LA VITTORIA FINALE

Un giorno, al principio dell’estate,                                       98iuj76y.jpg

Clarinetto ordinò alle pecore di

seguirlo e le condusse all’altra

estremità della fattoria, in un

ampio terreno invaso da 

betulle.

Le pecore passarono tutta la

giornata a brucare le foglie

sotto la sorveglianza di 

Clarinetto. Questi se ne 

tornò la sera alla casa colonica;

ma poiché faceva caldo, disse

alle pecore di rimanere 

dov’erano. 

Finì che esse rimasero là

un’intera settimana durante la quale nessuno le vide. Clarinetto si tratteneva con loro 

quasi tutto il giorno: stava insegnando loro, diceva, una nuova canzone per cui era

necessario l’isolamento.

Dopo il ritorno delle pecore, in una deliziosa serata, quando, finito il lavoro, gli animali

stavano rientrando alle loro stalle, un terribile nitrito di cavallo risuonò nel cortile.

Stupiti, gli animali si arrestarono.

Era la voce di Berta. Essa nitrì ancora e tutti gli animali irruppero a galoppo nella corte.

Videro allora ciò che aveva visto Berta. Un maiale stava camminando sulle gambe posteriori.

Sì, era Clarinetto. Un po’ goffamente, come se non fosse abituato a portare in quella

posizione il suo considerevole peso, ma con perfetto equilibrio, passeggiava su e giù

per il cortile. 

Poco dopo, dalla porta della casa colonica uscì una lunga schiera di maiali: tutti

camminavano sulle gambe posteriori. Alcuni lo facevano meglio degli altri, qualcuno era

ancora un po’ malfermo e sembrava richiedere il sostegno di un bastone, ma tutti fecero

con successo il giro del cortile. Infine, fra un tremendo latrar di cani e l’altro cantar del

gallo, uscì lo stesso Napoleon, maestosamente ritto, gettando alteri sguardi all’ingiro,

coi cani che gli saltavano attorno.

Stringeva fra le zampe un telefonino.

Seguì un silenzio mortale.

Stupefatti, atterriti, stringendosi assieme, gli animali guardavano la lunga fila dei maiali

marciare lentamente attorno al cortile. Era come se il mondo si fosse capovolto. Poi venne

il momento in cui, passato il primo stordimento, nonostante tutto – nonostante il terrore

dei cani, l’abitudine sviluppata durante lunghi anni di non mai lamentarsi, di non mai

criticare – sentirono la tentazione di pronunciare parole di protesta. Ma in quell’attimo

stesso, come a un segnale dato, tutte le pecore ruppero in un tremendo belato:”Quattro

gambe buono; due gambe, MEGLIO! Quattro gambe, buono, due gambe MEGLIO!

Quattro gambe, buono; due gambe, MEGLIO!”.

Continuarono così per cinque minuti, senza soste. E, quando le pecore si furono calmate,

la possibilità di protestare era passata perché i maiali erano rientrati nella casa.

Benjamin sentì strofinarsi contro la sua spalla. Guardò. Era Berta. I suoi vecchi occhi

erano più appannati che mai. Senza dir nulla, lo tirò gentilmente per la criniera e lo

portò nel grande granaio ove erano scritti i sette comandamenti. Per qualche istante

ristette fissando la parete scura e le lettere bianche.

“La mia vista si indebolisce” disse infine.

“Anche quando ero giovane non riuscivo a leggere ciò che era scritto qui. Ma mi pare che

la parete abbia un altro aspetto. I sette Comandamenti sono gli stessi di prima Benjamin?”

Per una volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era scritto sul muro.

Non vi era scritto più nulla, fuorché un unico comandamento. Diceva:

                     TUTTI  GLI  ANIMALI  SONO  EGUALI

MA  ALCUNI  ANIMALI  SONO  PIU’  EGUALI  DEGLI  ALTRI

Dopo ciò non parve strano che i maiali che sorvegliavano i lavori reggessero fruste nelle

loro zampe. Non sembrò strano di apprendere che i maiali si erano comperati per loro

uso un apparecchio radio, che stavano impiantando un telefono, che avevano fatto 

l’abbonamento al ‘John Bull’, al ‘Tit-Bits’ e al ‘Daily Mirror’. Non sembrò strano vedere

Napoleon passeggiare nel giardino della casa colonica con la pipa in bocca; no, neppure

quando i maiali presero dal guardaroba gli abiti del signor Jones e li indossarono e fu

visto Napoleon in giacca nera, pantaloni e scarpe di cuoio, mentre la sua scrofa preferita

vestiva l’abito di seta che la signora Jones portava la domenica, neppur questo sembrò

strano. 

Una settimana dopo, nel pomeriggio, numerose carrozze giunsero alla fattoria.

(…….) Come prima, vi furono applausi e i bicchieri vennero vuotati fino al fondo.

Ma mentre gli animali di fuori fissavano la scena, sembrò loro che qualcosa di strano

stesse accadendo. Che cosa c’era di mutato nei visi dei porci? Gli occhi stanchi di Berta

andavano dall’uno all’altro grugno. Alcuni avevano cinque menti, altri quattro, altri tre.

Ma che cos’era che sembrava dissolversi e trasformarsi?

Poi, finiti gli applausi, la compagnia riprese le carte e continuò la partita interrotta, e gli

animali silenziosamente si ritirarono. Ma non avevano percorso venti metri che si fermarono

di botto. Un clamore di voci veniva dalla casa colonica. Si precipitarono indietro e di 

nuovo spiarono dalla finestra. 

Sì, era scoppiato un violento litigio. 

Vi erano grida, colpi vibrati sulla tavola, acuti sguardi di sospetto, proteste furiose. 

Lo scompiglio pareva esser stato provocato dal fatto che Napoleon e il signor Pilkington

AVEVANO CIASCUNO E SIMULTANEAMENTE GIOCATO UN ASSO DI SPADE. 

Dodici voci si alzavano furiose, e tutte erano simili.

Non c’era da chiedersi ora che cosa fosse successo al viso dei maiali.

Le creatura di fuori guardavano dal maiale all’uomo, dall’uomo al maiale e ancora dal 

maiale all’uomo, ma già era loro IMPOSSIBILE DISTINGUERE FRA I DUE.

(George Orwell, La fattoria degli animali)

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LA VITTORIA FINALEultima modifica: 2010-10-06T08:45:00+02:00da giuliano106
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