così si mostravano spesso.

Ancora nell’ultimo ventennio del secolo scorso, branchi di balenottere comuni

composti da oltre mille esemplari erano una vista abbastanza usuale.

Un certo Milne, comandante di un transatlantico della Cunard, che

attorno al 1880 ebbe la ventura di incontrare una simile assemblea di balenottere

nell’Atlantico del Nord, parogonò lo spettacolo a uno ‘spazio di mezza

contea pieno di locomotive tutte sbuffanti nubi di vapore come se ne

andasse della vita’.

Come accadde in molte famiglie unite da saldi vincoli, anche quella delle

balenottere conta tra i suoi membri un personaggio eccentrico. Si tratta della

balenottera o megattera nodosa, la balenottera gobba, l’humpback dei balenieri

anglosassoni, una creatura fuori del comune non solo per l’aspetto, ma anche

per il comportamento. Questo, che è uno degli animali più giocherelloni

esistenti al mondo, ha subito probabilmente nel corso dei tempi notevoli

mutazioni fisiche perché predilige evoluzioni complicate. La megattera

nodosa è anche celebre per la capacità addirittura di comporre e CANTARE

MELODIE INDIVIDUALI ABBASTANZA COMPLESSE E CON UN ACCENTO

CHE COMMUOVE. Il suo corpo è un tantino tozzo sembra un po’ troppo

corto in confronto alle forme squisitamente idrodinamiche delle altre balenottere.

(continua…)

(F. Mowat, Mar dei massacri)

un sito

www.seashepherd.org

baleniera.jpg

LA CACCIA (4)

E così attraverso le serene tranquillità del mare, fra onde i cui applausi

erano sospesi per l’estasi estrema, Moby Dick proseguiva, ancora celando

alla vista la pienezza dei terrori del tronco sommerso, nascondendo per

intero il tristo orrore della sua mascella.

moby1.gif

Ma presto la parte anteriore emerse lentamente dall’acqua; per un’attimo

tutto qunto il corpo marmoreo formò un grande arco come quello del ponte

naturale della Virginia, e ondeggiando ammonitrice la coda nell’aria come una

bandiera, il grande Dio si rivelò, si tuffò e sparì. Smettendo di volare e scivolando

ilvolo.jpg

d’ala, i bianchi uccelli marini indugiarono bramosi sullo specchio d’acqua agitato

che esso lasciò. Con i remi alzati e le pagaie abbassate, le scotte delle vele alla

deriva, le tre lance galleggiavano calme, in attesa che Moby Dick riapparisse.

caccia6.jpg

– Un’ora, disse Achab, piantato a poppa della sua lancia, e gettò lo sguardo

oltre il luogo della balena verso i foschi spazi azzurri e gli ampi vuoti affascinanti,

a sottovento. Fu solo un istante, poiché nuovamente gli occhi parvero girarglisi

nel capo, come una vertigine, mentre sfiorava con lo sguardo il cerchio dell’

acqua.

La brezza ora si levava, e il mare cominciò a ingrossare.

– Gli uccelli! Gli uccelli!, gridò Tashtego.

In lunga fila indiana, come quando gli aironi prendono il volo, i bianchi uccelli

volano ora tutti verso la lancia di Achab, e quando furono a distanza di pochi

metri, cominciarono a sbattere le ali sull’acqua lì intorno, roteando tutto in

giro, con grida gioiose, d’attesa.

La loro vista era più acuta di quella dell’uomo:

‘Achab non poteva scorgere più nel mare alcun segno’.

caccia.jpg

Ma a un tratto, mentre scrutava sempre più in fondo, negli abissi, vide laggiù

una bianca macchia vivente, non più grande di una donnola bianca che saliva

con una prodigiosa velocità, e salendo cresceva, finché si voltò e allora si

rivelarono due lunghe file sbieche di denti bianchi e brillanti, che venivano

su fluttuando dal fondo impenetrabile. Era la bocca aperta di Moby Dick e

la sua curva mascella, mentre la massa smisurata era ancora celata dall’

ombra quasi confusa con l’azzurro del mare. La bocca lucente si spalancò

sotto la lancia come una tomba marmorea aperta, e con un colpo di fianco

del remo da governo Achab allontanò l’imbarcazione da questa apparizione

tremenda. Poi, chiamando Fedallah perché scambiasse con lui il proprio

posto, andò avanti a prua e, afferrato il rampone di Perth, ordinò all’

equipaggio di agguantare i remi e star pronti ad arretrare.

mobydick12.jpg

Ora, per via di questo tempestivo girare della lancia su se stessa, la prua

fu condotta in anticipo a fronteggiare la testa della balena, mentre questa

era ancora sott’acqua. Ma come se avesse avvertito lo stratagemma,

Moby Dick, con quella malvagia intelligenza che le si attribuiva, si trasportò

di fianco, per dir così, in un baleno, lasciando per il lungo sotto la lancia

la sua testa. Dappertutto, per ogni tavola e ogni costura, l’imbarcazione

per un momento fremette, e la balena, distesa obliquamente sulla schiena

come un pescecane che sta per mordere, lentamente a tastoni prese tutta

la prua in bocca, cosicché la lunga, stretta mascella ricurva si drizzò alta

nell’aria, e un dente si infilò in uno scalmo.

caccia3.jpg

L’azzurrino perlaceo dell’interno della mascella stava a meno di sei pollici

dal capo di Achab, e andava anche più in alto. In questa attitudine, la Balena

Bianca scosse ora il cedro leggero, come un gatto morbidatamente crudele

il suo topo. Con gli occhi impassibili Fedallah guardò e incrociò le braccia;

ma gli uomini dell’equipaggio giallo-tigrato ruzzolarono gli uni sulla testa

degli altri, per raggiungere l’estremità della poppa.

E ora, mentre entrambi gli elastici parabordi balzavano avanti e indietro, e

la balena si trastullava con la lancia condannata in questa maniera diabolica,

dato che, avendo il corpo sommerso sotto l’imbarcazione, non poteva essere

colpita da prua, perché la prua quasi l’aveva dentro, per dir così, e mentre

le altre lance si fermavano senza volerlo, come dinanzi ad una rapida crisi

cui sia impossibile opporsi, fu allora che il pazzo Achab, inferocito per questa

torturante vicinanza del nemico, che lo poneva, vivo e impotente, proprio

dentro quella mandibola che egli odiava, fu allora che Achab, in delirio per

tutto questo, afferrò con tutt’e due le mani nude il lungo osso, e come un

fosennato cercò di strapparne la presa.

balena bianca1.jpg

Ora, mentre così si accaniva invano, la mandibola gli sfuggì, i fragili parabordi

si piegarono in dentro, ricaddero e si ruppero, mentre le due mandibole, come

cesoie, insinuandosi ancora più verso poppa, divisero il legno perfettamente

in due, e si richiusero ermeticamente in mare, esattamente in mezzo ai due

relitti fluttuanti.

(Melville, Moby Dick)

…..Puoi aiutare se vuoi contro la ferocia del baleniere (giapponese e non)

Achab, in tutti i mari della vita, dove la natura è sempre presente e

viva, contro la falsità, l’ingordigia, l’inganno e la meschina ottosità di

ogni nave da lui comandata, …tutte le specie ‘animali’ (e non) in via di estinzione….

Segnalo una valida associazione…

bisaccia1bis.jpg

foca1.jpg

 

 

LA CACCIA (3)

beluga1.jpg

Precedente capitolo in:

la-caccia-2.html

Come silenziose conchiglie nautili, le prue leggere filavano sul mare, ma

solo lentamente si avvicinavano al nemico. Mentre guadagnavano terreno,

l’oceano diventava sempre più liscio, pareva stendere un tappeto sopra le

onde, pareva un prato a mezzodì, tanto serenamente si estendeva.

moby6.jpg

 

Alla fine il cacciatore ansante venne così vicino alla preda, apparentemente

senza sospetto, che fu distintamente visibile la sua gobba, abbagliante che

scivolava sul mare come alcunché di isolato, continuamente circondata da

un anello ondeggiante della spuma più bella, lanosa e verdestra.

Egli vide le grandi rughe involute della testa leggermente sporgente in

avanti. Innanzi a essa, lontano, sulle morbide acque che parevano un tappeto

turco, procedeva la bianca ombra brillante dell’ampia fronte lattea, un musicale

sciacquio accompagnandone scherzosamente l’onda; dietro, le acque azzurre

rifluivano mescolandosi nella mossa vallata della sua scia, mentre di lato,

bolle splendenti si levavano e le danzavano intorno sui fianchi. Ma queste

bolle erano rotte dai piedi leggeri di centinaia di allegri uccelli, che ornavano

pulcinella.jpg

il mare di piume leggere, e si alternavano nel loro volo irregolare. E come

un’asta di bandiera che si levi dalla chiglia dipinta di una galea, l’asta lunga

da poco spezzata di una lancia sporgeva dalla schiena della Balena Bianca

e, a intervalli, uno del nugolo di uccelli dai piedi leggeri, che svolazzavano

lì intorno, e passava sul pesce sfiorandolo come un baldacchino, uno di

questi, si appolaiava in silenzio dondolandosi su questo palo, le lunghe

penne della coda sventolanti come pennoni.

Un’allegrezza gentile, una forte dolcezza di riposo nella rapidità rivestiva

la balena nella sua corsa. Non il bianco toro, Giove, fuggendo a nuoto con

la rapita Europa aggrappata alle belle corna, con gli occhi amorosi e

ammiccanti fissi da canto alla ragazza, con costante velocità affascinante

correva dritto al recesso nuziale, a Creta; nemmeno Giove, non la sua

grande suprema maestà!, superò la gloriosa Balena Bianca mentre così

divinamente nuotava.

moby5.jpeg

Su ogni morbido fianco, in coincidenza con l’onda divisa che, lambendola

solo una volta, scorreva via via così lentamente su ogni fianco lucente, la

balena spandeva seduzioni.

Nessuna meraviglia allora che qualche cacciatore, indicibilmente trasportato

e attratto da tutta questa serenità, abbia osato assalirla, ma abbia fatalmente

scoperto che quella quiete non era che il rivestimento di uragani.

balena.jpg

Eppure tranquilla, seducemente tranquilla, oh, Balena, tu continui a nuotare,

per tutti coloro che per la prima volta ti vedono, non importa quanti tu ne

abbia prima in quello stesso modo beffati e sterminati.

(Melville, Moby Dick)

mobydick4.jpg

LA CACCIA (2)

melville1.jpg

Precedente capitolo:

il-naufragio-nel-mare-della-politica.html

Achab apparve, in tutta la sua statuaria presenza,

ordinò in fretta di modificare leggermente la rotta e di

restringere le vele. L’acuta sagacia che dettava questi movimenti fu più

che giustificata, allo spuntar del giorno, dallo spettacolo di una lunga

striscia lucida sul mare, proprio davanti alla prua, levigata con olio,

e simile, nelle piegate increspature d’acqua che l’orlavano, al liscio

segno metallico di qualche veloce ribollimento della marea presso

la foce di un corso d’acqua rapido e profondo.

mobydick7.jpg

– Armate le teste d’albero! Fuori tutti!

Facendo frastuono con le estremità di tre pesanti manovelle sul ponte

del castelletto di prua, Daggoo svegliò i dormienti con colpi così da

Giudizio Universale che quelli parvero esalare dal boccaporto, tanto

fulmineamente apparirono con i vestiti in mano.

– Che cosa vedete?, urlò Achab, spianando la faccia al cielo.

– Nulla, nulla, sinore!, fu il suono che echeggiò in risposta.

– Il pappafico e i coltellacci. E da tutt’e due le parti.

Levate tutte le vele, sciolse la corda di sicurezza che serviva ad issarlo

alla testa d’albero di controvelaccio, e in pochi istanti ve lo sollevarono;

se non che, quando era soltanto due terzi del percorso, e scrutava innanzi,

nel vuoto orizzontale tra le vele di gabbia e quella di velaccio, levò nell’aria

un grido da gabbiano:”Soffia! soffia! La gobba come una collina di neve!

E’ Moby Dick!”.

images.jpg

Accesi dal grido che parve riecheggiare contemporaneamente dalle tre

vedette, i marinai in coperta corsero alle attrezzature per vedere la famosa

balena che da tanto tempo inseguivano. Achab aveva ormai raggiunto il

suo posatoio finale, piedi al di sopra delle altre vedette, dato che Tashtego

gli stava proprio sotto, sulla testa dell’albero di velaccio, sicché la testa

dell’indiano era quasi al livello del calcagno di Achab. Da quell’altezza

si vedeva ora la balena distante qualche miglio da prora che rivelava,

a ogni rollio del mare, la sua alta gobba scintillante, e lanciava regolarmente

nell’aria il suo getto silenzioso. Ai creduli marinai parve la stessa sfiatata

silente che per tanto tempo avevano visto sotto la luna, negli Oceani

Atlantico e Indiano.

– E nessuno di voi l’ha vista prima?, gridò Achab rivolto ai marinai appollaiati

tutt’intorno a lui.

– L’ho veduta quasi nello stesso istante del capitano Achab, signore, e l’ho

gridato, disse Tashtego.

– Non nello stesso istante, non nello stesso….No, il doblone è mio, il Fato

riservò a me il doblone. Io solo, nessuno di voi avrebbe potuto avvistare

prima di me la Balena Bianca.

Laggiù soffia!

Laggiù soffia!

Ecco, di nuovo! Di nuovo!, gridò in toni strascicati e metodici, in sintonia con

i graduali prolungamenti dei getti invisibili della balena.

mobydick2.jpg

– Sta per scandagliare! Dentro i coltellacci! Pronti alle tre lance.

Signor Starbuck, tu resti a bordo e tieni la nave. Timone, là! A sopravvento, a

sopravvento di un punto! Così: fermo, marinaio, fermo! Laggiù, le pinne si

muovono! No, no, soltanto acqua scura! Tutto pronto, là, con le lance? Pronti,

pronti! Calami, Starbuck, calami calami; svelto, più svelto!

E scivolò nell’aria fino al ponte.

– Va difilato a sottovento, signore, gridò Stubb – proprio dritto davanti a noi.

Non può aver visto la nave.

mobydick6.jpg

– Sta’ zitto, marinaio. Pronti ai bracci! Giù il timone! Bracciare in su! Sbatte,

sbatte! Così: bene! Le lance, le lance!

Ben presto tutte le lance, eccetto quella di Starbuck, furono ammainate,

tutte le vele issate, tutte le pagaie al lavoro con una velocità che increspava

le onde, e scattarono sottovento, conducendo Achab all’assalto.

Un pallido chiarore di morte illuminò gli occhi incavati di Fedallah, un

orribile movimento gli rose la bocca.

(Melville, Moby Dick)

mobydick5.jpg

 

AVVENTURE DELLA DOMENICA POMERIGGIO: UNA GRANDE NAVE SFIDA IL TEMPO (3)

Precedente capitolo

avventure-della-domenica-pomeriggio-una-grande-nave-sfida-il.html

Linton conosceva perfettamente anche i pregi dei pescherecci del suo nativo Firth of

Forth, da sempre famosi in tutte le isole Britanniche per la velocità e la tenuta del mare;

fece quindi il fondo del ‘Cutty Sark’ a imitazione del loro, notevolmente più squadrato

di quelli dei clipper in servizio fino ad allora. Dalla combinazione di queste linee nacque

una nave originalissima.

cutty1.jpg

 

Il ‘Cutty Sark’ era lungo 64,80 , 15 m più del Thermopylae e 4,50 più dell’Ariel. Era provvisto

di un’alberatura più pesante di quella di ogni altro clipper del tè, e di conseguenza poteva

portare una velatura pari a quella di una fregata da 1500 tonnellate: 3000 mq manovrati da 16

km di manovre, grazie ai quali disponeva di una forza motrice pari a 3000 cavalli.

sark2.jpg

 

Willis aveva già deciso di affidare il comando del ‘Cutty Sark’ all’ex primo ufficiale del Tweed,

George Moodie, che pertanto mandò a Dumbarton affinhé sovrintendesse alla costruzione.

Moodie era perfezionista quanto l’armatore, e volle che lo scafo fosse costruito con legname

impeccabile e che il ponte di coperta fosse interamente in legno teak.

Inutile dire che anche le rifiniture furono particolarmente eleganti.

sark3.JPG

 

All’altezza del ponte di ‘coperta’, una fascia di oro laminato correva lungo le murate dello scafo

verniciato di nero. Anche il nome della nave e le parole ‘Port of London’, che decoravano la

poppa in lettere a rilievo circondate da una corona di alloro, erano in oro laminato.

La polena naturalmente rappresenteva la giovane strega della leggenda nella sua succinta

camicia.

sark4.jpg

Il ‘Cutty Sark’ fu varato il 22 novembre 1869. Dodici settimane dopo il clipper salpava da Londra

per la Cina per dimostrare per la prima volta quel che sapeva fare. Per tutta la traversata il

capitano Moodie cercò di capire quale fosse l’armonia ideale tra velatura e attrezzature, e nei

giorni in cui l’abile uomo di mare riuscì a trovarla, il ‘Cutty Sark’ si mostrò straordinariamente

docile e registrò un rendimento eccellente: 343 miglia in 24 ore, una volta, 360 un’altra, cioè

rispettivamente una media di 14,5 nodi e di 15 nodi.

Ma nei giorni in cui l’armonia veniva a mancare, il ‘Cutty Sark’ diventava ombrosa e si

trascinava a fatica.

leslie1.jpg

Insomma impiegò 104 giorni per raggiungere Shangai, un tempo onorevole ma certamente non

eccezionale.

A Shangai, Moodie dovette far fronte a un problema: riempire la stiva del tè.

AfternoonTea_DunlopLeslie.jpg

 

Una decina di vapori, che ormai potevano suifruire del passaggio del canale di Suez, si erano

già aggiudicati la parte del leone del primo raccolto dell’anno.

Moodie dovette perciò aspettare  un                                                004tea.jpg

intero mese finché arrivò il carico

successivo, e poi concluse un contratto

di trasporto per 600 tonnellate di tè,

ma all’infimo prezzo di 3 sterline e

10 scellini per 45 decimetri cubi, la

metà della tariffa praticata dai clipper

prima dell’apertura del canale.

Ora doveva misurarsi con il rivale,

il ‘Thermopylae’ sul tragitto di ritorno.

Fu una corsa contro il tempo, poiché

i due clipper non partirono

contemporaneamente.

Il ‘Cutty Sark’, che era salpato il

25 giugno, arrivò a Londra in 110

giorni; il ‘Thermopylae’ partì

un mese più tardi e, avendo

incontrato venti migliori, riuscì a

percorrere il medesimo tragitto

in soli 105 giorni. Il secondo viaggio in Cina, l’anno dopo, durò 108 giorni: ancora

niente di sensazionale. Al ritorno la nave batté l’Ariel di una settimana, ma dovette

nuovamente inchinarsi davanti al ‘Thermopylae’, che coprì la distanza in 106 giorni.

Thermo3.jpg

 

Anche questa volta il ‘Thermopylae era stato favorito dalle condizioni atmosferiche.

Nel 1872, al suo terzo viaggio, il ‘Cutty Sark’ ebbe finalmente occasione di misurarsi con il

‘Thermopylae’ in condizioni identiche per tutto il viaggio di ritorno. Lasciarono insieme la

foce di Shangai il 18 giugno 1872, e si trovarono entrambi per tre giorni immersi nella nebbia.

Quando il tempo schiarì, discesero il mar della Cina per quattro settimane, alternandosi al

comando. Il 25 luglio, alle 14, la vedetta del ‘Cutty Sark’, in alto sulle crocette, scorse il

‘Thermopylae’ quasi tre miglia avanti. Poi i due rivali si persero di vista. Il vento rinfrescò, e

il ‘Cutty Sark’ cominciò a volare registrando nei tre giorni successivi rispettivamente 340, 327

e 320 miglia. Moodie non poteva saperlo, ma due settimane dopo era in testa di 400 miglia.

Il 9 agosto il ‘Cutty Sark’ che era già entrato nell’oceano Indiano, fu sorpreso da una fortissima

burrasca. Il vento infuriò senza un solo attimo di tregua per 6 giorni di seguito e il 15 un colpo

di mare strappò al ‘Cutty Sark’ il timone che, appesantito dalle ferramenta, si inabissò

immediatamente.

(I clipper, C. Whipple, a cura dei redattori delle edizioni Time-Life)

 

leslie2.jpg

 

VIAGGI IN ALTRI MONDI: IL JAZZ (Gerry Mulligan) (6)

Precedente capitolo:

viaggi-in-altri-mondi-il-jazz-jerry-mulligan-5.html

Una tournée in Giappone, nel 1964; il matrimonio con l’attrice cinematorafica Sandy Dennis

che nel 1965 occupò nel suo cuore                              mulligan1.jpg

il posto rimasto vuoto

dopo la prematura morte

della Holliday; e la

costituzione di un gruppo

con piano, chitarra, basso

e batteria.

L’impresa più impegnativa

di quegli anni fu la

composizione, in

collaborazione con

Bill Holman,

di una ‘Music for

baritone saxophone

and orchestra’

che fu presentata, con

lui come solista ospite,

dalla Los Angeles

Neophonic Orchestra di Stan Kenton, nel 1966.

All’anno successivo risale un’altra collaborazione con Holman: la musica per il film ‘Luv’,

composta da lui e orchestrata dall’amico.

davis1.jpg

 

In quel periodo – tra il 1966 e il 1967 – si situano anche alcune sue apparizioni, come solista

aggiunto, con delle grandi orchestre dirette da Bill Russo e da Gil Evans, il quale presentò

allora, più di una volta, formazioni che potevano essere considerate degli sviluppi dei

gruppi riuniti attorno a Miles Davis sul finire degli 40.

mulligan2.jpg

Quanto alle riapparizioni in pubblico del quartetto con Bob Brookmeyer, esse possono essere

considerate delle riesumazioni, delle commemorazioni. Non era, quella di cui si è detto, un’

attività che potesse riempire le sue giornate, ad ogni modo. La verità è che Gerry Mulligan

si era trasformato in uno svagato playboy, che sembrava, e sembra, divertirsi soprattutto a

girare il mondo, magari per accompagnare la moglie negli spostamenti impostile dagli

impegni cinematografici, e a conversare amabilmente con chiunque gli capiti a tiro.

Il giovanotto teso, irritabile e sarcastico dei primi anni era già un ricordo: liberatosi da tempo

dalla schiavitù della droga, Mulligan era divenuto un simpatico ‘bon vivant’, un intelligente

e molto eloquente conversatore che prende le cose come vengono ma che osserva attentamente

tutto ciò che accade nel mondo. Era però – ed è tuttora – sempre pronto a unirsi ai jazzmen

di tutte le confessioni per improvvisare in jam-session, o a inserirsi, come solista avventizio,

in qualche complesso altrui.

mulligan3.jpg

 

Andò a finire che si unì stabilmente – anche soltanto per delle esibizioni concertistiche – a Dave

Brubeck, che alla fine del 1967 aveva sciolto il suo ormai longevo quartetto con l’intenzione di

dedicarsi prevalentemente alla composizione  e che nel maggio 1968, su suggerimento di

George Wein, propose a Mulligan di aggregarsi al suo trio – completato dal bassista Jack Six

e dal batterista Alan Dawson – per suonare come solista aggiunto in alcuni concerti negli

Stati Uniti e subito dopo a Città del Messico, e in altre città messicane toccate da uno dei vari

festival viaggianti organizzati da Wein. L’idea non era poi tanto peregrina perché Gerry era

già stato inserito parecchie volte nel quartetto di Brubeck per sostituire Paul Desmond

durante le sue indisposizioni.

mulligan8.jpg

 

Che cosa abbiano in comune Mulligan e Brubeck è difficile dire.

Forse null’altro che un grosso nome, il potere di attrarre le grandi folle. Che sono accorse,

infatti numerose volte ad ascoltarli insieme, in America e più volte in Europa, e anche in

Australia e in Giappone, per assistere a lunghe improvvisazioni in cui ciascuno dei due

principali solisti si muoveva nella personale dimensione.

mulligan4.jpg

 

Migliori risultati Mulligan ha conseguito, di tanto in tanto, suonando come solista di ventura,

di qua o di là dell’Atlantico, che attraversa con sempre maggior frequenza. E ottimi risultati

ha ottenuto quando, vincendo la pigrizia, si è finalmente deciso, nel 1971, a registrare per la

A & M un album tutto suo, intitolato ‘The Age of Steam’. La grossa orchestra da lui riunita per

quell’occasione – e che allineava vari solisti di valore, ivi compreso l’immancabile Bob

Brookmeyer – poteva consederarsi in qualche modo un aggiornamento e un’estensione della

Concert Jazz Band, in confronto alla quale appariva più trascinante in virtù del numero dei

componenti la sezione ritmica, e più colorita grazie grazie a qualche velatura pop.

Mulligan, ad ogni modo, dichiarò di aver voluto riunire quella formazione principalmente

per poter presentare alcune sue nuove composizioni. Tutti brani contenuti nel disco infatti

sono scritti da lui. Due, in particolare, e cioè ‘Grand tour e Golden notebooks’, sono fra le

più belle che abbia mai fatto.

(A. Polillo, Jazz)

Da vedere e ascoltare anche

mulligan

 

sax2.jpg

 

 


 

 

AVVENTURE DELLA DOMENICA POMERIGGIO: UNA GRANDE NAVE SFIDA IL TEMPO (2)

Precedente capitolo

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/11/28/avventure-della-domenica-pomeriggio-una-grande-nave-sfida-il.html

strega.jpg

Nessun armatore amava la vela quanto Jock Willis, un eccentrico soprannominato

di volta in volta ‘Capitano John’, ‘Old Jock’ o ‘Old White Hat’, dal cilindro di castoro

chiaro che indossava sempre sulle banchine di Londra. Marinaio sin dall’infanzia,

aveva percorso tutte le tappe della carriera fino al grado di capitano, e aveva navigato

fin nei più remoti angoli del mondo.

Quando succedette al padre, alla testa della John Willis & Son, era un eccellente

conoscitore delle navi e della natura umana. Estremamente pignolo, ogni volta che

una sua nave prendeva il largo, Jock Willis lasciava il suo ufficcio di Leadenhall

Street per presiedere di persona all’operazione.

turner.jpg

Mentre il rimorchiatore tesava il cavo per trainare la nave fuori dal porto, gli

apprendisti si schieravano lungo la murata e gridavano: ‘Arrivederci, signore!’, e

Jock, la barba bianca agitata dal vento, si levava il cappello e rispondeva:’Arrivederci,

ragazzi!’. Un’altra nave di Willis era partita, e un nuovo legame univa l’armatore al suo

equipaggio.

Jock Willis era animato da un forte spirito di competizione. Nel 1868 si era offeso 

quando George Thompson, un armatore rivale, aveva varato il clipper Thermopylae

sostenendo che sarebbe stato il più veloce del mondo.

Il Thermopylae aveva                                       Thermopylae_Leaving_Foochow.jpg

corrisposto alle

aspettative, effettuando

il primo viaggio dalla

Cina a Londra in 91

giorni.

In testa all’albero 

maestro inalberava un 

marcavento dorato a 

forma di galletto, a 

significare la sua 

posizione di dominio.

Willis aveva raccolto

prontamente la sfida e aveva commissionato un nuovo clipper per la propria flotta:

il Cutty Sark. Si rivolse a un nuovo pregettista, ma scelse un modello sperimentato. 

La nave ammiraglia della sua flotta, e anche la sua beniamina, era il Tweed, di 1745

tonnellate, un mercantile che somigliava a una fregata: quando Willis l’aveva comprato

era un vapore a pale e gli era piaciuto sia per la linea sia perché era in teak del Malabar,

un bel legno resistente alla putrescenza.

tweed2.jpg

Willis l’aveva trasformato in veliero facendone un bastimento veloce e manovrabile, e

si era convinto che fosse possibile adattarne le linee a una versione clipper per 

ottenere una nave impareggiabile. Scelse un architetto di 33 anni, Hercules Linton,

che si era da poco associato a Dombarton, in Scozia, con il ventiquattrenne William

Scott. Era un rischio perché fino ad allora i due giovani avevano varato insieme una 

sola nave.

linton.JPG

Ma Linton aveva imparato il mestiere nel famoso cantiere Hall di Aberdeen,

quello che aveva costruito lo Stornoway e il Chrysolite, i primi due clipper inglesi

rivali degli americani.

L’occhio clinico di Willis gli disse che quei giovani avrebbero fatto un buon lavoro e

il suo acuto senso degli affari gli suggerì di legarli a sé con un contratto di ferro.

Dal canto loro, la molla dell’ambizione spinse i due a cogliere l’occasione di realizzare

una nave per un armatore come Willis, ed essi accettarono di ricevere 17 sterline per

tonnellata costruita, cioè 2 sterline di meno a tonnellata di quanto chiedeva Hall per un

clipper di stazza media. Concluso il contratto, Willis portò Linton a vedere il Tweed nel

bacino di carenaggio, ma il progettista aveva una sua idea in mente e, pur prendendo

ispirazione dal Tweed, non intese farne una copia. La poppa del Tweed era

infatti troppo a botte per i suoi gusti, perciò egli conferì alla struttura poppiera

e alla carena del Cutty Sark sezioni più squadrate, tanto che all’inizio alcuni 

critici osservarono maliziosamente che il veliero somigliava più a un cavallo

da tiro che a un purosangue; tuttavia fu proprio questo accorgimento che 

permise al Cutty Sark di portare una maggiore superficie velica.

(I clipper, Whipple, a cura dei redattori delle edizioni Time-Life)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

csn.3jpg.jpg

      

 

1446 DA FIRENZE A BRUGES: LA STRADA DELLA BANCA (7)

Precedente capitolo

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/11/28/1446-da-firenze-a-bruges-la-strada-della-banca-6.html

hans_memling.png

Dall’altro lato della Reye, nel Markt, sopra la Halle duecentesca si alzava la torre:

ora è alta ottanta metri, allora mancava ancora della parte superiore ottagonale

(costruita nel 1482); nella piazza che era la più grande del centro cittadino, si

teneva il mercato del pesce, altre due piazze non lontane erano destinate al

mercato del grano e a quello delle pelli. Ancora sul Markt vi era forse l’edificio

più sorprendente della città, la Waterhalle della fine del ‘ 200, costruita sopra il

fiume così che le imbarcazioni entravano nel fabbricato per il carico e lo scarico

delle merci al coperto.

Nella bella chiesa di Nostra Signora, luminosamentemd3.jpg

gotica, si trascinava la costruzione dell’altissima torre

di mattoni; arriverà a 122 metri ma sarà finita soltanto

nel 1549. Al vicino ospedale di San Giovanni non era 

ancora arrivato Memling a dipingere i suoi capolavori

(probabilmente è una leggenda che le monache l’abbian

accolto qual soldato ferito).

Un uomo come il Pigli della colta cerchia di Cosimo

si sarà certo incuriosito di quella che si usa chiamare

la scuola pittorica di Bruges, ossia i grandi artisti

fiamminghi del XV secolo che si iscrissero alla 

ghilda cittadina dei pittori ma che per lo più non

erano nati a Bruges (Jan van Eyck probabilmente a Maaseik, Hugo van der Goes

a Gand, Memling nella regione di Magonza).

eyck4.jpg

Il mercante lucchese Giovanni Arnolfini fatto cavaliere da Filippo il Buono, e la moglie

Giovanna Cenami tenevano nella loro casa lo splendido ritratto che si erano fatti dipingere

dodici anni prima da Jan van Eyck e nella chiesa di San Donaziano stava appesa, dello

memling33.jpg

stesso pittore, la Madonna in trono col Bambino tra san Donaziano e il donatore, un

canonico di quella chiesa di nome van der Paele, morto molto vecchio tre anni prima.

goes.jpg

Il 3 maggio tutta la città andava in processione, ogni corporazione preceduta da tre

trombe d’argento.

Lo spasso durava quattro ore.

image003.jpg

Ovviamente partecipava anche il ‘re degli arcieri e dei balestrieri’ che si era guadagnato

il rango due giorni prima, tirando a un pappagallo di legno in uno dei due giardini, 

fuori città, dove quegli specialisti andavano ogni giorno festivo a esercitarsi nel tiro.

(L. Camusso, Guida ai viaggi nell’Europa del 1492)

HalsTwoBoysSinging.jpg