barone Drais come l’inventore
del velocipede: è però certo in
ogni modo che la sua invenzione
fu molto conosciuta.
Egli nacque a Karlsruhe nel 1780
e vi morì nel 1851; indubbiamente
fu una caratteristica figura del suo
tempo. Fece viaggi a Vienna, a Parigi,
a Londra ed anche in America per far
conoscere la sua INVENZIONE, ma
essa non ebbe, in nessuna parte del mondo, gran favore presso i suoi contemporanei.
In Francia si volle poi contestata al barone Drais la paternità dell’invenzione a lui
attribuita. Il ‘Petit Journal’ cita come suo predecessore Achille Vivot, mentre un giornale
inglese, ‘The Well World’, rivendica alla Gran Bretagna l’onore della scoperta, attribuendola
a Denis Johnson. Pare che l’una e l’altra versione siano dovute a ‘chauvinismes’ locali; è
però certo che non si trattava di macchine la cui concezione fosse dovuta a eccessiva genialità.
Così infatti può dirsi del successore immediato della ‘draisienne’, il ‘pedestrian hobby-horse,
ideato e costruito in Inghilterra verso
la fine del 1818, da certo Krnight.
Di nuovo e di notevole l’hobby-horse non poteva
vantare che il fatto d’essere costruito interamente di ferro,
e d’essere quindi il primo ‘velocipede’ metallico apparso,
per quanto ci consti, sulla faccia della Terra. Si ricorda altresì
che questa nuova macchina ben che atrocemente perseguitata
dai caricaturisti di allora – primo il celebre Cruikshank – ottenne perfino le graziose preferenze
delle misses londinesi, che non esitarono – historia docet – a mostrarsi in pubblico graziosamente
atteggiate sul novissimo cavallo non ancora d’acciaio.
L’hobby-horse morì, se così storicamente può dirsi, nel 1820, e nessuna delle applicazioni
del vecchio principio, tentate negli anni successivi, val la pena d’essere riportata.
Ritroviamo nel 1839, una vettura ‘manomotiva’ inventata in Inghilterra, che però non ebbe
applicazioni pratiche, e nel 1853 una nuova macchina, composta di una unica ruota
gigantesca, portante due persone – pur che fossero di identico peso – su di una sorta di
prolungamento del suo assecentrale , dall’uno e dall’altro lato. Questo apparecchio,
chiamato ‘pedocaedro’, sembra pure non sia mai stato costruito.
1855. – Questa data segna una importante pietra miliare della storia del velocipedismo, come
quella che vide per la prima volta le emancipazione dell’antico e vieto sistema, incomodo
e inefficace, della spinta con i piedi contro il suolo.
L’ingegnoso e semplice perfezionamento
della applicazione dei pedali alle ruote è
dovuto al fabbro meccanico Michaux di
Parigi. Prescindendo dalla infantilità della
prima applicazione, che una stampa dell’epoca
ci rappresenta in modo rudimentale ma
evidente, è certo che lo storico disposto a
una certa larghezza di vedute non può a
meno di riconoscervi il ‘principio’ di una
fase completamente nuova.
L’invenzione di Michaux, non appena i contemporanei ne ebbero riconosciuta l’importanza,
suscitò polemiche aspre ed ebbe acerrimi nemici denigratori. Al fabbro parigino si volle
contestare la paternità della idea geniale,
che venne invece attribuita a certo Pietro
Lallement, operaio carrozziere, nato a
Pont-a-Moussou. Costui avrebbe fatte in
Francia, nel 1863, le prime prove che
sortirono esito infelice; emigrato in
America nel 1866, avrebbe ritentata
l’applicazione del suo trovato, e non
con fortuna migliore.
Ritornato in patria, quando Mchaux già
erasi affermato inventore del pedale, ebbe
partigiani e fautori che vollero rivendicargli la gloria, allora assai futura, di aver creato
il velocipede a pedali. Se dobbiamo credere a una incisione del tempo, la macchina di
Lallement aveva anche non dubbi pregi di estetica, e certo rappresentava un miglioramento
notevole del rozzo tipo meccanico di Michaux. D’altronde oggi ancora può solo dirsi che
la maggioranza riconosce in Machaux l’inventore del pedale, mancando gli elementi per
una unanimità di giudizio.
(U. Grioni, Il ciclista)
Da http://giulianolazzari.splinder.com
precedenti capitoli…..
http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/10/17/la-bicicletta-l-amante-segreta-2.html